LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9102-2018 proposto da:
POSTE ITALIANE SPA *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
F.P., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MARIA GOFFREDO, ETTORE SBARRA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2581/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 05/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO LUCIA.
RILEVATO
CHE:
La Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza di primo grado e in accoglimento della domanda avanzata da F.P., dichiarava la nullità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato stipulato tra le parti il 28/1/2004, condannando Poste S.p.A. a riammettere in servizio la lavoratrice e a corrisponderle un’indennità pari a tre mensilità della retribuzione globale di fatto;
a fondamento della decisione la Corte territoriale escludeva l’avvenuta risoluzione del contratto per mutuo consenso e rilevava che in relazione al contratto, disciplinato dal D.Lgs. n. 368 del 2001, con assunzione precaria “per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di ***** presso il ***** assente con diritto alla conservazione del posto di lavoro nel periodo dal 29 gennaio 2004 al 13 marzo 2004”, non risultava soddisfatto l’onere di specificazione richiesto dalla legge;
avverso la sentenza propone ricorso per cassazione la Poste Italiane s.p.a. sulla base di due motivi;
F.P. resiste con controricorso;
la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte costituita, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1372 c.c., nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e nullità del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, rilevando che la Corte territoriale non aveva proceduto a una concreta ed espressa analisi di tutte le circostanze dedotte e in particolare aveva omesso di valutare che il rapporto si era concluso alla naturale scadenza senza alcuna contestazione da parte della lavoratrice, che aveva accettato il tfr e le altre indennità connesse alla cessazione del rapporto senza riserve, tutto ciò in aggiunta alla circostanza relativa al trascorrere del tempo (più di quattro anni) dalla cessazione del rapporto;
che il motivo è infondato, non ravvisandosi il denunciato vizio di omesso esame di fatti decisivi, poichè il giudice del merito ha compiuto una valutazione che ha preso in considerazione il complesso degli elementi di fatto dedotti, significando che il trascorrere del tempo, unitamente alla mera accettazione del trattamento di fine rapporto, “non può essere interpretata, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinuncia ai diritti derivanti dalla illegittimità del licenziamento”;
in ordine alla denunciata violazione di legge, si osserva che la valutazione del giudice del merito circa l’idoneità degli elementi presuntivi a fondare il convincimento in ordine allo scioglimento del rapporto rientra nei compiti affidati al giudice del fatto, senza che il giudizio espresso in relazione al complesso degli indizi – soggetti, come avvenuto in concreto, ad una valutazione globale e non con riferimento singolare a ciascuno di essi – possa essere suscettibile di un diverso o rinnovato apprezzamento in sede di legittimità (in tal senso Cass. n. 29781 del 12/12/2017: “In tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente”);
con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dell’art. 1362 c.c. e ss. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e omesso, insufficiente e contraddittorio esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, deducendo che la clausola appositiva del termine al contratto è conforme alla disciplina richiamata, posto che correlata ad elementi sufficientemente oggettivi ricavabili dalle indicazioni (riguardo al personale da sostituire, alle mansioni da esso svolte e alla delimitazione temporale delle assenze, all’ambito territoriale di riferimento, sulla base dei documenti depositati, tra cui il prospetto assenze) contenute nel contratto, non essendo necessaria l’indicazione del nominativo del lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto ed essendo stati enunciati dalla giurisprudenza di legittimità i criteri di elasticità con cui deve essere vagliato il concetto di specificità nelle situazioni aziendali complesse (Cass. 10068/2013);
il motivo, quanto al profilo attinente a violazione di legge, è fondato;
la giurisprudenza di questa Corte (cfr., in particolare, Cass. 2.5.11 n. 9602; Cass. 26.1.2010 n. 1577; Cass. 26 gennaio 2010 n. 1576; Cass. n. 10068 del 26/04/2013, Cass. n. 13466 del 30/06/2016) ha più volte affermato il seguente principio di diritto, cui nella presente sede va data continuità: “In tema di assunzione a termine di lavoratori subordinati per ragioni di carattere sostitutivo, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, con cui è stata dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, l’onere di specificazione delle predette ragioni è correlato alla finalità di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Pertanto, nelle situazioni aziendali complesse, in cui la sostituzione non è riferita ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica, occasionalmente scoperta, l’apposizione del termine deve considerarsi legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando, in ogni caso, la verificabilità della sussistenza effettiva del prospettato presupposto di legittimità”;
nel caso in esame la valutazione del tenore e della specificità della clausola contrattuale appositiva del termine operata dalla Corte di merito non si è attenuta ai criteri enunciati sopra richiamati, talchè la sentenza va cassata sul punto, con rinvio al giudice del merito affinchè effettui nuova valutazione al riguardo e al quale va rimessa ogni altra questione;
il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019