Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.17689 del 02/07/2019

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In caso di provvedimenti in tema di affidamento o collocazione della prole nell’ambito di procedimenti di separazione personale o scioglimento del matrimonio o cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, la successiva modifica, ad opera del tribunale per i minorenni, del solo regime di collocazione del figlio non ha effetto automatico sulla precedente statuizione di un contributo periodico per il mantenimento del figlio, adottata dal tribunale della separazione o del divorzio, potendo il relativo giudicato, benchè peculiare in quanto reso rebus sic stantibus, essere neutralizzato solo col peculiare rimedio previsto dall’ordinamento e consistente nella revisione di cui all’art. 710 c.p.c. o L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10084-2018 proposto da:

B.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI 2, presso lo studio dell’avvocato DANIELE CIUTI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUISA GATTO;

– ricorrente –

contro

D.M., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANNI TAFFARELLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 78/2018 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 17/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 30/04/2019 dal Consigliere Dott. FRANCO DE STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo;

udito l’Avvocato CIUTI DANIELE;

udito l’Avvocato GATTO LUISA;

udito l’Avvocato BRUNELLO GAUDENZIA per delega.

FATTI DI CAUSA

1. B.V. ricorre, affidandosi a quattro motivi con atto notificato a mezzo p.e.c. il 26/03/2018, per la cassazione della sentenza del 17/01/2018 della Corte di appello di Venezia, notificata a mezzo p.e.c. il 24/01/2018, con cui è stato respinto il suo appello contro la reiezione della sua opposizione al precetto notificatogli il 09/04/2014 dalla ex coniuge D.M., per Euro 17.475,02 quali arretrati dell’assegno – posto a carico dell’intimato con la sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio (del Tribunale di Treviso n. 46/2010) – per il mantenimento del figlio F..

2. In particolare, alla sentenza di cessazione degli effetti civili del matrimonio del 13/01/2010, che aveva posto a carico del B. un assegno o contributo di Euro 650 mensili per il mantenimento del figlio F., contestualmente collocato presso la madre, era seguito un primo decreto del Tribunale per i Minorenni di Venezia del 20/01/2012 (pubbl. il 06/02/2012) su ricorso del P.M.M. volto alla verifica delle capacità genitoriali di entrambi gli ex coniugi, che aveva affidato il figlio al Comune e lo aveva collocato presso il padre; mentre, nel corso dell’opposizione a precetto, era intervenuto ulteriore provvedimento del Tribunale per i Minorenni – decreto 07/11/2014 – di sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale per entrambi i genitori e, per la madre, per la persistente inottemperanza al dovere di contribuire al mantenimento del figlio.

3. Sulle contestazioni dell’ex coniuge, l’adito Tribunale di Treviso respinse l’opposizione a precetto, sull’essenziale considerazione che la collocazione del minore presso il padre non aveva privato il titolo esecutivo di efficacia e validità, incombendo sul debitore l’onere di attivare il procedimento previsto dalla legge sul divorzio, art. 9 pure escludendo il prospettato abuso del processo e la sussistenza dei presupposti della dispiegata exceptio doli generalis seu praesentis.

4. L’appello avverso tale sentenza, pubblicata il 29/10/2015, fu però – benchè fosse stata sospesa l’esecuzione comunque intrapresa dalla D., con provvedimento confermato in sede di reclamo rigettato dalla Corte di appello di Venezia con la qui gravata sentenza, la quale: in primo luogo, escluse che le statuizioni patrimoniali conseguenti alla sentenza di cessazione degli effetti civili (o di scioglimento del matrimonio), per quanto munite di validità rebus sic stantibus, fossero inficiate di per sè dal venir meno dei presupposti che giustificavano il precedente provvedimento, dovendo invece le eventuali conseguenti modifiche esser sempre disposte dal tribunale competente ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9ed acquistando efficacia solo dal momento della domanda; in secondo luogo, escluse l’abuso del processo, sia per la correttezza dell’utilizzazione, da parte della creditrice, degli strumenti apprestati dall’ordinamento per l’attuazione di credito fondato su sentenza integrante titolo esecutivo, sia per la non configurabilità di un abuso fondato sulla prospettazione dell’unilaterale valutazione del debitore di insussistenza del credito, ad eversivo detrimento dei principi della certezza del diritto fondati sull’immodificabilità delle decisioni giudiziarie al di fuori degli strumenti a ciò deputati; in terzo luogo, escluse pure la ricorrenza dei presupposti per la exceptio doli generalis seu praesentis, visto che la creditrice non aveva affatto taciuto situazioni sopravvenute alla fonte del diritto fatto valere ed aventi forza modificativa od estintiva del diritto stesso, anzi da subito avendo prospettato la lineare tesi difensiva della necessità, ad inficiare il titolo azionato, di un previo provvedimento da adottarsi a cura del debitore nelle forme della L. n. 878 del 1970, art. 9.

