Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.7253 del 14/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 9376/2014 R.G. proposto da:

Reed Expositions France s.a.s., con sede in Francia, in persona del l.r.p.t., rappresentata e difesa dagli avv.ti Maria Rosa Galletti ed Andrea Lazzaretti elettivamente domiciliata presso quest’ultimo in Roma al Largo Argentina n. 11;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore, rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 515/10/13 della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo, sez. staccata di Pescara, emessa il 23/9/2013, depositata il 22/10/2013 e non notificata.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13/2/2019 dal Consigliere Andreina Giudicepietro;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale De Matteis Stanislao, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

udito l’avv. Andrea Lazzaretti per la società ricorrente e l’Avvocato dello Stato Giammario Rocchitta per l’Agenzia delle Entrate.

FATTI DI CAUSA

1. Nella controversia originata dall’impugnazione da parte della Società residente in Francia del provvedimento, notificato il 3/3/2010, di diniego opposto all’istanza presentata il 31/5/2002 di pagamento del credito di imposta relativo ai dividendi distribuiti nel 1999 e nel 2001 ai sensi della convenzione tra l’Italia e la Francia contro le doppie imposizioni, art. 10, par. 4, lett. b), ratificata con L. 7 gennaio 1992, n. 20, la Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo (d’ora in poi C.T.R.), rigettando l’appello proposto dalla Società avverso la decisione di primo grado (sfavorevole), riteneva la legittimità del diniego dell’Ufficio al rimborso del eredito di imposta per Euro 674.036,00, oltre interessi di legge.

In particolare, la C.T.R. – dando atto che la Società richiedeva il rimborso sulla base dell’applicazione della Convenzione tra l’Italia e la Francia, art. 10, par. 4, lett. b), pur avendo usufruito della Dir. madre figlia n. 435 del 1990, art. 4, – riteneva che la prima norma contenesse un regime alternativo a quello della direttiva comunitaria, non cumulabile con quest’ultimo, e che non fosse consentito detassare nel Paese di destinazione il reddito derivante dagli utili distribuiti dalla controllata italiana, come previsto dalla direttiva madre – figlia, e poi richiedere il credito di imposta della Convenzione, ex art. 10, comma 4, lett. b).

2. Avverso la sentenza della C.T.R. la società Reed Expositions France s.a.s. (di seguito la Società) ha proposto ricorso articolato su un unico motivo, cui l’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con l’unico motivo, la ricorrente denunzia la violazione della Dir. madre-figlia n. 90/435/CEE, artt. 4,5 e 7, recepita nell’ordinamento interno con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, e della Convenzione tra l’Italia e la Francia, art. 10, paragrafo 4, lett. b) e art. 24, resa esecutiva con L. n. 20 del 1992.

In particolare, secondo la ricorrente, la C.T.R. avrebbe errato a ritenere che la Società non potesse optare per il regime convenzionale, essendosi avvalsa del regime comunitario di esenzione, poichè la Convenzione, art. 10, comma 4, lett. b), non prevede, come invece l’ipotesi di cui alla precedente lett. a), che la società madre sia soggetta per tali redditi ad imposta nello Stato di residenza.

1.2. Il motivo è infondato e deve essere rigettato.

1.3. La questione riguarda i rapporti tra il regime comunitario e quello convenzionale, nel caso di distribuzione di dividendi dalla partecipata italiana alla società madre con sede in Francia.

La Convenzione Italia-Francia contro le doppie imposizioni, art. 10, p. 4, lett. b, ratificata con L. n. 20 del 1992, attribuisce alla società madre francese, ricevente dalla controllata italiana dividendi che darebbero diritto a credito d’imposta, se ricevuti da residente italiano, il diritto al pagamento, da parte del Tesoro italiano, di un ammontare pari alla metà di detto credito d’imposta, diminuito di una ritenuta alla fonte del 5%.

Invece, la Dir. 90/435/CEE, art. 4, sul regime fiscale comune delle società madri e figlie (vigente ratione temporis) dispone che lo Stato della società madre si astiene dal tassare gli utili distribuiti dalla figlia o li tassa autorizzando la madre a dedurre l’imposta pagata dalla figlia; l’art. 5 dispone che tali utili sono esenti da ritenuta alla fonte.

Il rapporto tra la normativa convenzionale e quella comunitaria è già stata oggetto di approfondita disamina da parte di questa Corte con la sentenza n. 2257 del 31/01/2011, i cui principi, condivisi dal Collegio, sono stati recentemente ribaditi, con specifico riguardo all’applicazione della Convenzione italo-francese in esame, dalla sentenza Cass. n. 23367 del 06/10/2017 (v. anche Cass. n. 27111 del 28/12/2016 in motivazione).

