Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.17290 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAMBITO Maria Giovanna – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso 23343/2018 proposto da:

J.O.O.E., elettivamente domiciliato a Forlì, viale Giacomo Matteotti n. 115, presso l’avvocato Rosaria Tassinari, che lo rappresenta e difende in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

-) Ministero dell’Interno, elettivamente domiciliato in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ex lege;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Bologna del 28 marzo 2018 n. 891;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9 aprile 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

FATTI DI CAUSA

1. Nel 2015 J.O.O.E., cittadino *****, chiese alla competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale, di cui al D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 4:

(a) in via principale, il riconoscimento dello status di rifugiato politico, D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 7 e ss.;

(b) in via subordinata, il riconoscimento della “protezione sussidiaria” di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14;

(c) in via ulteriormente subordinata, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, ex art. 5, comma 6, (nel testo applicabile ratione temporis).

2. A fondamento dell’istanza dedusse di essere stato costretto a fuggire dal suo Paese, per timore di essere ucciso da alcune persone che avevano già ucciso il padre e lo zio.

La Commissione Territoriale rigettò l’istanza con provvedimento notificato il 9.7.2015.

Avverso tale provvedimento J.O.O.E. propose opposizione dinanzi al Tribunale di Bologna, che la rigettò con ordinanza 15.10.2016.

L’ordinanza venne impugnata dal soccombente.

3. La Corte d’appello di Bologna, con sentenza 28.3.2018, rigettò il gravame.

La Corte d’appello ritenne il racconto del ricorrente non attendibile per la sua intrinseca contraddittorietà ed inverosimiglianza; reputò che di conseguenza era superfluo accertare la sussistenza dei presupposti per la concessione dello status di rifugiato; che in ogni caso non sussistevano le condizioni richieste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 per la concessione della protezione sussidiaria; e non vi era prova nemmeno dei presupposti per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

4. La sentenza è stata impugnata per cassazione da J.O.O.E. con ricorso fondato su tre motivi.

Il Ministero dell’interno ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Inammissibilità del ricorso.

1.1. Il ricorso è inammissibile per totale carenza dell’esposizione dei fatti di causa, in violazione dell’onere imposto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., n. 3.

L’atto di impugnazione, infatti, nella parte dedicata allo svolgimento dei fatti processuali, si limita a riferire che l’odierno ricorrente ha impugnato una ordinanza del Tribunale di Bologna “in ordine a richiesta di protezione internazionale”; a trascrivere le conclusioni rassegnate nell’atto d’appello, ed a riferire che l’appello venne rigettato.

Nè tale menda può dirsi sanata (come pure ritenuto possibile da questa Corte: cfr. Sez. 3 -, Sentenza n. 17036 del 28/06/2018, Rv. 649425 – 01) dal contenuto della illustrazione dei motivi, dal momento che nel caso di specie anche la parte del ricorso dedicata alla illustrazione dei motivi non dà affatto conto in modo chiaro di quali fossero le originarie domande; con quali argomenti vennero sostenute; e con quali ragioni venne impugnata la sentenza di primo grado.

1.2. In ogni caso e ad abundantiam, fermo quanto precede, non sarà superfluo rilevare come il ricorrente, con tutti e tre i motivi, lamenta che la Corte d’appello avrebbe errato nell’escludere la sussistenza dei presupposti per tutti e tre i tipi di protezione (asilo, protezione sussidiaria e protezione umanitaria).

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe dovuto compiere d’ufficio approfondimenti istruttori; che in ogni caso in ***** esiste una situazione di violenza diffusa e generalizzata; che comunque il rientro in patria lo avrebbe esposto a rischi per la propria incolumità.

Tutti e tre i suddetti motivi, se li si fosse potuti esaminare, sarebbero stati inammissibili, in quanto censurano altrettanti apprezzamenti di fatto: vale a dire se il richiedente sia attendibile, e se nel suo Stato di provenienza vi fosse o no una situazione di violenza indiscriminata.

Con riferimento, poi, al mancato approfondimento istruttorio officioso da parte della Corte d’appello, le censure sarebbero state comunque infondate, in virtù del principio secondo cui in materia di protezione internazionale l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Pertanto, qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16925 del 27/06/2018, Rv. 649697 – 01).

2. Le spese.

2.1. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

Poichè la parte vittoriosa è un’amministrazione dello Stato, nei confronti della quale vige il sistema della prenotazione a debito dell’imposta di bollo dovuta sugli atti giudiziari e dei diritti di cancelleria e di ufficiale giudiziario, la condanna alla rifusione delle spese vive deve essere limitata al rimborso delle spese prenotate a debito, come già ritenuto più volte da questa Corte (ex aliis, Sez. 3, Sentenza n. 5028 del 18/04/2000, Rv. 535811).

2.2. La circostanza che il ricorrente sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato esclude l’obbligo del pagamento, da parte sua, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1,comma 17), in virtù della prenotazione a debito prevista dal combinato disposto di cui agli artt. 11 e 131 del decreto sopra ricordato (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 9538 del 12/04/2017, Rv. 643826 – 01).

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) condanna J.O.O.E. alla rifusione in favore del Ministero dell’interno delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.100, oltre rifusione delle spese prenotate a debito, I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione civile della Corte di cassazione, il 9 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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