LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25159-2017 proposto da:
S.R.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ASIAGO 2, presso lo studio dell’avvocato WALTER CONDOLEO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
C.M.C., nella qualità di titolare della Ditta ORCHIDEA BLU DI C.M.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ASIAGO 9, presso lo studio dell’avvocato EDOARDO SPIGHETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO MINNITI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1597/2016 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO, depositata il 27/12/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CAVALLARO LUIGI.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 27.12.2016, la Corte d’appello di Catanzaro, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda di S.R.I. volta al riconoscimento della natura subordinata della collaborazione prestata in favore di C.M.C. dal 1998 al 2007 e alla corresponsione delle consequenziali differenze retributive;
che avverso tale pronuncia S.R.I. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
che C.M.C. ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo di censura, la ricorrente denuncia omesso esame circa un fatto decisivo in relazione all’erronea ed insufficiente valutazione nonchè all’arbitrario apprezzamento delle risultanze probatorie e vizio di motivazione per avere la Corte di merito ritenuto, sulla scorta di una valutazione d’inattendibilità delle testimonianze da lei addotte, che, dopo il licenziamento intimatole dall’odierna controricorrente nel 2002, la collaborazione da lei prestata avesse avuto natura saltuaria;
che, con il secondo motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 2094 c.c. per avere la Corte ritenuto insussistente il rapporto di lavoro subordinato nonostante che la sua effettiva ricorrenza fosse stata confermata dai testi escussi;
che, con riguardo al primo motivo, questa Corte di legittimità ha ormai consolidato il principio secondo cui, specie a seguito della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5 da parte del D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (conv. con L. n. 134 del 2012), può essere dedotto in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5 soltanto l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere autonomamente decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia, restando viceversa esclusa la possibilità di dolersi dell’omesso esame di singoli elementi istruttori, qualora il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. n. 8053 del 2014);
che, sotto altro ma concorrente profilo, si è chiarito che la valutazione delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, così come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 16056 del 2016, 19011 del 2017);
che, coerentemente con le superiori premesse, si è evidenziato che, mercè la denuncia del vizio ex art. 360 c.p.c., n. 5 la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito, poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (così, da ult., Cass. n. 29404 del 2017);
che, alla stregua dei suesposti principi, il motivo di censura in esame appare manifestamente inammissibile, proponendosi precisamente di censurare la valutazione di inattendibilità delle deposizioni testimoniali compiuta dalla Corte di merito senza indicare alcun fatto decisivo (nel senso dianzi precisato) il cui esame sarebbe stato omesso nel formularla;
che, con riguardo al secondo motivo, è parimenti consolidato il principio di diritto secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità (così da ult. Cass. n. 3340 del 2019);
che, nella specie, il motivo di censura incorre precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulato con riferimento alla violazione dell’art. 2094 c.c., pretende di criticare l’accertamento di fatto compiuto dalla Corte territoriale al fine di escludere la ricorrenza dei presupposti per la sua applicazione;
che è inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con cui si deducano violazioni di disposizioni di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, atteso che in tal modo si consentirebbe la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro: 4.700,00, di cui Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019