Corte di Cassazione, sez. III Civile, Ordinanza n.32484 del 12/12/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18638-2018 proposto da:

I.M.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALBERICO II N 4, presso lo studio dell’avvocato GIORGIA PICUTI, rappresentata e difesa dagli avvocati ANTONINO D. GULLO, FABIO TULONE;

– ricorrente –

contro

CREDITO VALTELLINESE SPA, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIUSEPPE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato SERGIO LIO, rappresentato e difeso dall’avvocato GABRIELE MESSINA VITRANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 789/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 13/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/09/2019 dal Consigliere Dott. PASQUALE GIANNITI.

RILEVATO IN FATTO

1. I.M.F. ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 789/2018 della Corte di Appello di Palermo che accogliendo l’impugnazione principale della Finanziaria San Giacomo e accogliendo parzialmente la sua impugnazione incidentale – ha riformato la sentenza n. 3574/2013 del Tribunale di Palermo (che, espletata ctu contabile ed affidato allo stesso incarico integrativo, in parziale accoglimento della sua opposizione, aveva revocato il decreto ingiuntivo, emesso per un ammontare di 519.228,78 delle vecchie Lire ed aveva rideterminato il suo debito nella minor somma di Euro 187.422,22); e, per l’effetto, l’ha condannata a corrispondere alla Finanziaria San Giacomo s.p.a. la complessiva somma di Euro 182.131,26 oltre interessi convenzionali a decorrere dal mese di novembre 1995 e sino al saldo definitivo, da determinarsi comunque nel limite del tasso legale previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4.

2.Ha resistito con controricorso la Cerved Credit Management s.p.a., quale procuratore del Credito Valtellinese s.p.a., cessionario di tutti i crediti pecuniari di cui era titolare la Finanziaria San Giacomo s.p.a., già appellante principale ed originaria convenuta.

3.In vista dell’odierna adunanza non sono state presentate memorie.

RITENUTO IN DIRITTO

1. I.M.F. censura la sentenza impugnata per tre motivi.

1.1. Con il primo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione del principio dell’onere della prova, stabilito dall’art. 2697 c.c. nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che il contratto di apertura di credito per cui era causa era un contratto di finanziamento per estinguere le passività del conto precedente e che non era risultato chiaro se detto finanziamento aveva o no avuto efficacia novativa con estinzione del precedente, senza tener conto che, trattandosi di opposizione a decreto ingiuntivo, sarebbe stato onere della banca provare il saldo iniziale del conto corrente mediante produzione degli estratti del conto (prima, di quello contrassegnato con il n. 951, e, poi, di quello contrassegnato con il n. 2070). Sostiene che l’istituto ha violato il principio dell’onere della prova in quanto – a fronte della sua specifica contestazione circa un saldo debitorio inferiore (pari a 224.547.841 delle vecchie Lire e non a 350.189.989 delle vecchie Lire) e circa l’unicità dell’intercorso rapporto bancario – non provando il saldo iniziale, non aveva consentito l’esatta determinazione del saldo debitorio; e che, in tale contesto, il criterio da adottare avrebbe dovuto essere quello di un calcolo che prevedesse l’inesistenza di un saldo debitorio alla data dell’estratto conto iniziale (ovverosia del saldo zero portato dal conto corrente n. 2070).

