Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.17339 del 27/06/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21441-2018 proposto da:

T.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO FASCIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DI UrINTERNO COMMISSIONI TERRITORIALE PER LA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI BRESCIA;

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 20266/2017 del TRIBUNALE di BRESCIA, depositato il 27/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa TRICOMI LAURA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Brescia, con il decreto in epigrafe indicato, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da T.S., proveniente dal Mali, il quale ha proposto ricorso per cassazione con un mezzo; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

La questione di costituzionalità proposta in merito alla non reclamabilità del decreto, sancita dalla L. n. 46 del 2017, art., comma 13, va respinta confermando le ragioni già espresse in Cass. del 5/7/2018 n. 17717. Con l’unico motivo il ricorrente denuncia l’omessa, insufficiente motivazione cica un punto decisivo della controversia, nonchè la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), g) e del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5,comma 6, e art. 19, comma 1.

In particolare insiste nella valenza delle vicende personali narrate, relative a soprusi subiti dal capo del villaggio intesi a favorire un soggetto di etnia Paul, diversa dalla sua, mediante l’assegnazione di un suo terreno che lo avrebbe condotto, per reazione, a bruciarlo con danni estesi anche ai terreni di soggetti terzi, con la conseguenza di avere subito minacce di morte dal capo villaggio, oltre che sulla situazione politico/militare del Mali ed alla alta corruzione diffusa, per sostenere la propria vulnerabilità e la fuga come unica via per salvare la propria vita.

Il motivo è inammissibile perchè non coglie la ratio decidendi articolata dal Tribunale, da un lato, evidenziando la inattendibilità del richiedente, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, attraverso una puntuale disamina del narrato e della contraddittorietà ed implausibilità dello stesso e, dall’altro, focalizzando la insussistenza nell’area di provenienza del richiedente (Kayes) di una situazione di pericolo, come desunto da fonte dell’Unione Europea riportata e relativa al 2017, oltre che la irrilevanza della corretta condotta tenuta dal richiedente durante la permanenza in Italia.

In proposito va ricordato che “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5 lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5 lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate.” (Cass. n. 27503 del 30/10/2018) e che “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona. Qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori.” (Cass. n. 16925 del 27/06/2018).

Nel caso di specie il Tribunale ha dato corretta applicazione a detti principi e la censura, che non attinge la ratio decidendi, si limita sostanzialmente a sollecitare una rivalutazione dei fatti in termini conformi alle aspettative del ricorrente, senza indicare alcun fatto che non sia stato già oggetto di valutazione.

Non si provvede sulle spese di legittimità, stante la mancata attività difensiva del Ministero.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, stante l’ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472