Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.17389 del 27/06/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1636-2018 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO TRIESTE 109, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MARTINI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DONATO MONDELLI;

– ricorrente –

contro

C.B.P., C.A., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA ORTIGARA 3, presso lo studio dell’avvocato MICHELE AURELI, che le rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO SAVELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 574/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 26/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA MARIA LEONE.

RILEVATO

CHE:

La Corte di appello di Bologna con la sentenza n. 574/2017, per quel che in questa sede rileva, aveva respinto nel merito l’appello proposto da B.G. avverso la decisione con la quale il Tribunale di Rimini aveva rigettato la domanda proposta dallo stesso appellante nei confronti di C.B.P. e C.A. diretta all’accertamento della esistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro subordinato dal 1.5.1993 al 31.5.2009.

La corte territoriale aveva rilevato che nel 1990 le parti avevano stipulato, oltre che un contratto di comodato per l’appartamento di servizio, un contratto d’opera per lavori di cura, manutenzione e custodia dell’immobile e dell’annesso parco di proprietà delle appellate e che il B. non aveva allegato e dimostrato quali elementi nuovi fossero intervenuti dal 1993 tali da modificare il contenuto della prestazione e indurre l’appellante a richiedere il riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato solo da quella data. Specificava a riguardo che alcun ostacolo a tal riguardo poteva essere rappresentato dalla circostanza che sino al 1993 il B. fosse stato dipendente di altra ditta, poichè comunque era suo onere allegare e provare specificamente il mutamento oggettivo delle modalità della prestazione resa dal 1993 rispetto a quella antecedente. Riteneva la corte che il mancato assolvimento, da parte del B., di tale onere, e quindi la mancata prova su direttive specifiche e controlli costanti sulle modalità della prestazione, nonchè la pacifica circostanza che le appellate, fossero presenti nell’immobile solo per pochissimo tempo nel corso dell’anno, rendevano evidente che il controllo avvenisse solo sul risultato della prestazione ovvero sulle condizioni di mantenimento della casa. Circostanze, queste, che risultavano coerenti con la tipologia contrattuale adottata in origine dalle parti.

Avverso detta decisione il b. proponeva ricorso affidato a tre motivi cui resistevano la C.B. e la C. con controricorso.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio; entrambe le parti depositavano successiva memoria.

CONSIDERATO

CHE:

1) Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. e dell’art. 1414 c.c., comma 1, in relazione ai risultati ed alle emergenze della istruttoria orale e dei contratti stipulati tra le parti. (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Assume a riguardo che una corretta lettura ed interpretazione delle deposizioni testimoniali, avrebbe determinato conclusioni opposte rispetto alla valutazione effettuata.

Questa Corte ha precisato che ” E’ inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass.n. 8758/017; Cass.n. 18721/2018).

Nel motivo in esame il ricorrente non ha indicato quale violazione delle norme richiamate sia stata compiuta dalla sentenza impugnata, invece imputando l’asserito vizio ad una errata valutazione delle risultanze testimoniali, il cui ri-esame è estraneo a questa sede di legittimità. Il motivo è quindi inammissibile.

2) Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 111 Cost., dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, in relazione all’omessa valutazione della deposizione testimoniale dei testi indotti dalla parte ricorrente e dei documenti versati in giudizio. Nullità della decisione per assenza di motivazione ovvero motivazione solo apparente e meramente per relationem (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4).

Parte ricorrente lamenta la mancata autonoma valutazione delle risultanze istruttorie da parte della corte territoriale che, si sarebbe, a suo dire, limitata a richiamare acriticamente quanto valutato dal giudice di primo grado.

Il motivo risulta inammissibile oltre che infondato. Preliminarmente nella censura non sono riportate le “censure difensive formulate nel giudizio di secondo grado” alle quali la corte non avrebbe dato attenzione e doverosa confutazione. Già tale carenza rende privo di specificità il motivo.

Peraltro, come già in molte occasioni affermato “I”esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex multis Cass. n. 19011/2017; Cass.n. 16056/2016).

Nel caso in esame la corte territoriale ha fondato la decisione sul primario argomento che, in presenza di un contratto d’opera stipulato tra le parti nel 1990, non erano stati allegati e provati elementi di discontinuità, di mutamento della causa del contratto e di diverso atteggiarsi del rapporto, tali da contrastare e superare le volontà espressa nell’accordo contrattuale. La corte in tale contesto valutativo ha poi confermato il giudizio del tribunale sulla assenza di prove inerenti gli elementi tipici della subordinazione, richiamando, quale argomento a”chiusura”, la pacifica circostanza che le due proprietarie dell’immobile fossero presenti in esse solo per pochissimo tempo nel corso dell’anno, sì da evidenziare che ciò escludeva qualsiasi criterio di effettivo controllo sulle singole ore e modalità della prestazione.

Rispetto a tali statuizioni, non censurate dal ricorrente, assume dunque irrilevanza ogni ulteriore doglianza su eventuali errate valutazioni testimoniali (peraltro inammissibili), e rende infondata ogni censura sulla apparenza della motivazione ovvero sulla motivazione per relationem.

A riguardo la censura non può neppure trovare sponda sul versante dell’esame della motivazione e della sua denunciata carenza e contraddittorietà, in quanto le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053/2014 hanno chiarito che “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”. L’assenza di precise indicazioni inerenti una delle ipotesi sopra enunciate rende quindi inammissibile la censura.

3) Con il terzo motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo della controversia che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione al contenuto dei contratti del 17.4.1990 in uno con il materiale probatorio raccolto nel giudizio.

Parte ricorrente lamenta il mancato esame dell’obbligo contenuto nel contratto del 1990 di residenza, per i custodi, nell’immobile, in via continuativa, nonchè l’obbligo di esecuzione dei lavori affidati, in conformità alle direttive formulate dalle parti committenti.

Il motivo risulta infondato (oltre che inammissibile perchè non precisato dove e come sottoposti all’esame della corte), in quanto la corte d’appello ha esaminato tali obbligazioni e, valutandole, le ha poste a fondamento del suo decisum.

Il ricorso deve essere rigettato. Sussistono i presupposto per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, secondo quanto contenuto in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 5.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019

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