LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFFERRI Andrea – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 24320-2018 proposto da:
C.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DI VIGNA PIA, 60, presso lo studio dell’avvocato IVAN PUPETTI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANDREA MAESTRI;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO – COMMISSIONE per il RICONOSCIMENTO della PROTEZIONE INTERNAZIONALE di ANCONA;
– intimato –
avverso l’ordinanza n. R.G. 2191/2018 del TRIBUNALE di ANCONA, depositata il 30/07/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott.ssa TRICOMI LAURA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Ancona, con il decreto in epigrafe indicato, ha rigettato la domanda di riconoscimento della protezione internazionale presentata da C.S., proveniente dal Senegal, non ravvisando i presupposti per alcuna delle forme possibili; il richiedente ha proposto ricorso per cassazione con due mezzi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.
Con il primo motivo si denuncia la violazione della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 sulla protezione dei rifugiati; della Cost. art. 10, comma 3; del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2,3,7,14 e 17; del D.Lgs. n. 25 del 2008; del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2, art. 5, comma 6, e art. 19 sostenendo che il Tribunale, pur avendo descritto in modo esauriente la situazione specifica della regione senegalese di provenienza – Casamance – non ne avrebbe tratto la logica conseguenza e cioè l’obbligo di assicurargli protezione, in considerazione del fatto che il padre era stato ucciso dai ribelli, aveva subito un’aggressione personale con minaccia di morte da parte degli insorti ed aveva subito la carcerazione e trattamenti disumani transitando per il Niger e la Libia.
Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio individuato nella omessa considerazione della personale aggressione subita dal ricorrente ad opera dei ribelli indipendentisti e del periodo trascorso in Libia, rilevanti a suo parere per valutare i fattori di vulnerabilità e, all’opposto di positiva integrazione.
Il ricorso è inammissibile.
Quanto al primo motivo deve richiamarsi la giurisprudenza di legittimità secondo la quale il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo, giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione (Cass. n. 24298 del 29/11/2016). Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesa mente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.
Invero nel caso di specie la doglianza, lungi dal prospettare una reale violazione di legge, sollecita una diversa valutazione dei fatti accertati.
Quanto al secondo motivo si osserva che il ricorso per la deduzione dell’omesso esame di un fatto decisivo che, come è noto, richiede l’indicazione del fatto il cui esame, da ritenersi decisivo ai fini della definizione della controversia, sia stato omesso dal giudice che ha emesso la decisione impugnata, è in parte infondato, in parte inammissibile.
Invero la circostanza dedotta in merito alle ragioni dell’allontanamento dal Senegal, e cioè l’aggressione adopera di ribelli indipendentisti, è stata presa in considerazione e ritenuta non dirimente – attesa la natura episodica della rapina subita dai ribelli ed il tempo trascorso dall’evento (2011) rispetto alla cessazione delle ostilità evidenziata sulla scorta della approfondita analisi di fonti attendibili-, priva di idoneità lesiva specifica rispetto ai parametri normativi ai quali il riconoscimento della protezione, nelle sue diverse forme, va ricollegata ed è stata esclusa la sussistenza di condizioni individuali di elevata vulnerabilità: il motivo, sotto questo profilo, è infondato.
Il motivo risulta invece inammissibile in merito alla circostanza del lungo periodo trascorso in Libia, attesa la novità della questione – alla stregua di quanto esposto in ricorso e quanto risultante dal decreto – e la genericità della prospettazione stessa.
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
In assenza di attività difensive dell’intimato, non si provvede sulle spese di lite.
Non sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, stante l’ammissione provvisoria del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato.
P.Q.M.
La Corte:
– Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019