Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.17341 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24313-2018 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VIGNA PIA, 60, presso lo studio dell’avvocato IVAN PUPETTI rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA MAESTRI;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE PER IL RICONOSCIMINTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimato –

avverso l’ordinanza n. R.G. 1529/2018 del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 22/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa TRICOMI LAURA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Ancona, con il decreto in epigrafe indicato, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da B.S., proveniente dal Senegal, non ravvisando i presupposti per alcuna delle forme possibili internazionale, anche in riferimento alla situazione attuale del Paese di provenienza; il richiedente ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi; il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.

Con il primo motivo si denuncia la violazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 sulla protezione dei rifugiati; della Cost. art. 10, comma 3; del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,7,14 e 17; del D.Lgs. n. 25 del 2008; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, comma 6, e art. 19, sostenendo che il Tribunale, pur avendo descritto in modo esauriente la situazione specifica della regione senegalese di provenienza – Casamance – non ne avrebbe tratto la logica conseguenza e cioè l’obbligo di assicurargli protezione, in considerazione del fatto che lo stesso era orfano di padre, era fuggito alle sevizie di uno zio ancora minorenne ed aveva subito la carcerazione e trattamenti disumani transitando per il Niger e la Libia.

Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e cioè la circostanza che il richiedente era entrato in Italia prima di avere compiuto i diciotto anni, quale minore non accompagnato, ed aveva presentato la domanda di protezione internazionale in regime di minore età e si rimarca la decisività della circostanza ai fini della valutazione della vulnerabilità.

Il ricorso è inammissibile.

Quanto al primo motivo deve richiamarsi la giurisprudenza di legittimità secondo la quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298 del 29/11/2016). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesa mente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

Invero nel caso di specie la doglianza, lungi dal prospettare una reale violazione di legge, sollecita una diversa valutazione dei fatti accertati.

Quanto al secondo motivo si osserva che il ricorso per la deduzione dell’omesso esame di un fatto decisivo che, come è noto, richiede l’indicazione del fatto il cui esame, da ritenersi decisivo ai fini della definizione della controversia, sia stato omesso dal giudice che ha emesso la decisione impugnata, è in parte infondato ed in parte inammissibile. Invero la circostanza dedotta in merito alle ragioni dell’allontanamento dal Senegal, e cioè la fuga a causa dei maltrattamenti subiti dallo zio, è stata presa in considerazione e ritenuta non dirimente, attesa la natura episodica dell’evento, privo di idoneità lesiva specifica rispetto si parametri normativi ai quali il riconoscimento della protezione, nelle sue diverse forme, va ricollegata ed è stata esclusa la sussistenza di condizioni individuali di elevata vulnerabilità: il motivo, sotto questo profilo, è infondato.

Il motivo risulta invece inammissibile in merito alla circostanza – prospettata in ricorso, ove il richiedente dichiara di essere nato il 1/3/2000 e di essere entrato in Italia 15/1/2017- della minore età del richiedente al momento del suo ingresso in Italia non accompagnato; invero la doglianza, sul punto, risulta assolutamente carente sul piano della specificità poichè non è precisato se e quando i dati anagrafici del richiedente da cui desumere tale circostanza e gli altri elementi rilevanti ai fini dell’accertamento del fatto – di cui nel decreto impugnato non si parla – siano stati sottoposti all’attenzione del giudice del merito; peraltro, come si evince dal decreto, il provvedimento della Commissione territoriale venne impugnato con ricorso depositato il 7/3/2018, quando B.S., anche alla stregua di quanto sostenuto nel presente ricorso, era già maggiorenne.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, stante l’ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte:

– Dichiara inammissibile il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.100,00=.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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