Invero, come già chiarito da questa Corte, in caso di distribuzione di dividendi dalla partecipata italiana alla società madre di diritto francese, vale il seguente principio: “la società madre francese, che riceve dalla società figlia italiana dividendi esenti da tassazione per effetto dell’attuazione in Francia della Dir. 90/435/CEE, non ha diritto al credito d’imposta previsto dalla Convenzione Italia-Francia 5 ottobre 1989, art. 10, p. 4, lett. b, ratificata con L. n. 20 del 1992, in quanto l’esenzione di fonte comunitaria esclude la doppia imposizione che il credito di fonte pattizia è diretto a neutralizzare” (Sez. 5 -, Sentenza n. 23367 del 06/10/2017; vedi anche Sez. 5, Sentenza n. 27111 del 28/12/2016).

Nella specie, è pacifico che la Società, all’atto della distribuzione dei dividendi per gli anni di imposta 1999 e 2001, abbia goduto della piena esenzione prevista dalla Direttiva madre – figlia, quale recepita dall’Italia con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27 bis, con la conseguente esclusione dei dividendi dal proprio reddito imponibile.

Solo successivamente, con l’istanza di rimborso del credito d’imposta sui dividendi, la Società ha dichiarato di voler optare per l’alternativo regime della Convenzione Italia – Francia, richiedendo allo Stato italiano il pagamento del suddetto credito, al netto della ritenuta alla fonte nella misura convenzionale del 5%, calcolata sia sull’ammontare del credito, sia su quello dei dividendi.

A sostegno della richiesta, la Società deduce che l’ipotesi prevista dalla Convenzione Italia-Francia, art. 10, par. 4, lett. b), non richiederebbe espressamente che i dividendi siano soggetti ad imposta nello Stato di residenza.

Ritiene, invece, il Collegio che tale interpretazione contrasti con la finalità stessa della Convenzione, che tende ad eliminare o attutire le conseguenze della doppia imposizione, tanto che la stessa della Convenzione, art. 10, condiziona la sua applicabilità alla circostanza che i dividendi pagati da una società residente di uno Stato ad un residente dell’altro Stato siano imponibili in detto altro Stato e che tali dividendi siano imponibili anche nello Stato di cui la società che paga i dividendi è residente ed in conformità della legislazione di detto Stato.

Inoltre, il Protocollo allegato alla Convenzione, art. 15, prevede testualmente che “nei casi in cui, conformemente alle disposizioni della presente Convenzione, un reddito deve essere esentato da parte di uno dei due Stati, l’esenzione viene accordata se e nei limiti in cui detto reddito è imponibile nell’altro Stato”.

Come correttamente ritenuto dalla C.T.R. e conformemente al citato indirizzo giurisprudenziale di legittimità, il fatto che la disciplina comunitaria non abbia determinato il superamento di quella convenzionale e anzi ne abbia lasciata impregiudicata l’applicazione (Dir. madre-figlia, art. 7), non significa che i rispettivi benefici siano cumulabili, essi operando viceversa su un piano di “alternatività”, giacchè la sommatoria della detassazione e del credito eccede la finalità di evitare la doppia imposizione, generando semmai una fattispecie di c.d. doppia non- imposizione (per la Convenzione italo-francese, Cass. 28 dicembre 2016, n. 27111; analogamente per la Convenzione italo-britannica, Cass. 12 marzo 2009, n. 5943).

Nella specie, poichè la società madre francese gode dell’esenzione dei dividendi in entrata, il credito d’imposta eccederebbe la ratio di neutralizzazione della doppia imposizione, questa intesa – secondo una classica distinzione – come doppia imposizione c.d. giuridica (due prelievi su stesso soggetto) e doppia imposizione c.d. economica (stesso prelievo su due soggetti).

Come è stato osservato in un caso analogo, la società madre di diritto francese otterrebbe in tal modo due benefici tributari, e la circostanza che uno di questi (il credito d’imposta) subisce un abbattimento marginale (ritenuta alla fonte del 5%) riduce l’effetto distorsivo della doppia non-imposizione, senza tuttavia eliderlo (così in motivazione Cass. sent. n.23367/2017; vedi anche Cass. nn.292529/18 e 27112/16).

Nè sembra possibile che la società, che abbia optato per il regime della Direttiva madre – figlia ed abbia conseguito i dividendi senza l’applicazione di alcuna ritenuta (circostanze pacifiche nel caso di specie), richieda successivamente il pagamento del credito di imposta, sia pure al netto della ritenuta alla fonte (non attuata), perchè appunto ha già effettuato la scelta per una diversa agevolazione, non cumulabile.

Atteso il rigetto del ricorso, la ricorrente va condannata al pagamento, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese del giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

Sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Sussistono i requisiti per porre a carico della ricorrente il pagamento del doppio contributo, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019

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