LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – rel. Consigliere –
Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 23914-2015 proposto da:
ASCIT SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA DELL’EMPORIO 16/A, presso lo studio dell’avvocato GIANLUCA BALDACCI, che rappresenta e difende giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
ETRURIA STAR PRODUCTS IMPRESA INDIVIDUALE DI B.G.P.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 162314 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE, depositata il 02/59/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/09/2019 dal Consigliere Dott. GIACOMO MARIA STALLA;
udito il P.M. persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEDICINI ETTORE che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avvocato GUIZZI per delega dell’Avvocato BALDACCI che ha chiesto l’accoglimento.
FATTI RILEVANTI E RAGIONI DELLA DECISIONE p. 1. Ascit Servizi Ambientali spa (società di gestione dei rifiuti urbani per conto del Comune di Capannori (LU)) propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 1623/8/14 del 27 marzo 2014, con la quale la commissione tributaria regionale della Toscana – decidendo in sede di rinvio da sent. C. Cass. n. 1940/12, la quale aveva cassato la sentenza di appello per difetto assoluto di motivazione – ha ritenuto illegittimi, in punto applicazione Iva e sanzioni, gli avvisi di accertamento Tarsu/Tia 2001/2005 notificati a B.G.P. in qualità di titolare della ditta individuale Etruria Star Products.
La commissione tributaria regionale, per quanto qui ancora rileva, ha ritenuto che: – in assenza di prestazione sinallagmatica, non sussistessero i presupposti per applicare l’Iva sulla tassa rifiuti; – parimenti, non dovessero essere applicate le sanzioni, “tenuto conto che nel 2005 il contribuente aveva versato somme corrispondenti a quelle pagate in precedenza a titolo di Tarsu e non vi era stata alcuna infedele dichiarazione o alcuna omissione che giustificasse l’applicazione dello strumento sanzionatorio, e perchè le sanzioni stesse sono state applicate senza adeguata motivazione e giustificazione”.
Nessuna attività difensiva è stata posta in essere, in questa sede, dal B.. La ricorrente ha depositato memoria.
p. 2.1 Con il primo motivo di ricorso Ascit lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione di legge; per avere la commissione tributaria regionale erroneamente escluso l’Iva sulla Tia, nonostante che quest’ultima – indipendentemente dalla questione della sua natura tributaria o privatistica presupponesse comunque la prestazione di un servizio remunerato, così da rientrare in campo Iva D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 3.
p. 2.2 Il motivo è infondato, stante l’effettiva non debenza – come correttamente ravvisato dalla commissione tributaria regionale della sentenza qui impugnata – dell’Iva sugli importi versati a titolo di tariffa di igiene ambientale.
Si è in materia consolidato l’orientamento secondo cui la TIA (c.d. “TIA 1”) non costituisce un’entrata patrimoniale di diritto privato, ma una mera variante della TARSU, disciplinata dal D.P.R. n. 507 del 1993, con conseguente sua qualificazione in termini di tributo; tanto da rientrare nella giurisdizione del giudice tributario (tra le altre, ordinanze SSUU 23114/15 e 26268/16).
Da qui deriva l’illegittimità dell’imposizione tributaria sul tributo.
Sul punto specifico della imponibilità Iva della tariffa in questione ricorre, in particolare, quanto affermato da Cass. 4723/15 (con ampi richiami ai profili di compatibilità con il diritto UE) secondo cui: “questa Corte, in plurime occasioni (si veda Cass. Sez. 5, nn. 3293, 3294, 3542, 3755, 3756, 5825, 5826, 5827, 5830, 5831, 5833, 6258, 7333, 7335, 7336, 7338, 7339, 7341, 7342 del 2012; più di recente, Cass. Sez. 5, n. 8383 del 2013) ha avuto modo di chiarire – sulla base di quanto affermato da Corte Cost. nn. 238/2009, 300/2009 e 64/2010 e ribadito da questa Corte, con le decisioni delle SS. UU. n. 14903/2010 e n. 25929/2011- che “… la TIA ha natura tributaria e quindi non è soggetta ad IVA, dal momento che l’Iva come qualsiasi altra imposta deve colpire una qualche capacità contributiva. Ed una capacità contributiva si manifesta quando un soggetto acquisisce beni o servizi versando un corrispettivo, non quando paga un’imposta, sia pure “mirata” o “di scopo” cioè destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il soggetto stesso. Per quanto attiene poi all’Iva, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3, puntualizza che sono soggette a tale imposta solo le prestazioni di servizi “verso corrispettivo” e non quelle finanziate mediante imposte. Dunque solo ove sussista un “corrispettivo” sarà applicabile al D.P.R. n. 633 del 1972, n. 127 sexiesdecies, allegata alla Tabella A, parte terza, e dovrà essere applicata l’Iva sulle “prestazioni di gestione, stoccaggio e deposito temporaneo, di rifiuti urbani e di rifiuti speciali nonchè sulle prestazioni di gestione di impianti di fognatura e depurazione”.