5. Al ricorso del B. resiste con controricorso la D.; e sul ricorso, dapprima oggetto di procedimento in camera di consiglio di cui all’art. 380-bis c.p.c., nel cui corso il ricorrente ha anche prodotto memoria, la sesta sezione ha disposto, con ordinanza 28/12/2018, n. 33647, la rimessione alla pubblica udienza: in primo luogo, rilevando come le doglianze involgessero non solo la questione dei rapporti tra provvedimenti successivi in tema di affidamento della prole, riconducibili o meno a procedimenti per la separazione personale o lo scioglimento del matrimonio ed il divorzio (connotati da una peculiare forma di giudicato, definito rebus sic stantibus), ma pure quella, di ancora più complessivo respiro, relativa al rapporto tra le rispettive esecutività ai fini dell’azionamento dell’uno e dell’altro; in secondo luogo, ritenendo meritevole di approfondimento in pubblica udienza la questione dell’incidenza, sulla consolidata giurisprudenza di questa Corte, della peculiarità della presente fattispecie, cioè l’adozione da parte del Tribunale per i Minorenni di un provvedimento di cui si era predicata l’efficacia esecutiva immediatamente modificativa almeno di uno dei presupposti del precedente provvedimento del giudice dello scioglimento del matrimonio.

6. Il ricorso è stato infine discusso alla pubblica udienza del 30/04/2019, per la quale il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente, che ha dedotto l’ingiustizia della pretesa creditoria di controparte per essere stato il figlio, al cui mantenimento si riferiva l’assegno posto a base dell’opposta esecuzione, collocato presso di lui fin dal marzo 2012 con provvedimento del Tribunale per i Minorenni del 20/01/2012, si duole:

– col primo motivo, di “violazione e falsa applicazione in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. dell’art. 30 Cost., artt. 147, 148,316bis e 337ter c.c.”: con ampie argomentazioni sostenendo che la sentenza di divorzio sarebbe stata modificata dai provvedimenti del Tribunale per i minorenni emessi in tema di (sospensione prima e decadenza poi) della potestà o responsabilità genitoriale, in base ad una competenza concorrente di quest’ufficio in sede di adozione di provvedimenti volti alla tutela dei figli;

– col secondo motivo, di “violazione e falsa applicazione in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. della carenza/caducazione dell’interesse ad agire in esecuzione ex art. 100 c.p.c.”, nonchè, con quello congiuntamente trattato, col terzo, di “violazione e falsa applicazione in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. della carenza/caducazione della legittimazione ad agire in esecuzione ex art. 81 c.p.c.”: contestando la sussistenza sia dell’interesse ad agire in concreto (quale vantaggio sostanziale perseguito con la domanda e non altrimenti conseguibile senza intervento del giudice), sia della legittimazione ad agire (quanto a titolarità del potere di promuovere un giudizio), siccome entrambi venuti meno in conseguenza dei provvedimenti del Tribunale per i minorenni col trasferimento del figlio presso il padre, che avrebbero eliso i presupposti del diritto iure proprio della madre al contributo al mantenimento del figlio (affidamento, collocamento e responsabilità genitoriale);

– col quarto motivo, di ” violazione e falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. dell’art. 1175 c.c. nonchè dell’art. 96 c.p.c. (exceptio doli)”: riproponendo la tesi della legittimità del rigetto della domanda ogniqualvolta siano state taciute situazioni sopravvenute aventi forza modificativa od estintiva del diritto, come sarebbe accaduto nella specie, per il collocamento del minore presso il padre e per il mancato sostenimento di qualunque spesa da parte della madre per il mantenimento del figlio.

2. La resistente dal canto suo, nel complesso ribadisce la propria persistente piena titolarità del diritto all’assegno di mantenimento anche al momento in cui aveva intimato il precetto oggetto dell’opposizione ed in particolare: ribadisce la necessità della previa modifica del provvedimento originario, costituito dalla sentenza di divorzio, da parte del giudice esclusivamente competente sul punto ai sensi della L. n. 898 del 1970, art. 9; nega l’ammissibilità di modifiche, tanto meno implicite, dei provvedimenti patrimoniali in quella contenuti in forza di provvedimenti successivi di altre autorità giudiziarie, pure in base al chiaro riparto di competenze di cui all’art. 38 disp. att. c.c.; argomenta per l’inammissibilità di contestazioni riguardanti il merito del titolo esecutivo, oltretutto giudiziale, azionato; deduce l’inammissibilità della trasposizione sul piano processuale delle contestazioni al merito della pretesa e l’infondatezza delle violazioni dedotte con l’ultimo motivo.

3. Alla disamina di tutti i motivi va premesso che pacificamente i provvedimenti del Tribunale per i minorenni non sono espressamente intervenuti sulle conseguenze economiche della modifica del regime di collocazione del figlio.

