LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto – Consigliere –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 23144/18 proposto da:
T.M., elettivamente domiciliato a Faenza, via XX Settembre n. 29, presso l’avvocato Patrizia Bortoletto, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 19 febbraio 2018 n. 510;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 9 aprile 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2015 T.M., cittadino nigeriano, chiese alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:
(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e segg.;
(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;
(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6 (nel testo applicabile ratione temporis).
2. A fondamento dell’istanza dedusse di essere stato costretto a fuggire dal suo Paese, perchè ingiustamente accusato della morte d’una persona avvenuta durante una sparatoria, e minacciato di morte sia dai familiari dell’ucciso, sia dai membri del clan di appartenenza di quello.
3. La Commissione Territoriale rigettò l’istanza con provvedimento di cui il ricorso non indica la data.
Avverso tale provvedimento T.M. propose opposizione dinanzi al Tribunale di Bologna, che la rigettò con ordinanza 24.8.2016.
L’ordinanza venne impugnata dal soccombente.
4. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 19.2.2018, dichiarò inammissibile il gravame.
La Corte d’appello ritenne che il giudice di primo grado aveva reputato il racconto del ricorrente non attendibile per la sua intrinseca contraddittorietà ed inverosimiglianza, e che l’appello non aveva affatto investito tale statuizione (sulla quale si era pertanto formato il giudicato), limitandosi a sostenere che in Nigeria sussistevano condizioni sociopolitiche tali da giustificare la domanda di protezione internazionale.
5. La sentenza è stata impugnata per cassazione da T.M. con ricorso fondato su un motivo.
Il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA IDECISIONE 1. Il motivo unico di ricorso.
1.1. Con l’unico motivo il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2 e 32 Cost.; art. 24 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; art. 11 Patto internazionale sui diritti civili e politici; D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5.
Al di là di tali richiami, non tutti pertinenti rispetto alle censure concretamente sviluppate, nell’illustrazione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato il principio secondo cui, anche dinanzi a dichiarazioni inverosimili, la protezione internazionale deve comunque essere accordata, quando il Paese di origine del richiedente presenti una situazione di violenza indiscriminata scaturente da un conflitto armato.
1.2. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.
Esso, infatti, prescinde del tutto dal reale fondamento della sentenza di rigetto: vale a dire la statuizione di inammissibilità dell’appello, anch’essa per estraneità alla ratio decidendi posta dal tribunale a fondamento della propria decisione.
Ci troviamo, in definitiva, al cospetto di un caso in cui l’appellante, vistosi dichiarare inammissibile il proprio gravame, non censura in cassazione la statuizione di inammissibilltà, ma affronta il merito della propria pretesa.
Palese, dunque, l’inammissibilità dell’impugnazione.
2. Le spese.
2.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1 e sono liquidate nel dispositivo.
Poichè la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, come già ritenuto più volte da questa Corte (ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 5028 del 18/04/2000, Rv. 535811).
2.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte di Cassazione:
(-) dichiara inammissibile il ricorso;
(-) condanna T.M. alla rifusione in favore del Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre rifusione delle spese prenotate a debito, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di T.M. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte di Cassazione, il 9 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019