1.2. Con il secondo motivo, pure articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1421 e 1284 c.c. nonchè dell’art. 117 c.c., commi 1 e 3 nella parte in cui la corte territoriale non ha rilevato d’ufficio la parziale nullità del contratto 28/7/1989 intercorso tra le parti. Sottolinea che detto contratto, relativo all’apertura del conto corrente, prevedeva una durata di anni tre a decorrere dalla data di inizio di utilizzo della somma finanziata, ma, contrariamente a quanto sostenuto dalla corte di merito, non conteneva alcuna disciplina in ordine all’applicazione del tasso di interesse da applicarsi successivamente alla scadenza del triennio (ovvero dal luglio 1992 in poi), per cui la corte di appello, tenuto conto del disposto di cui all’art. 1284 (secondo il quale gli interessi superiori alla misura legale devono essere determinati per iscritto) avrebbe dovuto dichiarare d’ufficio la nullità del contratto per violazione di detta disposizione e calcolare il saldo debitorio per detto periodo depurando il conto da interessi ovvero in via subordinata applicando esclusivamente interessi nella misura legale (mentre erroneamente aveva calcolato il saldo debitorio applicando gli interessi convenzionali anche per il periodo successivo al termine di validità del contratto di apertura di credito).

1.3. Con il terzo ed ultimo motivo, articolato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 la ricorrente denuncia l’illegittimità della sentenza per violazione dell’art. 345 c.p.c. e in particolare per non aver preso atto che l’appello della Finanzaria conteneva domande nuove e per non averlo pertanto dichiarato inammissibile. Sottolinea che l’istituto in sede di ricorso monitorio aveva fatto espresso riferimento al limite del tasso massimo legale, previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2, comma 4 da applicarsi comunque nella determinazione del saldo debitorio sino all’estinzione del debito; mentre detto riferimento era mancato nelle conclusioni formulate dalla Banca nell’atto di appello.

2. Il ricorso va rigettato.

2.1. In punto di fatto, si rileva che la Corte di merito ha così ricostruito il rapporto tra le parti:

– in data 29 luglio 1989 l’allora Banca di Palermo (poi divenuta Finanziaria San Giacomo s.p.a.) aveva concesso alla I. un finanziamento per 350 milioni delle vecchie lire da effettuarsi sotto forma di un contratto di apertura di credito garantito da un’ipoteca di primo grado (conto corrente n. 2070);

– detto contratto prevedeva: all’art. 2, un piano di rientro qualificato anche quale riduzione del credito – da effettuarsi gradualmente in 3 anni con chiusura definitiva dell’apertura di credito nel triennio; agli artt. 3 e 4, un tasso interesse vincolato al tasso di sconto e comunque non inferiore al 15%, oltre ad un tasso di mora del 3%; all’art. 7, u.c. dell’allegato, interessi convenzionali in misura superiore a quella degli interessi legali fino all’estinzione del debito;

– era circostanza incontestata che l’apertura di credito/finanziamento era destinata per larga parte per l’estinzione di altra apertura di credito (di cui al conto corrente n. ***** acceso presso la stessa banca);

– il conto *****, alla data del 30 settembre 1989, presentava un saldo negativo, pari a meno 350.189.989 delle vecchie Lire.

2.2. Tale essendo la cornice fattuale, la Corte di merito dopo aver rilevato che il giudice di primo grado aveva revocato il decreto ingiuntivo (emesso a favore della Banca per un ammontare di Euro 519.228,78) ed aveva rideterminato il debito della I. nella minor somma di Euro 187.422,42, condannandola al relativo pagamento, oltre a interessi legali, sul presupposto che i due conti correnti fossero separati e che l’odierna ricorrente aveva utilizzato l’intera somma di cui all’apertura di credito – ha accolto l’unico motivo dell’appello principale (rilevando che l’ammontare del credito era stato quantificato dal ctu alla data del 31 ottobre); e per l’effetto ha stabilito che il credito della finanziaria era pari ad Euro 187.422,42, alla data del 31 ottobre 1995 e che a detta somma andavano aggiunti gli interessi da detta data maturati;