4. Ciò posto, il primo motivo è infondato, dovendo darsi continuità al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, a mente del quale “con l’opposizione al precetto relativo a crediti maturati per il mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, determinato a favore del figlio in sede di separazione o di divorzio, possono essere dedotte soltanto questioni relative alla validità ed efficacia del titolo e non anche fatti sopravvenuti, da farsi valere col procedimento di modifica delle condizioni della separazione di cui all’art. 710 c.p.c. o del divorzio di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 878, art. 9 (in tema di assegno in sede di separazione: Cass. ord. 25/09/2014, n. 20303; Cass. 09/11/2001, n. 13872; sull’intangibilità, in sede di esecuzione, dell’an e del quantum dell’assegno di mantenimento per i figli pronunciato nel provvedimento di divorzio: Cass. 10/11/2015, n. 23471; Cass. 16/06/2011, n. 13184; Cass. 01/04/1994, n. 3225)”.

5. La conclusione è in linea con il principio generale del processo esecutivo, di irrilevanza – a pena di inammissibilità delle opposizioni esecutive su quelli fondate (Cass. 25/02/2016, n. 3712; Cass. 17/02/2011, n. 3850; e innumerevoli altre, tra cui basti un richiamo a Cass. Sez. U. 23/01/2015, n. 1238) – dei fatti anteriori alla definitività del titolo o di quelli che comunque possono essere fatti valere con gli strumenti concessi per impedirne la definitività: infatti, nella specie, il titolo esecutivo in materia di famiglia è sì assistito da definitività equiparabile al giudicato, ma si tratta di un giudicato del tutto peculiare, altrimenti detto rebus sic stantibus (tra le ultime, v. Cass. ord. 30/07/2015, n. 16173), riguardo al quale i fatti sopravvenuti possono rilevare, ma soltanto attraverso un peculiare procedimento ad hoc, quale quello dell’art. 710 c.p.c.per la separazione o quello della L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 per il divorzio (scioglimento del matrimonio o declaratoria di cessazione degli effetti civili di quello concordatario).

6. Ed è proprio questa peculiarità del giudicato in materia di statuizioni economiche conseguenti a pronunce di separazione o divorzio, vale a dire la sua stretta interrelazione con una determinata situazione preesistente ma suscettibile naturaliter di un’evoluzione imponderabile perchè legata alle vicende personali dei coniugi od ex coniugi, a fondare l’insopprimibile esigenza di un previo formale intervento sul titolo preesistente, devoluto al giudice specializzato, come pure ad escludere la rilevanza diretta od immediata in sede di opposizione ad esecuzione di quei fatti, riservati alla cognizione di quel giudice specializzato nel superiore e pubblicistico interesse della migliore composizione possibile delle esigenze dei componenti della famiglia in crisi o disciolta.

7. L’esigenza di una considerazione complessiva di molteplici fattori, dei quali la collocazione del figlio è certamente uno dei più importanti ma non il solo ed esclusivo, consente di ricostruire come reciprocamente indipendenti, siccome connotate da una natura e da una funzione differenti e con oggetto solo in parte coincidente, le statuizioni in materia di collocazione del figlio e quelle sull’assegno o contributo per il suo mantenimento.

8. Tale reciproca autonomia impedisce ogni diretta o tanto meno automatica interazione delle due tipologie di provvedimenti e così l’estensione pura e semplice degli effetti delle prime sulle seconde e, benchè le une e le altre siano di certo di per sè sole esecutive, esse mantengono una reciproca autonomia e va esclusa una successione di titoli egualmente esecutivi aventi un medesimo oggetto.

9. Pertanto, una volta modificati dal tribunale per i minorenni esclusivamente l’assetto della responsabilità genitoriale e le concrete conseguenze in tema di collocazione del figlio presso l’uno anzichè l’altro dei genitori ex coniugi, non può prescindersi dal ricorso alla speciale procedura di revisione dei provvedimenti sul contributo per il mantenimento del figlio, di cui alla L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9 (o, per la sostanziale identità delle condizioni, di cui all’art. 710 c.p.c. in ipotesi di separazione personale), per rivederne, modificarne o neutralizzarne l’efficacia propria di titolo esecutivo.

10. Al riguardo, il giudice specializzato – e non anche, quindi, quello dell’esecuzione o dell’opposizione a questa e meno che mai il debitore in via unilaterale – è l’unico attrezzato alla necessaria complessiva ed approfondita valutazione, comparativa tra le situazioni rilevanti di entrambi i coniugi e direttamente coinvolte nelle cause della crisi del vincolo matrimoniale, comunque riferita a molteplici fattori, indispensabile di norma, pure a prescindere dalla collocazione del minore presso l’uno o l’altro dei genitori (del resto non esentando il coniuge formalmente non collocatario dall’obbligo di contribuzione la circostanza che il minore non si trovi presso di lui: in tema di divorzio, v. espressamente Cass. 08/09/2014, n. 18869).

