Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.3340 del 05/02/2019

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Impugnazioni civili - ricorso in cassazione - motivi di ricorso - violazione di norme di diritto

In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all'esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha dichiarato inammissibile il motivo di ricorso, formulato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con il quale era stata dedotta in modo del tutto generico la violazione di norme di legge, avuto riguardo alla valutazione sulla credibilità del richiedente protezione internazionale, attraverso il richiamo alle disposizioni disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal tribunale).
 

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Cassazione civile sez. I, 05/02/2019, (ud. 22/11/2018, dep. 05/02/2019), n.3340


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9293/2018 proposto da:

B.E., elettivamente domiciliato in Roma, via degli Scipioni


265 presso lo studio dell’avv. Domenico Liberatore, rappresentato e

difeso dall’avv. Antonio Ottaviano, del Foro di Vasto, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno; Commissione Territoriale per il

Riconoscimento della Protezione Internazionale di Firenze;

– intimato –

avverso il decreto n. 2126/2018 del TRIBUNALE DI ANCONA, pubblicato

il 15/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del


22/11/2018 dal Pres. Dott. SCHIRO’ STEFANO.

FATTI DI CAUSA

1) Con ricorso notificato il 21 marzo 2018 B.E., cittadino della Nigeria, ha impugnato per cassazione, sulla base di quattro motivi, il decreto del Tribunale di Ancona n. 2126/2018 del 15 febbraio 2018, con il quale è stato rigettato il ricorso dal medesimo proposto avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona in data 13 giugno 2017, che aveva respinto le domande di riconoscimento dello status di rifugiato o del diritto alla protezione sussidiaria, nonchè la domanda di accertamento del diritto alla protezione umanitaria, avanzate in conseguenza delle minacce subite da due gruppi cultisti, i Black Movement of Africa e gli Air Lords. In particolare, lo straniero aveva dedotto che un membro del gruppo Black Movement of Africa lo aveva ritenuto responsabile del fatto che la sua ragazza lo aveva lasciato e per questo aveva incominciato a perseguitarlo e a minacciarlo intimandogli di convincere la ragazza a tornare da lui. Spaventato, aveva chiesto aiuto a un suo amico, che faceva parte del gruppo Air Lords, ma ciò aveva dato origine a violenti scontri tra i due Cult ed aveva peggiorato la sua posizione, in quanto il gruppo Ail Lords, in cambio dell’aiuto prestatogli, pretendeva il suo ingresso nella confraternita. Minacciato e perseguitato dai due gruppi, uno che lo voleva uccidere per aver innescato una faida con l’altra confraternita e questa perchè lo voleva arruolato nelle sue fila, egli era fuggito in Libia e poi in Italia.


2) A fondamento della decisione, il giudice di merito ha così argomentato:

a) le dichiarazioni del ricorrente in merito alle motivazioni che lo avrebbero indotto a lasciare il paese di origine non sono credibili, in quanto è inverosimile che egli, da estraneo e non affiliato, fosse considerato così importante da una delle due organizzazioni al punto di entrare in un conflitto mortale con il gruppo avverso, così come è inverosimile che la protezione gli sia stata accordata senza che egli si fosse prima affiliato al gruppo;

b) la Nigeria è uno stato molto esteso, costituito da ben trentasei stati confederati; gli stati a rischio di violenza indiscriminata e generale e di conflitto armato sono quelli situati al nord, mentre il ricorrente proviene da differente zona, l’Edo State, situato nella Nigeria meridionale; è da escludere inoltre che, nel caso di specie, il ricorrente si trovi nelle condizioni di non potere o non volere, a causa del timore della persecuzione, avvalersi della protezione del paese di provenienza;

c) il ricorrente non ha comunque fatto riferimento al pericolo di attentati terroristici;

d) non sussiste il rischio che lo straniero sia sottoposto a pena capitale o a trattamenti inumani o degradanti nel paese di origine; dagli accadimenti riferiti dal ricorrente non emergono elementi di fondatezza a sostegno di un’ipotesi di danno grave;


e) non ricorrono neppure situazioni soggettive di particolare vulnerabilità per il riconoscimento della protezione umanitaria.

3) Il Ministero dell’Interno intimato non ha svolto difese.