Questo orientamento ha poi trovato definitiva conferma nella decisione SSUU n. 5078 del 15/03/2016, in base alla quale: “la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 49, oggi abrogato, avendo natura tributaria, non è assoggettabile all’IVA, che mira a colpire la capacità contributiva insita nel pagamento del corrispettivo per l’acquisto di beni o servizi e non in quello di un’imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente”.
p. 3.1 Con il secondo motivo di ricorso Ascit deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 76, (e s.m.) e Reg. Tia Comune di Capannori, art. 39, (approvato con Delib. consiliare 9 febbraio 2005, n. 10). Per avere la commissione tributaria regionale erroneamente escluso le sanzioni previste dalla normativa di riferimento, nonostante che l’avviso di accertamento in questione avesse avuto ad oggetto la contestazione di una maggiore superficie imponibile non dichiarata dal contribuente e che, pertanto, si vertesse di omessa o infedele dichiarazione.
p. 3.2 La censura è fondata.
Va infatti considerato che, in base al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 76: “1. Per l’omessa presentazione della denuncia, anche di variazione, si applica la sanzione amministrativa dal cento al duecento per cento della tassa o della maggiore tassa dovuta con un minimo di lire centomila. 2. Se la denuncia è infedele si applica la sanzione dal cinquanta al cento per cento della maggiore tassa dovuta. (…)”.
Il Reg. Comunale Tia cit., art. 39, stabilisce che: “per l’omessa presentazione della denuncia di inizio utenza ovvero di variazione delle condizioni di applicazione della tariffa che si riconduce a diversa superficie, diversa destinazione d’uso della superficie, e diverso numero di occupanti, si applica la maggiorazione del 100% della tariffa o della maggiore tariffa dovuta, con un minimo di Euro 100 in ragione di anno, a titolo di risarcimento del danno causato e di rimborso delle spese di controllo”.
Orbene, nel caso di specie il giudice di merito ha ritenuto fondato (salvo che per i profili accessori) l’avviso di accertamento in questione, a sua volta basato sulla individuazione di una superficie tassabile superiore a quella dichiarata dalla parte contribuente.
Dalla stessa ricostruzione della fattispecie operata nella sentenza della CTR, in altri termini, si evince come la fattispecie dovesse essere inquadrata in quella di denuncia infedele, per la quale la sanzione (fino al 100% della maggiore tassa dovuta) era prevista sia dalla legge sia dal regolamento.
Nè emergono dagli atti di causa elementi specifici ed obiettivi tali da far ritenere che le sanzioni dovessero nella specie ritenersi invece illegittime per insussistenza dell’illecito (conformità della dichiarazione alla superficie produttiva di rifiuti speciali); superamento dei limiti edittali; incertezza di applicazione normativa L. n. 212 del 2000, ex art. 10.
In particolare, non trova riscontro – sulla base della stessa ricostruzione dei fatti fornita nella sentenza impugnata – l’affermazione secondo cui la condotta della parte contribuente non sarebbe nella specie ascrivibile all’ipotesi tipica di infedele dichiarazione.
p. 4.1 Con il terzo motivo di ricorso Ascit lamenta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, – violazione dell’art. 92 c.p.c.. Per avere la commissione tributaria regionale compensato le spese di lite (anche del giudizio di legittimità) nonostante l’insussistenza di reciproca soccombenza e la sostanziale conferma degli avvisi di accertamento.
p. 4.2 Il motivo non può trovare accoglimento.
Fermo restando che – in linea generale – la decisione di compensazione delle spese di lite non appariva in contrasto con la legge (unico profilo dedotto), rispondendo invece ad una valutazione complessiva da parte del giudice di appello (il quale aveva pur sempre accolto le doglianze della parte contribuente su taluni qualificanti profili dell’accertamento: Cass. 20457/11 ed altre), è qui dirimente osservare come la cassazione della sentenza di rinvio coinvolga consequenzialmente anche la censurata decisione sulle spese.
Sennonchè, analoga statuizione di globale compensazione deve comunque essere adottata anche nella presente sede di legittimità, in considerazione del rigetto delle tesi della società ricorrente in ordine a profili giuridicamente rilevanti della controversia.
PQM
La Corte:
– accoglie il secondo motivo di ricorso, respinti gli altri;
– cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito ex art. 384 c.p.c., dichiara legittimi, in punto sanzioni, gli avvisi di accertamento opposti;
– compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 8 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019