Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.17355 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 27458/2017 proposto da:

COMUNE DI MARUGGIO, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GAETANO MELUCCI;

– ricorrente –

contro

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ORAZIO, 31, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GIORDANO, rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO CLAUDIO SCHIAVONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 347/2016 della CORTE D’APPELLO di LECCE SEZIONE DISTACCATA di TARANTO, depositata il 02/11/2016 R.G.N. 451/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FLAVIA URCIUOLI per delega Avvocato GAETANO MELUCCI;

udito l’Avvocato ALESSANDRA GIORDANO per delega Avvocato CLAUDIO SCHIAVONE.

FATTI DI CAUSA

1.1. Con ricorso al Tribunale di Taranto D.A., architetto, conveniva in giudizio il Comune di Maruggio per sentire accertare la nullità e/o l’invalidità e/o l’illiceità della nota prot. n. 1811 del 16/2/2007 con la quale il Sindaco gli aveva comunicato la cessazione in fatto ed in diritto di ogni rapporto contrattualmente discendente dal Decreto Sindacale 31 maggio 2005, n. 44 (con il quale era stato conferito al D., dall’1/6/2005 e fino al termine del mandato del Sindaco, l’incarico di funzioni dirigenziali inerenti al Servizio Urbanistica ed Edilizia Pubblica e privata dello stesso Ente), con ogni conseguenza ripristinatoria e risarcitoria.

1.2. Il Tribunale accoglieva parzialmente la domanda dichiarando l’illegittimità del recesso intimato dal Sindaco con la citata nota del 16/2/2007 e condannava il Comune convenuto al solo risarcimento del danno in misura pari alle retribuzioni maturate dal 18/2/2007 fino al giugno 2009 quantificate in Euro 69.927,16, respingendo la richiesta di reintegrazione.

1.3. Decidendo sull’impugnazione del Comune di Maruggio, la Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, confermava la pronuncia di primo grado.

Riteneva la Corte territoriale che condivisibile fosse la ricostruzione del Tribunale circa la sussistenza nel caso in questione di un rapporto di lavoro a tempo determinato tra le parti, avente ad oggetto l’attività gestionale di direzione dei servizi urbanistici e di edilizia e non una prestazione d’opera.

Sul presupposto, poi, dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 2119 c.c., considerava non ammissibile il recesso di una delle parti prima della scadenza del termine in assenza di una giusta causa.

In ogni caso evidenziava che nel provvedimento di revoca dell’incarico (rectius recesso) venisse solamente ipotizzata una successiva riorganizzazione, senza esporne le ragioni asseritamente fondate sulla necessità di provvedere ad un diverso assetto organizzativo tale da non richiedere più la figura professionale rivestita dal D..

Riteneva corretta la quantificazione del risarcimento come effettuata dal primo giudice con l’inclusione dell’indennità di posizione, emolumento quest’ultimo corrisposto in modo fisso ed in via continuativa.

2. Per la cassazione di questa pronuncia il Comune di Maruggio ha proposto ricorso affidandosi a tre motivi.

3. D.A. ha resistito con controricorso.

4. Non sono state depositate memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il Comune ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 109 e 110, in combinato disposto con l’art. 13, comma 3, del c.c.n.l. 1998/2001. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nell’applicare alla fattispecie per cui è causa, in luogo delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 ed al c.c.n.l., l’art. 2119 c.c. e conseguentemente ritenuto revocabile ante scadenza il contratto a tempo determinato del dirigente solo nell’ipotesi di giusta causa, dovendo la medesima limitarsi a verificare che l’atto di recesso fosse adeguatamente motivato.

2. Con il secondo motivo il Comune ricorrente denuncia violazione ed errata applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 109 e 110, in combinato disposto con l’art. 13, comma 3, del c.c.n.l. 1998/2001. Sostiene che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che l’Amministrazione con la nota prot. n. 1811 del 16/2/2007 non avesse indicato i motivi che legittimavano il recesso.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione ed errata applicazione dell’art. 1223 c.c.. Lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto corretta l’inclusione nel risarcimento del danno anche dell’indennità di posizione.

