LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11572/2018 proposto da:
S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 18, presso lo studio dell’avvocato MAURO MONTINI, rappresentato e difeso dall’avvocato SANDRO MAINARDI;
– ricorrente –
contro
COMUNE JOLANDA DI SAVOIA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI NICOTERA 24, presso lo studio dell’avvocato DANIELA TIZIANA TROVATO, rappresentato e difeso dall’avvocato FABIO ANSELMO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1119/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/10/201 r.g.n. 148/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/04/2019 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato SANDRO MAINARDI;
udito l’Avvocato CARLOTTA GAIANI per delega verbale FABIO ANSELMO.
FATTI DI CAUSA
1.1. Con ricorso al Tribunale di Bologna S.F., Segretario comunale e Direttore generale del Comune di Jolanda di Savoia dall’1/9/2009, nominato con Delib. 19 maggio 2010 Presidente della commissione di concorso per la copertura di un posto di capo settore urbanistico, chiedeva che fosse accertata la giusta causa delle dimissioni dallo stesse rese in data 11 dicembre 2010 con condanna del Comune al relativo risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale.
1.2. La vicenda era nata da anomalie relative alla suddetta procedura concorsuale che, riferite al Sindaco del Comune di Jolanda di Savoia dallo stesso S. e della segretaria della commissione del concorso, C.A. (irregolarità consistenti nel sospetto che qualcuno avesse passato la traccia della seconda prova scritta ad uno dei candidati poi ammesso agli orali), avevano comportato la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, la sospensione della procedura concorsuale con nomina di altro funzionario ai fini della valutazione delle condizioni per l’annullamento del concorso in via di autotutela e quindi l’annullamento della procedura.
1.3. Nella prospettazione del ricorrente l’iniziativa del Sindaco era stata del tutto intempestiva ed imprudente in quanto intrapresa prima ancora della rendicontazione in merito allo stato di avanzamento della procedura concorsuale e comunque in assenza di alcun serio riscontro ed aveva esautorato il S. dall’incarico conferitogli ledendone gravemente l’immagine professionale tanto sul piano endo-istituzionale quanto su quello esterno all’Amministrazione e così colpevolmente determinando la sua scelta di dimettersi vista la non più tollerabile coabitazione tra un Segretario – Direttore Generale ed un Sindaco che con l’indicata iniziativa aveva apertamente sfiduciato il suo comportamento.
1.4. Il Tribunale respingeva la domanda.
1.5. La decisione era confermata dalla Corte d’appello di Bologna.
Riteneva la Corte territoriale che i fatti appresi dal Sindaco, lungi dall’integrare mere generiche insinuazioni, in quanto emersi da una dichiarazione dettata dal S. nel verbale di seduta della commissione di concorso del 13/10/2010 (verbale poi non sottoscritto per contrasti insorti tra i componenti), dichiarazione nella quale si faceva riferimento ad elementi oggettivi relativi al favoritismo che si sarebbe verificato in occasione della seconda prova scritta, non potessero comportare alcun indugio del Sindaco nel notiziare degli stessi l’autorità penale.
Evidenziava che il comprensibile disagio del S. per il coinvolgimento nella vicenda non giustificasse comunque le dimissioni dagli importanti incarichi ricevuti.
2. Per la cassazione di questa pronuncia S.F. ha proposto ricorso affidandosi a quattro motivi.
3. Il Comune di Jolanda di Savoia ha resistito con controricorso.
4. Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., con riferimento agli artt. 331 e 332 c.p.p.. Lamenta che la Corte territoriale avrebbe escluso la giusta causa delle dimissioni ritenendo erroneamente corretto il comportamento del Sindaco senza spiegare perchè tale comportamento fosse doveroso e senza tener conto della copiosa giurisprudenza richiamata dall’appellante e deponente nel senso della sussistenza di un obbligo di denuncia solo in presenza dell’acquisizione di tutti gli elementi che consentano la riconducibilità del fatto alla fattispecie incriminatrice. Sostiene che l’iniziativa del Sindaco sarebbe stata del tutto improvvida, imperita ed imprudente atteso che nella specie non sussistevano gli estremi di una qualsivoglia fattispecie delittuosa nè si era in possesso di alcuna seria fonte di prova circa gli stessi. Richiama la richiesta di archiviazione formulata dal PM ed accolta dal GIP di Ferrara. Rileva che l’episodio della trasmissione degli atti alla Procura dovesse essere letto unitamente alla richiesta di rendicontazione fatta dal Sindaco al S. il cui esito non era stato atteso prima della suddetta trasmissione.
