LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5194-2018 proposto da:
B.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALDINIEVOLE 11, presso lo studio dell’avvocato ESTER FERRARI MORANDI, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CLEMENTINA PULLI, EMANUELA CAPANNOLO, NICOLA VALENTE, MANUELA MASSA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4285/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non partecipata del 19/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA DE FELICE.
RILEVATO
che:
la Corte d’appello di Roma, a conferma la pronuncia di primo grado, ha rigettato la domanda proposta da B.G. rivolta a sentir dichiarare l’illegittimità della richiesta avanzata dall’Inps di restituzione della somma di Euro 5.443,50 corrisposta dall’istituto a titolo di pensione d’inabilità civile, in misura superiore al dovuto, in ragione del superamento, da parte della beneficiaria del requisito reddituale certificato dalla dichiarazione dei redditi relativa all’anno 2011;
a giudizio della Corte territoriale, la B. nulla aveva dedotto circa la pretesa insussistenza dell’obbligo di restituire la somma indebitamente, corrisposta, e, il contratto (del) segnatamente, non aveva contestato – nè chiesto di provare l’avvenuto superamento dei limiti reddituali, essendosi genericamente doluta soltanto della mancanza di chiarezza della nota di recupero dell’Inps del 21 agosto 2013;
la cassazione della sentenza è domandata da B.G. sulla base di un unico motivo al quale l’Inps oppone difese con tempestivo controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380 – bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.
CONSIDERATO
che:
il motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, contesta la sentenza della Corte territoriale là dove la stessa ha ritenuto ripetibili i ratei richiesti dall’Inps in quanto indebitamente percepiti dalla ricorrente, sostenendo che, come risulta dalla stessa documentazione in possesso dell’Istituto, il proprio reddito personale era inferiore al limite richiesto per la pensione ai sensi della L. n. 118 del 1971, ex art. 12;
il motivo è inammissibile;
parte ricorrente non trascrive, non produce, nè indica in quale sede processuale ha prodotto l’attestazione concernente il proprio reddito personale per l’anno di riferimento, sì come inferiore a quello annualmente previsto dalla legge quale limite reddituale massimo, in dispregio del principio di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4 ed all’art. 369 c.p.c., n. 6;
conformemente a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza che sia necessario fare rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. ex multis Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);
il motivo è parimenti inammissibile in base al consolidato orientamento di questa Corte secondo cui “In materia di indebito assistenziale, la violazione ad opera del titolare della prestazione dell’obbligo di comunicare all’Inps la situazione reddituale rilevante ai fini del diritto alla percezione della predetta prestazione esclude la sussistenza di un affidamento idoneo a giustificare l’irripetibilità dell’indebito” (Così Cass. n. 10642 del 2019);
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;
le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, atteso che anche a voler considerare quale mero errore materiale la formulazione letterale della dichiarazione contenuta nelle conclusioni del ricorso, resa ai fini dell’esenzione dalla condanna al pagamento delle spese di lite, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c. – va comunque rilevato che la stessa non può essere ritenuta valida in quanto non risulta sottoscritta dalla ricorrente;
in considerazione dell’esito del giudizio, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2000 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 19 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 29 novembre 2019