4. E’ inammissibile il secondo motivo e ciò rende irrilevante l’esame del primo.

4.1. Punto fermo della decisione impugnata è la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato (non dunque di una collaborazione autonoma) e cioè di un rapporto nel quale incarico dirigenziale e rapporto di impiego coesistono per scelta delle parti, che hanno dato luogo allo stesso con contratto individuale di lavoro, il cui fondamento normativo va individuato nel D.Lgs. n. 267 del 2000, artt. 109 e 110 (nel testo antecedente alla modifica apportata dal D.L. n. 90 del 2014, convertito con L. n. 114 del 2014, non applicabile alla fattispecie ratione temporis,) che consente, appunto, la possibilità di costituzione di un rapporto di lavoro dipendente a termine per lo svolgimento di incarichi dirigenziali.

4.2. Questione controversa è l’ammissibilità di un recesso prima della scadenza del termine e quale sia la normativa di riferimento.

4.3. Sul punto, in realtà, la sentenza impugnata contiene una duplice ratio decidendi.

4.4. La Corte territoriale, infatti, per un verso, ha indicato una prima ragione di decisione, ritenendo applicabile alla fattispecie in questione l’art. 2119 c.c. e per l’effetto ammissibile il recesso ante scadenza del termine solo in presenza di una giusta causa – ciò invero non in linea, quanto alla normativa di riferimento, con il principio affermato da questa Corte in ordine all’applicabilità al rapporto di lavoro dei dirigenti assunti dagli enti locali con contratto a tempo determinato, ai sensi del richiamato del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 110, della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001e dalla contrattazione collettiva, tranne che negli aspetti espressamente disciplinati dalla norma speciale o per quelli incompatibili con la natura temporanea del rapporto – ma, applicando comunque, di fatto, in via subordinata, il T.U. n. 165 del 2001 ed il c.c.n.l. 1998/2001, ha espresso, altresì, l’ulteriore convincimento, configurabile alla stregua di una ratio decidendi aggiuntiva, che la motivazione a base del recesso anticipato fosse del tutto inidonea a dare conto delle ragioni organizzative e produttive dell’Amministrazione, al fine di salvaguardarne il controllo di legalità.

4.6. Tale ulteriore ratio decidendi è in modo inammissibile censurata con il secondo motivo di ricorso.

4.7. Ed infatti il Comune (che non critica la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che per l’esercizio del recesso anticipato sia richiesta idonea motivazione, ciò a mezzo dell’espresso richiamo al disposto dell’art. 13, comma 3, del c.c.n.l. vigente all’epoca dei fatti), nonostante la formale denuncia di violazione di legge, si limita a contrappone, inammissibilmente, alla valutazione della Corte d’appello circa l’inidoneità del riferimento ad una solo ipotizzata riorganizzazione, in assenza di elementi che avrebbero potuto chiarire se ciò avrebbe comportato la necessità di privarsi proprio della figura del D., una ritenuta sufficienza delle ragioni a base di tale recesso anticipato.

4.8. Ed allora va fatta applicazione del principio (v. Cass. 3 novembre 2011, n. 22753; Cass. 14 febbraio 2012, n. 210; Cass. 29 marzo 2013, n. 79318; Cass. 19 febbraio 2016, n. 3307; Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 21 giugno 2017, n. 15350) secondo cui ove la sentenza di merito sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il rilievo di inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione diretto a censurare solo una di esse – consentito in applicazione del principio della “ragione più liquida” – rende irrilevante l’esame degli altri motivi concernenti le ulteriori rationes, atteso che in nessun caso potrebbe derivarne l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile.

5. E’ infondato il terzo motivo.

5.1. E’ vero che l’indennità di posizione spetta solo a fronte dell’espletamento delle funzioni dirigenziali ma nel nostro caso quello che è stato riconosciuto è il risarcimento del danno per quello che il D. ha perso in conseguenza del recesso illegittimo e quindi anche per la mancata indennità di posizione (che se l’incarico fosse proseguito avrebbe pacificamente ricevuto).

5.2. Come da questa Corte già affermato (v. Cass. 23 luglio 2018, n. 19520) in materia di illegittimità del licenziamento del dirigente (ma il principio è applicabile anche nell’ipotesi di illegittimità del recesso anticipato da un contratto a termine del dirigente) le conseguenze risarcitorie vanno commisurate non al solo trattamento economico fondamentale ma anche alla retribuzione di posizione prevista per l’incarico ricoperto al momento dell’illegittimo recesso dal rapporto e che senza dubbio sarebbe stata percepita sino alla scadenza.

6. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

7. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.

8. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il Comune ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15% da corrispondersi all’avv. Enrico Claudio Schiavone.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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