1.2. Il motivo è infondato.
Va innanzitutto ricordato che l’attività di integrazione del precetto normativo di cui all’art. 2119 c.c. (norma cd. elastica), compiuta dal giudice di merito – ai fini della individuazione della giusta causa di licenziamento, id est come nella specie della giusta causa delle dimissioni – non può essere censurata in sede di legittimità allorquando detta applicazione rappresenti la risultante logica e motivata della specificità dei fatti accertati e valutati nel loro globale contesto, mentre rimane praticabile il sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 3, nei casi in cui gli standards valutativi, sulla cui base è stata definita la controversia, finiscano per collidere con i principi costituzionali, con quelli generali dell’ordinamento, con precise norme suscettibili di applicazione in via estensiva o analogica, o si pongano in contrasto con regole che si configurano, per la costante e pacifica applicazione giurisprudenziale e per il carattere di generalità assunta, come diritto vivente (v. Cass. 23 marzo 2018, n. 7305; Cass. 17 agosto 2004, n. 16037).
Il motivo di ricorso, nonostante la formale denuncia di violazione dell’art. 2119 c.c., si sostanzia nella censura di un vizio motivazionale laddove si addebita alla Corte d’appello di aver ritenuto che il Sindaco di Jolanda di Savoia avesse, sulla base degli elementi a sua disposizione, l’obbligo di trasmettere gli atti alla Procura delle Repubblica e si contrappone all’esame della Corte territoriale una propria e diversa lettura degli atti causa ma ciò è inammissibile in sede di legittimità (tanto più in presenza di un’ipotesi di doppia conforme ex art. 348 ter c.p.c., comma 5, v. infra).
In ogni caso va ricordato che l’art. 331 c.p.p., prevede, al comma 1, che: “Salvo quanto stabilito dall’art. 347, i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio che, nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito” ed al comma 2 che: “La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria”. E’ emblematico che si faccia riferimento ad una “notizia” di un reato perseguibile d’ufficio, alla sussistenza dell’obbligo anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito, alla necessità che la presentazione o la trasmissione avvenga “senza ritardo”. La notizia per essere tale deve avere ad oggetto un fatto specifico idoneo ad integrare estremi di reato e deve essere dotata per la fonte da cui proviene di adeguata credibilità. Orbene, nella specie, la “notizia” pervenuta al Sindaco si ricavava, secondo quanto riportato nella sentenza impugnata, dal contenuto della dichiarazione dettata proprio dal S. nel verbale di seduta della commissione di concorso del 13/10/2010 (verbale poi non sottoscritto per contrasti insorti tra i componenti), dichiarazione nella quale detto Presidente “afferma ad alta voce di avere riscontrato, attraverso elementi oggettivi, che il giorno 24 settembre, in occasione della seconda prova scritta, il segretario avrebbe favorito il concorrente B.E., avendogli comunicato in anticipo il tema della prova; afferma di avere elementi oggettivi ma non prove e che se ne avesse avute avrebbe sporto denuncia alla Procura”. Non vi è dubbio si trattasse di una notizia avente ad oggetto un fatto specifico idoneo ad integrare estremi di reato perseguibile d’ufficio (e cioè l’illecito favoritismo che si sarebbe verificato in occasione della seconda prova scritta con “inquinamento”, “alterazione” della procedura concorsuale), proveniente da fonte dotata di adeguata credibilità. La stessa non poteva comportare alcun indugio del Sindaco nel notiziare della stessa l’autorità penale, irrilevante essendo la mancanza di elementi certi per attribuire ad un determinato soggetto la responsabilità del favoritismo.
Nè invero può desumersi l’insussistenza di un obbligo di denuncia dall’essere successivamente intervenuta richiesta di archiviazione del procedimento penale formulata dal P.M. ed accolta del G.I.P. di Ferrara in quanto la valutazione va svolta ex ante e prescindendo dai successivi esiti dell’inchiesta penale.
