LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –
Dott. MOCCI Mauro – rel. Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –
Dott. CAPOZZI Raffaele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25364-2017 proposto da:
L.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VLADIER N. 43, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ROMANO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. MAURO MOCCI.
RILEVATO
Che:
L.G. propone ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania che, in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, aveva respinto il suo appello contro la decisione della Commissione tributaria provinciale di Benevento. Quest’ultima, a sua volta, aveva rigettato il ricorso del contribuente contro un avviso di accertamento per IRPEF, per gli anni 2006-2009.
CONSIDERATO
Che:
il ricorso è affidato a due motivi;
che, attraverso il primo, il ricorrente assume omesso o insufficiente esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5: la CTR avrebbe trascurato di prendere in considerazione le argomentazioni sviluppate dal contribuente e le dichiarazioni rese da terzi ed allegate in atti; che, col secondo, il contribuente lamenta violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e della L. n. 212 del 2000, art. 7, ex art. 360 c.p.c., n. 3: la motivazione dell’avviso di accertamento non avrebbe potuto prescindere dall’allegazione del verbale della Guardia di Finanza;
che l’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso;
che il primo motivo è inammissibile;
che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014);
che la censura è priva delle suddette prescrizioni e cela piuttosto il tentativo di una rivalutazione del materiale probatorio;
che il secondo motivo è infondato;
che, in tema di contenzioso tributario, l’avviso di accertamento ha carattere di “provocatio ad opponendum”, sicchè l’obbligo di sua motivazione è soddisfatto, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l’an ed il quantum debeatur (Sez. 6-5, n. 9008 del 06/04/2017);
che il ricorso va dunque respinto;
che al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente, nella misura indicata in dispositivo;
che, ai sensi del D.P.R. n. 115 dei 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis,.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, a favore dell’Agenzia delle Entrate, in Euro 6.000, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 dei 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Così deciso in Roma, il 14 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 27 giugno 2019