LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. LEONE Maria Margherita – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9429-2018 proposto da:
B.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE ANGELICO 70, presso lo studio dell’avvocato CACCIATO INSILLA ELISA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati PULLI CLEMENTINA, CAPANNOLO EMANUELA, MASSA MANUELA, VALENTE NICOLA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 7551/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 21/09/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE MARGHERITA MARIA.
RILEVATO
Che:
Il Tribunale di Roma con sentenza n. 7551/2017 resa in sede di procedimento ai sensi dell’art. 445 bis c.p.c., aveva dichiarato che B.M. presentava i requisiti sanitari di cui alla L. n. 18 del 1980, art. 1, con decorrenza dalla domanda amministrativa, invece rigettando la domanda di condanna dell’Inps al pagamento dei ratei della prestazione e compensando per metà le spese di lite, posta l’ulteriore metà a carico dell’Inps.
Avverso tale decisione la B. proponeva ricorso affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso l’Inps.
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
Che:
1) Con il primo motivo è dedotta la violazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 445-bis e 91 c.p.c., in relazione agli artt. 112 e 336 c.p.c., per aver, il tribunale, accolto la domanda relativa alla decorrenza dei requisiti sanitati in oggetto, e quindi parzialmente riformando l’omologa parziale accertativa dei requisiti con decorrenza diversa, senza liquidare le spese della fase dell’accertamento tecnico.
Rilevava parte ricorrente che nella fase dell’accertamento, il giudice fissava una decorrenza del requisito da epoca successiva a quella richiesta e quindi compensava le spese di lite. Successivamente, avendo il tribunale, a seguito di contestazione, accolto la domanda integralmente, avrebbe dovuto statuire anche sulle spese della precedente fase.
Il motivo risulta inammissibile per più profili: preliminarmente deve rilevarsi che il motivo di censura non riporta il testo della documentazione richiamata (decreto di omologa, ricorso dinanzi al tribunale), così risultando privo della necessaria specificità invece richiesta per consentire una adeguata e compiuta valutazione della censura.
Peraltro l’eventuale vizio di omessa pronuncia sulla eccezione di nullità della sentenza di primo grado avrebbe dovuto essere introdotto con il richiamo al difetto di attività del giudice d’appello di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 Questa Corte ha in proposito chiarito che ” L’omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 c.p.c., n. 3, o del vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo ” error in procedendo” – ovverosia della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare l’esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro “ex actis” dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo Cass. n. 1755/2006; conf. Cass.n. 22759/2014; Cass. n. 25259/2017).
2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 445-bis, 696 e 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Parte ricorrente rileva che al procedimento di cui all’art. 445-bis c.p.c. devono applicarsi, quanto alle spese di lite, le disposizioni di cui all’art. 696 c.p.c. secondo cui le spese devono essere poste a carico del ricorrente in ragione del principio di anticipazione delle spese processuali e poi eventualmente confluire nel giudizio di merito e seguire il principio della soccombenza.
Il motivo risulta inconferente. Il richiamo fatto dagli artt. 445-bis e 696 c.p.c., non è specifico sulle spese processuali essendo utilizzato dal legislatore allo scopo di indicare il similare procedimento di accertamento tecnico preventivo finalizzato alla composizione conciliativa della lite con riguardo alle attività da compiere per la nomina del ctu da parte del giudice e la fissazione della data dell’inizio delle operazioni peritali (e le attività comunque “compatibili”). Peraltro, nel caso in esame, le spese in sede di ATP sono state liquidate e compensate e dunque il Giudice vi ha provveduto.
3) Con il terzo motivo è dedotta la violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver, il tribunale, compensato le spese di lite nella sentenza impugnata.
Il motivo è infondato in quanto nelle ipotesi in cui venga accolta parzialmente l’unica domanda proposta, sia essa articolata in un unico capo o in più capi, dei quali siano stati accolti uno o alcuni e rigettati gli altri il Giudice può compensare le spese (Cass. n. 20888/2018; Cass. 26918/2018).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 2.500,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019
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