LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –
Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 20243/2018 proposto da:
F.Q., elettivamente domiciliato in Roma, Via Carlo Dossi 45, presso lo studio dell’avvocato Facilla Giovanni Maria, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Ministero Dell’interno;
– intimato –
avverso la sentenza n. 521/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/02/2019 dal Dott. DI MARZIO MAURO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’inammissibilità;
udito l’Avvocato Arturo Benigni, con delega, per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento.
FATTI DI CAUSA
1. – F.Q., cittadino pakistano, propone ricorso per cassazione, nei confronti del Ministero dell’interno, contro la sentenza del 5 febbraio 2018 con cui la Corte d’appello di Napoli ha respinto l’appello dal medesimo spiegato avverso ordinanza del Tribunale di Napoli di rigetto dell’impugnazione del provvedimento della competente Commissione territoriale di diniego della protezione internazionale o umanitaria.
2. – L’amministrazione intimata non ha spiegato difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il ricorso è così congegnato:
-) a pagina 2 del ricorso si dà atto della proposizione della domanda di protezione internazionale o umanitaria respinta dalla Commissione territoriale di Caserta nonchè dell’impugnazione di tale provvedimento dinanzi al Tribunale di Napoli;
-) nell’esposizione del fatto, sempre a pagina 2 del ricorso, non v’è alcun riferimento al contenuto della decisione adottata dal Tribunale ed alla proposizione dell’appello, e tantomeno al contenuto della sentenza della Corte d’appello, all’infuori del solo dispositivo trascritto nell’epigrafe del ricorso;
-) si passa quindi allo svolgimento di un motivo, che si protrae da pagina 3 a pagina 6, volto a denunciare “violazione e/o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, commi 9, 10 e 11”, motivo diretto a lamentare come al ricorrente non fosse stata “data la possibilità di usufruire di tale diritto”, quello alla videoregistrazione della audizione dinanzi alla Commissione territoriale, precisandosi subito dopo che la invocata disciplina concernente la videoregistrazione è stata dettata da norme sopravvenute all’introduzione del giudizio, avvenuta con ricorso depositato il 9 ottobre 2015, sicchè non è dato comprendere come dette norme avrebbero mai potuto trovare applicazione nel giudizio in discorso;
-) da pagina 7 all’inizio di pagina 8 è svolto un secondo motivo con cui si denuncia “erronea e parziale valutazione dei fatti dichiarati dal ricorrente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”; si censura in particolare la sentenza d’appello “per aver omesso di considerare il seguente fatto decisivo”, fatto di cui nella successiva trattazione non v’è invece la benchè minima traccia;
-) a pagina 8 ha inizio, sotto la rubrica “c) Sulla protezione sussidiaria”, una trattazione di ordine generale di detto tema, che va avanti fino a pagina 13, inframmezzata da citazioni di massime giurisprudenziali della cui pertinenza alla vicenda in esame non è dato sapere;
-) a pagina 13 ha inizio, sotto la rubrica “a) Sulla sussistenza del diritto di asilo”, una analoga trattazione del tema, che va avanti fino a pagina 15, anche in questo caso senza alcun comprensibile collegamento con la sentenza impugnata, il cui contenuto, come si diceva, è totalmente ignorato;
-) a pagina 15 compare la rubrica “4) Sulla sussistenza del diritto di protezione umanitaria”, in cui si dice, in due righe e mezzo, che in conformità ad una costante giurisprudenza di legittimità dovrebbe essere riconosciuta la relativa misura;
-) sempre a pagina 15 compare una ulteriore rubrica “4) Applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 19 e 5”, nel quale si fa cenno al principio del non refoulement;
-) in ultimo, alla pagina 15, si manifesta l’ulteriore rubrica “5) Periculum in mora”, in cui si dice essere “evidente, pertanto, la necessità di un provvedimento cautelare di sospensione che, nelle more del giudizio, disponga in via preventiva l’anticipazione degli effetti della sentenza finale”.
2. – Il ricorso è inammissibile.
Esso, difatti, non corrisponde al modello del ricorso per cassazione, siccome delineato dal combinato disposto degli artt. 360 e 366 c.p.c., i quali disegnano tale strumento quale mezzo di impugnazione a critica vincolata, destinato a far valere le censure previste dalla legge, mercè specifici adempimenti formali, tra i quali l’esposizione sommaria dei fatti di causa e l’indicazione dei motivi per i quali si chiede la cassazione, con la menzione delle norme di diritto su cui i motivi stessi si fondano.
Ed invero, nel caso in esame, non emerge in alcun modo quale decisione abbia adottato la Corte d’appello e perchè, nè è comprensibile quali sarebbero gli specifici errores che il giudice di merito avrebbe per ipotesi commesso.
Difatti, in tema di ricorso per cassazione, il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo; che, in riferimento al ricorso per cassazione, tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4 (Cass. 11 gennaio 2005, n. 359; Cass. 12 marzo 2005, n. 5454; Cass. 29 aprile 2005, n. 8975; Cass. 22 luglio 2005, n. 15393; Cass. 24 gennaio 2006, n. 1315; Cass. 14 marzo 2006, n. 5444; Cass. 17 marzo 2006, n. 5895; Cass. 31 marzo 2006, n. 7607; Cass. 6 febbraio 2007, n. 2540; Cass. 28 agosto 2007, n. 18210; Cass. 28 agosto 2007, n. 18209; Cass. 31 agosto 2015, n. 17330).
3. – Nulla per le spese. Sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 27 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019