LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20424/2017 proposto da:
O.J., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’avvocato Vincenzo Iofrida, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero dell’Interno, Commissione Territoriale di Siracusa per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, Utg Prefettura di Siracusa;
– intimati –
avverso la sentenza n. 692/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 14/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2019 dal Dott. DI MARZIO MAURO udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto.
FATTI DI CAUSA
1. – O.J. propone ricorso per un mezzo nei confronti del Ministero dell’interno contro la sentenza del 14 aprile 2017 con cui la Corte d’appello di Catania ha dichiarato inammissibile perchè tardivo l’appello proposto avverso ordinanza del 23 luglio 2015 resa dal locale Tribunale ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. a mezzo della quale era stata rigettata l’impugnazione del diniego di riconoscimento, da parte della competente Commissione territoriale, della protezione internazionale e di quella umanitaria.
La Corte d’appello ha in particolare ritenuto che l’appello dovesse essere proposto con citazione e non invece, come era stato fatto, con ricorso, e che pertanto occorresse aver riguardo, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, alla data di notificazione del ricorso, notificazione effettuata successivamente allo spirare del termine di 30 giorni prescritto.
2. – L’amministrazione intimata non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Con l’unico motivo di censura della sentenza impugnata il ricorrente denuncia l’error in procedendo commesso dalla Corte territoriale per aver ritenuto che l’appello, nella materia in questione, dovesse essere proposto con citazione e non con ricorso.
2. – Il ricorso va respinto.
Il D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19, ha sottoposto le controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale al rito sommario di cognizione previsto dagli artt. 702 bis c.p.c. e segg.. Oggi il quadro normativo – si aggiungerà incidentalmente – è mutato, giacchè, per effetto del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, convertito con modificazioni nella L. 13 aprile 2017, n. 46, si applica alla materia non più il rito sommario di cognizione, ma il rito camerale.
Il citato art. 19, per quanto qui rileva, è stato novellato dal D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, art. 27 comma 1, lett. f), che ha così riformulato il comma 9 di essa: “Entro sei mesi dalla presentazione del ricorso, il Tribunale decide, sulla base degli elementi esistenti al momento della decisione, con ordinanza che rigetta il ricorso ovvero riconosce al ricorrente lo status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria. In caso di rigetto, la Corte d’appello decide sulla impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso. Entro lo stesso termine, la Corte di cassazione decide sulla impugnazione del provvedimento di rigetto pronunciato dalla Corte d’appello”. Ciò che rileva è l’inciso: “la Corte d’appello decide sulla impugnazione entro sei mesi dal deposito del ricorso”.
Mette conto ulteriormente aggiungere, per il rilievo che la circostanza possiede nel caso in esame, che il menzionato D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 142, è stato pubblicato in GU Serie Generale n. 214 del 15 settembre 2015, sicchè, in mancanza di disposizioni di segno diverso, è entrato in vigore, ai sensi dell’art. 73 Cost., comma 3, il successivo 30 settembre (è da ascrivere a mero refuso l’affermazione contenuta in Cass., Sez. Un., 8 novembre 2018, n. 28575, foglio 26, di cui subito si dirà, secondo cui l’entrata in vigore andrebbe fissata al successivo 1 ottobre).
Sulla materia, per quanto attiene al testo novellato della disposizione, le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato il principio di diritto che segue: “Nel vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 19, così come modificato dal D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 27 comma 1, lett. f), l’appello ex art. 702 quater c.p.c., proposto avverso la decisione di primo grado sulla domanda volta al riconoscimento della protezione internazionale deve essere introdotto con ricorso e non con citazione, in aderenza alla volontà del legislatore desumibile dal nuovo tenore letterale della norma” (Cass., Sez. Un., 8 novembre 2018, n. 28575).
Con riguardo al testo novellato dell’art. 19 citato, dunque, l’appello (prima che fosse soppresso dalla citata L. 13 aprile 2017, n. 46, di conversione, con modificazioni, del D.L. 17 febbraio 2017, n. 13), andava proposto con ricorso.
