LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. VELLA Paola – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 12730-2018 proposto da:
O.R.O., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato PRATICO’ ALESSANDRO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’INTERNO *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2206/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 10/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TERRUSI FRANCESCO.
RILEVATO
Che:
O.R.O. ha proposto ricorso per cassazione nei confronti della sentenza con la quale la corte d’appello di Torino ha confermato il rigetto del suo ricorso contro il diniego di riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria;
il Ministero dell’Interno ha replicato con controricorso.
CONSIDERATO
Che:
col primo mezzo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 5,6,7 e 14, e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, lamentando nell’ordine che la corte d’appello (a) avrebbe fondato la valutazione di non credibilità del narrato su parametri normativi diversi da quelli previsti per legge, senza tener conto e approfondire la situazione relativa al sistema giudiziario nigeriano; (b) non avrebbe calato la vicenda personale nella suddetta situazione generale del paese, non considerando che il problema posto non atteneva alla fede religiosa ma alla volontà di salvarsi da un serio ed effettivo pericolo per la propria incolumità, atteso il rischio di subire un processo discriminatorio e con sanzioni sproporzionate e inumane; (c) non avrebbe tenuto conto “dei riscontri oggettivi relativi alla situazione aggiornata della Nigeria”, in quanto caratterizzata da forti criticità a livello politico e sociale anche nella zona meridionale, con compromissione della tutela e delle garanzie fondamentali della persona;
col secondo motivo il ricorrente, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e il vizio di motivazione, si duole del mancato riconoscimento dei presupposti della protezione umanitaria;
il primo motivo è in parte manifestamente infondato e in parte inammissibile;
è manifestamente infondato in relazione alla censura sopra sintetizzata sub a), poichè la corte d’appello ha motivato la valutazione di inattendibilità del racconto del richiedente facendo corretta applicazione dell’insegnamento di questa Corte;
tale insegnamento al riguardo suppone che debba essere valutata la non contraddittorietà delle dichiarazioni rispetto alla situazione soggettiva dedotta, l’attendibilità intrinseca di quelle dichiarazioni (Cass. n. 16602-12) e il carattere di precisione, gravità e concordanza dei fatti allegati (Cass. n. 14157-16); il che è esattamente quello che la corte territoriale ha fatto nel caso di specie;
è inammissibile nel resto: difatti le censure sub b), essendo state associate al paventato rischio di subire trattamenti detentivi inumani o degradanti, si palesano superate dal riferimento alla non credibilità del racconto che ne costituiva fondamento; le censure sub c) sono state formulate in termini del tutto generici rispetto alla valutazione correttamente svolta dal giudice del merito (con corredo di riferimenti alle fonti conoscitive) a proposito della situazione generale del paese di origine; la corte d’appello ha evidenziato non solo che il richiedente, col suo racconto contraddittorio e inaffidabile, aveva violato il proprio dovere di collaborazione con le autorità nazionali (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3), così da risultare non credibile nella parte afferente l’arresto illegale prospettato, la detenzione e le torture subite, ma anche che la situazione generale della zona di provenienza del predetto (l’Edo State) non era segnalata per episodi di violenza e di conflitto, viceversa localizzati a nord-est del paese;
a fronte di tale valutazione, il ricorrente si limita a prospettare una diversa situazione di fatto, peraltro descritta in termini – di mera “criticità a livello politico e sociale” – neppure coerenti alla ipotesi del conflitto armato interno di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), che si dice violato;
il secondo motivo è a sua volta inammissibile;
il ricorrente censura la sentenza per avere omesso qualsiasi giudizio in ordine alla motivazione del giudice di prime cure, escludente la condizione soggettiva di vulnerabilità, e per aver mancato di considerare che la situazione generale della Nigeria, pur non integrando il livello di allarme suscettibile di fondare la protezione sussidiaria, comunque suggeriva il riconoscimento della protezione umanitaria;
è agevole osservare che da nessun punto di vista i rilievo sono attinenti alla chiarissima ratio mercè la quale la corte d’appello ha negato il diritto del richiedente la protezione umanitaria;
la corte d’appello ha invero osservato che non era stata dimostrata la vulnerabilità soggettiva del predetto, poichè egli aveva mantenuto in Nigeria una forte rete di sostegno familiare e comunitario, a fronte della quale non era emerso affatto che egli si fosse invece stabilmente radicato in Italia, non potendo fare qui affidamento nè su una rete parentale nè su un percorso lavorativo intrapreso;
le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese processuali, che liquida in Euro 2.100,00, oltre le spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 19 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019