La decisione del Sindaco di inviare gli atti alla Procura andava, infatti, analizzata tenendo conto (come è avvenuto) delle circostanze di cui in quel momento il predetto era venuto a conoscenza, in un contesto segnato dalla necessità di assolvere alle funzioni di vigilanza a garanzia del buon andamento dell’attività amministrativa del Comune e senza che spettasse al pubblico ufficiale l’onere di una previa istruttoria.
Neppure può sostenersi che la richiesta di rendicontazione inviata dal Sindaco al Serpillo potesse assumere una qualche rilevanza nel senso di condizionare all’esito della stessa le determinazioni da adottarsi ai sensi dell’art. 331 c.p.p., trattandosi di richiesta afferente ai doverosi adempimenti amministrativi interni, in sè ininfluente al fine di indebolire ovvero ridimensionare ex post gli elementi a disposizione del Sindaco e già tali da far scattare l’obbligo di denuncia.
2.1. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 c.c., anche con riferimento al D.Lgs. n. 276 del 2000, art. 97, comma 4, lett. d), art. 52, comma 3, lett. c) Statuto del Comune di Jolanda di Savoia nonchè all’art. 25, comma 2, lett. a) del Regolamento dei Concorsi del Comune. Lamenta che la Corte territoriale nell’escludere la giusta causa delle dimissioni per “un’incomprensibile pretesa di rispetto della doverosa fiduciarietà istituzionale tra le rispettive figure del Sindaco e del presidente della commissione di concorso (che è quella che viene qui in rilievo, senza addentellati diretti con ulteriori incarichi di City Manager e Segretario comunale rivestiti dal S.” non avrebbe considerato che il ruolo di presidente della Commissione non è un incarico autonomo e svincolato da quelli di Direttore e di segretario comunale ma è espressamente previsto per legge.
2.2. Il motivo è infondato.
Anche in questo caso il ricorrente pretende una rivalutazione del merito della causa.
Comunque, se pure è vero che il S., nella sua qualità di Direttore generale e Segretario fu incaricato di indire il concorso per obbligo normativo (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, lett. e) e regolamentare (art. 7, comma 1 Regolamento dei concorsi del Comune di Jolanda, all. D 34 del ricorso per cassazione) e che sempre per tale obbligo regolamentare il medesimo assunse il ruolo di presidente della Commissione (art. 25, comma 2 Regolamento citato), correttamente la Corte territoriale ha distinto tale compito da quelli più ampi afferenti il ruolo di Direttore Generale e di Segretario e ritenuto che la vicenda relativa al concorso (in relazione alla quale il Sindaco si era limitato a trasmettere gli atti alla procura della Repubblica in quanto in sè idonei ad integrare estremi di reato perseguibile d’ufficio senza tuttavia che fossero individuate personali responsabilità) non potesse essere interpretata come una “mozione di sfiducia” nei confronti del S. con la conseguenza che il pur comprensibile disagio vissuto dal medesimo per il coinvolgimento nella vicenda oggetto dell’indagine penale non poteva giustificare le dimissioni.
3.1. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Rileva che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sul rilievo dell’appellante concernente il passaggio della sentenza di primo grado in cui era stato detto che la sospensione della procedura concorsuale e la nomina di un altro responsabile del procedimento al posto del S. erano una naturale conseguenza della trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica. Evidenza, in particolare, che, come sottolineato in sede di gravame, tale sospensione era stata disposta dopo un mese dalla indicata trasmissione, e non dunque nell’immediatezza, il che escludeva che la stessa potesse essere giustificata dall’esigenza di evitare che il reato fosse portato a conseguenze ulteriori o rimanere occulto e sottolinea che l’inerzia del Comune era stata interrotta solo dall’impulso dato dallo stesso Serpillo il quale in data 4 dicembre 2010 aveva manifestato l’intenzione di pervenire alla chiusura delle operazioni concorsuali. Rileva altresì che egualmente la Corte territoriale non si sarebbe pronuncia sull’attribuita responsabilità del procedimento a soggetto diverso dal ricorrente.