– ha respinto i primi due motivi dell’appello incidentale, osservando: a) quanto al primo, concernente la contestazione dell’ammontare del credito iniziale, che era documentalmente provato che la I. aveva interamente usufruito dell’apertura di credito (pari a 350 milioni delle vecchie Lire) e che il conto ***** al 30 settembre 1989 presentava un saldo negativo pari a meno lire 350.189.989, ragion per cui era corretta la quantificazione del debito iniziale effettuata dal giudice di primo grado; b) quanto al secondo, concernente la mancata stipulazione per iscritto degli interessi convenzionali per il periodo successivo alla scadenza dell’apertura di credito, che gli interessi convenzionali in misura superiore a quella legale erano stati pattuiti per iscritto come risultava dal sopra richiamato allegato (del contratto di apertura di credito; e per l’effetto ha confermato la sentenza di primo grado: sia nella parte in cui aveva affermato che il rapporto di cui al c/c ***** ed il rapporto di cui al c/c ***** erano rapporti distinti ed occorreva fare riferimento al primo al fine di quantificare il credito; sia nella parte in cui aveva affermato che gli interessi convenzionali erano stati correttamente applicati per il periodo successivo alla durata dell’apertura di credito di tre anni (salvo precisare che, alla luce della stessa domanda introduttiva del giudizio della finanziaria, gli interessi maturati, per il periodo successivo all’entrata in vigore della L. n. 108 del 1996, andavano calcolati nel limite del tasso legale previsto dalla L. n. 108 del 1996, art. 2).

2.3. Il primo motivo è inammissibile. Invero, la questione dell’unicità o meno dei due rapporti bancari (il conto n. ***** ed il conto n. *****) e della conseguente determinazione dell’ammontare del credito iniziale è quaestio facti, che rientra nel sindacato del giudice di merito e sfugge al sindacato demandato a questa Corte di legittimità. D’altronde, la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nel caso in cui il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni; mentre nel caso di specie la corte territoriale, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, ha correttamente distribuito tra le parti gli onera probandi, atteso che la società finanziaria, nel presentare ricorso monitorio, aveva individuato quale rapporto di conto corrente oggetto di contenzioso esclusivamente quello rubricato con il numero *****, in relazione al quale aveva prodotto tutti gli estratti conto.

Il secondo motivo è anch’esso inammissibile, in quanto involge questione che, non risultando essere stata proposta nel giudizio di appello, è da intendersi in questa sede nuova. D’altronde la società finanziaria risulta aver proposto appello a seguito dell’ordinanza con la quale il giudice di primo grado aveva rigettato la sua istanza di correzione della sentenza di primo grado, argomentando che la mancata condanna al pagamento degli interessi moratori integrava un vizio di omessa pronuncia e, pertanto, era suscettibile di fondare un eventuale motivo di gravame.

Infondato è infine il terzo motivo. Invero la ricorrente si duole del fatto che nel ricorso per decreto ingiuntivo erano stati chiesti gli interessi convenzionali comunque nei limiti del tasso soglia, laddove in appello erano stati chiesti gli interessi convenzionali tout court. Ma non considera che il disallineamento tra le conclusioni, rassegnate dalla società finanziaria in fase monitoria, e le conclusioni, dalla stessa società rassegnate nel giudizio di appello, è stato risolto dalla corte territoriale, riconoscendo gli interessi nella (più bassa) misura indicata nel monitorio, implicitamente ritenendo inammissibile la richiesta del più alto tasso avanzata in appello. Peraltro, al riguardo non è dato neppure comprendere l’interesse dell’ I. ad articolare la censura in esame, in quanto dalla sentenza impugnata risulta che la Corte territoriale, se la domanda di pagamento degli interessi non fosse stata contenuta nei limiti del tasso soglia, avrebbe liquidato una somma maggiore, cioè superiore a detto tasso soglia.

2.4. Per le ragioni che precedono, il ricorso deve essere rigettato.

3. Al rigetto del ricorso consegue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali, sostenute dalla controparte, nonchè la declaratoria di sussistenza di presupposti per il pagamento dell’importo, previsto per legge ed indicato in dispositivo.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna parte ricorrente al pagamento in favore della società resistente delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.600 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ad opera di parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 25 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 dicembre 2019

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