Il Procuratore generale non ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

4) Con il primo motivo il ricorrente, denunciando violazione di legge e travisamento di fatti decisivi, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, censura il decreto impugnato per avere il Tribunale ritenuto non credibile il racconto del ricorrente.

Osserva il collegio che “La valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c)” (Cass. 27503/2018). Tale apprezzamento di fatto è censurabile solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, e interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, “…come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella ” motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella ” motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., S.U., 8053/2014). Al di fuori di dette ipotesi, “il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia” (Cass. 23940/2017).


4.1) Alla stregua dei principi sopra enunciati, la doglianza per violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, è inammissibile, in quanto si sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale sulla non credibilità del racconto dello straniero e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni. Il vizio di motivazione rappresentato (travisamento di fatti decisivi) non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, come lamentato dal ricorrente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico che ha evidenziato con coerenza le ragioni dell’inattendibilità della narrazione del ricorrente stesso (v. il precedente par. 2, sub a).

4.2) Il ricorrente ha sollevato censura anche con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denunciando violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 sempre con riferimento alla credibilità della vicenda personale narrata dal richiedente protezione.

Anche tale profilo di doglianza è inammissibile.

Il ricorrente, infatti, ha dedotto in modo del tutto generico la violazione delle nome di legge sopra indicate, attraverso il richiamo delle disposizioni asseritamente disattese e tramite una ricostruzione della fattispecie concreta difforme da quella accertata dal Tribunale. Ma questa Corte ha più volte affermato il principio, secondo il quale “in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” se non nei limiti del vizio di motivazione come indicato dall’art. 360 c.p.c., comma, n. 5, nel testo riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134 (Cass. 24155/2017; 195/2016; 26110/2015). “Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa” (Cass. 7394/2010).


5) Con il secondo motivo e il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, il ricorrente, denunciando ancora violazione di legge e vizio di motivazione, critica la decisione del Tribunale di non ritenere configurabile, in relazione alle asserite violenze e minacce subite ad opera dei membri dei gruppi cultisti e alla situazione di violenza indiscriminata esistente in Nigeria, il pericolo di un danno grave e i presupposti della protezione sussidiaria e di quella umanitaria. Lamenta altresì che il giudice di merito non si sia avvalso dei propri poteri ufficiosi di cooperazione istruttoria.

Il primo profilo di censura, comunque inammissibile in quanto prospetta una doglianza attinente al merito in contrapposizione all’accertamento del Tribunale, è assorbito dalla ritenuta non credibilità della narrazione dei fatti compiuta dal ricorrente. Il vizio di motivazione, peraltro meramente enunciato, non è neppure conforme al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo vigente ratione temporis. Il secondo profilo è infondato perchè il Tribunale ha compiutamente esercitato il suo potere-dovere di cooperazione istruttoria, richiamando come fonti di conoscenza agenzie internazionali accreditate (UNHCR), che hanno escluso che la zona di provenienza del ricorrente (Edo State, situato nella Nigeria meridionale) sia caratterizzata da violenza diffusa e indiscriminata o da conflitti armati.

6) Con il quarto motivo il ricorrente denuncia omessa pronuncia, mancata motivazione o motivazione apparente in ordine al diniego di protezione umanitaria.


La doglianza è inammissibile. La negazione della protezione umanitaria discende dall’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che ha escluso con idonea motivazione, alla stregua di quanto considerato nei paragrafi che precedono, sia la credibilità del ricorrente che l’esistenza di una situazione di sua particolare vulnerabilità. All’accertamento compiuto dal Tribunale viene inammissibilmente contrapposta una diversa interpretazione delle risultanze di causa.

A non differenti conclusioni si perviene sulla base della disciplina dettata dal D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, a prescindere dalla sua applicabilità alla fattispecie dedotta in giudizio, non contenendo il ricorso per cassazione alcuna indicazione di elementi di fatto riconducibili alle fattispecie prese in considerazione dalla nuova normativa.

7) Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato, ma nulla deve disporsi in ordine alle spese processuali, non avendo parte intimata svolto attività difensiva.

Poichè il ricorrente è stata ammesso al patrocinio a spese dello Stato, non sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

LA CORTE

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2019

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