11. In definitiva, è la persistente necessità di una complessiva valutazione di plurimi elementi anche in caso di modifica radicale del regime di collocazione del figlio ad escludere che la ponderazione delle conseguenze su persistenza e misura dell’assegno o contributo per il mantenimento del figlio possa essere rimessa all’unilaterale iniziativa dell’obbligato o anche soltanto a quella di un giudice diverso da quello cui l’ordinamento la riserva, cioè, di norma e per il caso di divorzio, il tribunale ordinario (fin da Cass. 27/03/1998, n. 3222).

12. Tale esigenza persiste tuttora, qualunque sia l’ampiezza dei provvedimenti del Tribunale per i minorenni in tema di responsabilità genitoriale, ma limitati agli aspetti non patrimoniali di questa: pertanto, in caso di divorzio o dichiarazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, finchè non intervenga un formale provvedimento di revisione anche del precedente che abbia determinato l’entità dell’assegno o contributo di mantenimento, la forza esecutiva di quest’ultimo permane e gli obblighi cui esso dà luogo persistono, benchè i sopravvenuti provvedimenti del tribunale per i minorenni in punto di concrete modalità dell’esercizio della responsabilità genitoriale costituiscano uno, anche se verosimilmente il più importante, degli elementi che il giudice della revisione della misura patrimoniale sarà chiamato a valutare, ma pur sempre in esito all’iniziativa dell’obbligato che voglia liberarsi da quella conseguenza.

13. In conclusione, la tesi del ricorrente sull’inutilità o non necessità del provvedimento del tribunale ordinario per la modifica del provvedimento originario non può essere condivisa, per la tassatività dei provvedimenti previsti al riguardo e l’esclusività della competenza del giudice (della separazione o) del divorzio in tema di provvedimenti conseguenti a contenuto patrimoniale, principi che vanno ritenuti di ordine pubblico, a tutela degli interessi di tutti i soggetti coinvolti dal disgregamento della famiglia: ed il primo motivo di ricorso va così rigettato.

14. Il secondo ed il terzo motivo, congiuntamente proposti e del resto suscettibili di unitario esame, sono del pari infondati: per generale principio del processo esecutivo, fondato su di un titolo di per sè solo normalmente necessario e sufficiente, l’interesse e la legittimazione ad agire esecutivamente sussistono, rispettivamente, in forza di un titolo esecutivo mai modificato ed in capo a chi vi è univocamente qualificato come creditore.

15. Infine, lo stesso istituto dell’exceptio doli generalis non può trovare applicazione nella fattispecie, nella quale nessuna circostanza è stata taciuta, tanto meno surrettiziamente, da parte della creditrice e l’azionamento di un titolo esecutivo la cui efficacia non è stata, da chi vi figura come debitore, modificata od elisa nelle forme previste dall’ordinamento non può configurare, di per sè solo e comunque neppure nella peculiare fattispecie per cui è causa, l’abuso del diritto di porlo in esecuzione.

16. Il ricorso va così nel suo complesso rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto: “in caso di provvedimenti in tema di affidamento o collocazione della prole nell’ambito di procedimenti di separazione personale o scioglimento del matrimonio o cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario, la successiva modifica, ad opera del tribunale per i minorenni, del solo regime di collocazione del figlio non ha effetto automatico sulla precedente statuizione di un contributo periodico per il mantenimento del figlio, adottata dal tribunale della separazione o del divorzio, potendo il relativo giudicato, benchè peculiare in quanto reso rebus sic stantibus, essere neutralizzato solo col peculiare rimedio previsto dall’ordinamento e consistente nella revisione di cui all’art. 710 c.p.c. o L. 1 dicembre 1970, n. 898, art. 9; ne consegue che, in mancanza di attivazione di tale specifica procedura, il genitore debitore di quel contributo resta obbligato in virtù della persistente forza esecutiva del primo provvedimento ed il genitore legittimamente aziona quest’ultimo finchè non venga espressamente modificato o revocato all’esito dell’esplicita valutazione, ad opera del solo giudice competente sulla revisione, di ogni altro elemento per la determinazione della debenza o della misura del contributo”.

17. Quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, peraltro, la relativa novità della questione, pure come compiutamente individuata dall’ordinanza di rimessione alla pubblica udienza, ne rende di giustizia l’integrale compensazione.

18. Infine, non può che darsi atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra le innumerevoli altre successive: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della non sussistenza trattandosi di ricorso esente dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17: norma in forza della quale il giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da quegli proposta, a norma del detto art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso rispettivamente proposto, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 30 aprile 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 luglio 2019

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