3.2. Il motivo è inammissibile.
L’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti non può essere dedotto vertendosi in ipotesi di “doppia conforme” prevista dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, disposizione applicabile D.L. n. 83 del 2012, ex art. 54, comma 2, “ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (12 agosto 2012), ossia ai giudizi introdotti in grado di appello dal giorno 11 settembre 2012 in poi (v. Cass. n. 5528 del 2014, in motiv.) e, quindi al presente giudizio giacchè l’appello è stato depositato successivamente a tale data.
Secondo l’orientamento già espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 10 marzo 2018, n. 5528; Cass. 27 settembre 2016, n. 19001; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774).
Nel caso in esame la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la pronuncia del Tribunale (v. pag. 3 della sentenza), ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure ed il ricorrente, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo, non ha indicato le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni, dimostrando la diversità tra esse (v. Cass. 10 marzo 2014, n. 5528 e successive conformi), diversità che va all’evidenza esclusa, avendo la Corte territoriale prestato piena adesione alla ricostruzione operata dal Tribunale.
Nè il vizio del ricorso per cassazione può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 378 c.p.c., la cui ratio è solo quella di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli (v. Cass. 23 agosto 2011, n. 17603; Cass. 18 dicembre 2014, n. 26670; Cass. 25 febbraio 2015, n. 3780; Cass. 28 novembre 2018, n. 30760).
Il limite della “doppia conforme”, del resto, non può che riguardare, a tenore dello stesso contenuto dell’art. 348 ter c.p.c., commi 4 e 5, la decisione di secondo grado fondata sulle stesse ragioni, inerenti alle questioni di fatto di cui alla decisione di primo grado.
E nella specie il fatto oggetto di esame da parte della Corte territoriale (pretesa intempestività e inopportunità della trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica, corollario di discredito e implicita coazione alle dimissioni) è sempre stato lo stesso rispetto a quello del giudice di prime cure ed egualmente sovrapponibile il percorso argomentativo (v. pag. 3 della sentenza della Corte bolognese: “l’appello è manifestamente infondato e, integralmente richiamati e condivisi i puntuali, chiari ed esaustivi iter motivazionale e statuizioni della gravata sentenza, va de plano respinto”);
In ogni caso nessuna delle figure di “anomalia motivazionale” suscettibili di acquisire valenza ai fini dell’integrazione di un omesso esame di un fatto storico, principale o secondario (nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente l’omessa valutazione di elementi istruttori qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie) alla stregua della pronuncia di questa Corte a Sezioni unite del 7 aprile 2014, n. 8053 è ravvisabile in ordine alle motivazioni cui la Corte di merito ha ancorato il suo dictum.
Si badi che, per un verso, nel segno della citata pronuncia delle Sezioni unite per nulla rileva il semplice difetto di sufficienza della motivazione; per altro verso, che la Corte territoriale ha di sicuro disaminato il fatto storico dalle parti discusso, a carattere decisivo, connotante la res litigiosa, irrilevante essendo la valorizzazione di talune circostanze piuttosto che di altre.
Peraltro la questione della tempistica della sospensione della procedura concorsuale e quella dell’attribuzione ad altro funzionario del compito di valutare la sussistenza delle condizioni per l’annullamento del concorso in via di autotutela non assumono carattere decisivo alla luce di quanto sopra evidenziato circa il fatto che le vicende relative alla procedura concorsuale non potessero essere lette in termini di sfiducia nei confronti del S. quale Direttore Generale e Segretario.
4.1. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Rileva che la Corte territoriale non si sarebbe pronunciata sulla pubblicità che alla vicenda era stata data e sull’episodio della lettera anonima offensiva, con riferimento al danno all’immagine professionale e personale del ricorrente.
4.2. Il motivo è, come il precedente, inammissibile per il limite della doppia conforme.
In ogni caso non c’è stato alcun omesso esame atteso che la Corte territoriale, alle pagg. 6 (ultimo capoverso) e 7, ha richiamato e fatto propri “motivi e riscontri compiutamente esposti nell’appellata sentenza in ordine all’insussistenza di pubblicità della vicenda determinante ex se discredito e delegittimazione del Segretario Comunale e Direttore Generale, anche con riferimento al recapito dopo le intervenute dimissioni della lettera anonima offensiva dell’onore del S.”.
5. Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
6. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura di cui al dispositivo.
7. Va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Comune controricorrente, delle spese delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 5.800,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019