Come emerge dal principio testè trascritto, e come la menzionata sentenza più ampiamente evidenzia nel corpo della motivazione, è però stata per l’appunto la novella ad introdurre la previsione del ricorso quale forma dell’appello in materia di protezione internazionale: in epoca precedente, viceversa, trovava applicazione la regola generale secondo cui l’appello avverso l’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 702 bis c.p.c. e cioè l’appello proposto in applicazione dell’art. 702 quater c.p.c., in difetto di diversa previsione normativa, si propone con citazione.
Diviene dunque decisivo, nella vicenda in esame, stabilire se l’appello proposto da O.J. dovesse rispettare la previsione dettata dall’art. 19 nel testo previgente, e dunque dovesse essere proposto con citazione, ovvero dovesse conformarsi alla disposizione novellata, e dovesse pertanto essere proposto con ricorso. Il che impone in altri termini di interrogarsi sulla disciplina transitoria dell’art. 27 di cui si è detto.
Orbene, quanto all’efficacia temporale del D.Lgs. n. 142 del 2015, art. 27, comma 1, lett. f), questa Corte ha già avuto modo di chiarire trattarsi “di una norma che, in quanto volta a disciplinare lo svolgimento dei giudizi aventi ad oggetto l’impugnazione dei provvedimenti di cui al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 35, ha carattere processuale, con la conseguenza che, in assenza di un’apposita norma transitoria, la sua operatività resta assoggettata al principio tempus regit actum, in virtù del quale essa è applicabile anche ai giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, limitatamente agli atti processuali non ancora compiuti” (Cass. 12 dicembre 2017, n. 29674).
Occorre poi qui ulteriormente precisare, quanto alla concreta operatività del principio tempus regit actum, che, versandosi in materia di modificazione della forma prevista per l’impugnazione, deve farsi applicazione del principio più volte ribadito secondo cui la facolta di impugnativa, ed i modi e i termini per esercitarla, sono disciplinati dalla legge vigente al momento della pubblicazione della sentenza, trattandosi di un effetto che, compiutosi sotto la detta legge, si sottrae perciò al principio della immediata applicazione della nuova legge processuale (Cass. 14 giugno 1965, n. 1198; Cass. 28 marzo 1966, n. 815; Cass. 26 aprile 1969, n. 1348, concernenti la materia arbitrale; Cass., Sez. Un., 20 dicembre 2006, n. 27172, tra le molte riguardanti il procedimento disciplinare a carico di magistrati; Cass. 21 giugno 2018, n. 16420e Cass. 11 luglio 2018, n. 18295, le quali hanno affermato, proprio in tema di protezione internazionale, che la nuova disciplina che esclude l’applicazione della sospensione feriale dei termini di cui al c.d. “decreto Minniti” si applica alle controversie instaurate dopo il 18 agosto 2017, facendo riferimento, per quanto riguarda il ricorso per cassazione, alle sentenze di appello pubblicate dopo tale data e non a quelle pubblicate prima, che restano soggette alla sospensione dei termini, senza rilevanza alcuna della data di proposizione dell’impugnazione; la stessa Cass., Sez. Un., 8 novembre 2018, n. 28575, fa espresso riferimento, ai fini dell’applicazione della nuova disciplina, a pagina 26, p. 7.9, alla data di pubblicazione del provvedimento di primo grado, quale momento in cui il diritto all’impugnazione con l’appello è insorto; per l’applicazione del medesimo principio, nella giurisprudenza penale, può leggersi Cass. pen. 9 novembre 2017, n. 51106).
Nel caso di specie, resta allora soltanto da dire che l’ordinanza di primo grado è stata pubblicata il 23 luglio 2015, ossia in data in cui la norma richiamata, nel testo novellato, non era ancora entrata in vigore: a quella data, dunque, l’appello doveva essere introdotto, non con ricorso, come è stato erroneamente fatto, ma ancora con citazione. Sicchè correttamente il giudice di merito ha ritenuto la tardività dell’impugnazione.
3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019