Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7339 del 14/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21977-2017 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PROPERZIO, 5, presso lo studio dell’avvocato MAZZERA NICOLA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GANZ DANIELE;

– ricorrenti –

contro

M.M., P.A., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 9, presso lo studio dell’avvocato DE ARCANGELIS GIORGIO, rappresentate e difese dall’avvocati PIAZZA ALOMA;

– controricorrenti –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 13/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 25/10/2018 dal Consigliere Dott. POSITANO GABRIELE.

RILEVATO

Che:

con atto di citazione del 29 luglio 2014 B.F. evocava in giudizio davanti al Tribunale di Venezia, M.M. e P.A. per sentir accertare la responsabilità delle medesime con riferimento a fatti lesivi della propria reputazione. In particolare, precisava di avere, a suo tempo, promosso un’azione nei confronti di M.M. davanti al Giudice di pace di Mestre per il risarcimento dei danni subiti, lamentando il carattere diffamatorio di una missiva ricevuta dallo stesso B. nel mese di settembre 2009. In quel giudizio M.M. si era costituita per il tramite del proprio avvocato P. con una comparsa che, a sua volta, ledeva il decoro e l’onore dell’attore in quanto anche nella memoria ai sensi dell’art. 320 c.p.c. era stato riportato il testo integrale di una richiesta di rinvio a giudizio a carico di B. per atti persecutori, atto ritenuto non attinente. Per tale motivo l’esimente dell’art. 598 c.p.c. non avrebbe potuto trovare applicazione anche con riferimento alla posizione del difensore, che avrebbe dovuto conoscere i limiti nei quali predisporre gli atti difensivi. Chiedeva, pertanto, il risarcimento dei danni nella misura di Euro 50.000;

si costituivano le convenute, eccependo l’incompetenza funzionale del Tribunale adito, poichè le questioni avrebbero dovuto essere risolte, in via pregiudiziale, davanti alla Giudice di pace di Venezia. Nel merito, rilevavano l’infondatezza della pretesa, aggiungendo che il difensore si era limitato a compiere una cronistoria dei fatti rilevanti;

con sentenza del 5 gennaio 2017 il Tribunale di Venezia affermava che i rimedi previsti all’art. 89 c.p.c. precludevano l’instaurazione di un autonomo giudizio davanti ad un giudice diverso da quello interessato dalla vicenda originaria (Giudice di pace), ma non con riferimento alla posizione del difensore, che risultava soggetto estraneo alla vicenda. Nonostante l’ammissibilità della domanda, nel merito il Tribunale ne rilevava l’infondatezza, poichè l’autrice dello scritto si era limitata a richiamare una serie di condotte compiute dall’attore nei confronti della convenuta al fine di far comprendere al Giudice di pace il contesto nel quale si era formata la missiva del 2009. Si trattava, pertanto, di circostanze pertinenti con l’oggetto della causa e non eccedenti le esigenze difensive;

avverso tale decisione proponeva appello B.F. e la Corte d’Appello, con ordinanza 13 giugno 2017, ai sensi dell’art. 348-bis dichiarava inammissibile il gravame, non sussistendo ragionevoli probabilità di accoglimento, condividendo l’argomentazione del Tribunale secondo cui la produzione documentale e il contenuto degli atti difensivi, erano funzionali alla difesa di M.M.;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione B.F. affidandosi a due motivi. Resistono in giudizio con controricorso M.M. e P.A..

CONSIDERATO

Che:

la motivazione viene redatta in forma semplificata in adempimento di quanto previsto dal decreto n. 136-2016 del Primo Presidente della Corte Suprema di cassazione, non avendo il presente provvedimento alcun valore nomofilattico;

con il primo motivo si lamenta la violazione l’art. 167 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando che l’oggetto della controversia pendente davanti al Giudice di pace di Mestre riguardava il carattere diffamatorio della lettera ricevuta da M.M. e, pertanto, entro tali limiti avrebbe dovuto essere strutturata la difesa tecnica della convenuta. Al contrario questa, senza introdurre una domanda riconvenzionale, aveva indebitamente messo in luce la “personalità aggressiva” dell’odierno ricorrente;

con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 598 c.p., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3. In particolare, i fatti denunciati dal ricorrente come lesivi della propria onorabilità, riguardavano l’estate del 2009, mentre il contenuto degli scritti di controparte si riferiva anche ad episodi del 2014 e ad altre questioni. Si trattava, pertanto, di dichiarazioni che non riguardavano l’oggetto della controversia. Sotto altro profilo sarebbe censurabile anche la motivazione dell’ordinanza di inammissibilità della Corte veneta, perchè estremamente sintetica e tale da non consentire di verificare se vi fosse stato un esame concreto delle “condotte stigmatizzabili”;

preliminarmente ritiene questa Corte la procura speciale della ricorrente idonea, seppure stringata, ai fini della proposizione del ricorso per cassazione atteso lo specifico riferimento alla sentenza del Tribunale di Venezia e alla ordinanza della Corte d’Appello;

il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, attesa la necessità che nel ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c. venga fatta espressa menzione, sia del testo integrale dell’ordinanza di inammissibilità, sia dei motivi appello al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame;

il ricorso per cassazione contro la sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., comma 4, ha natura di ricorso ordinario, regolato dall’art. 366 c.p.c. quanto ai requisiti di contenuto forma, e deve contenere, in relazione al n. 3 di detta norma, l’esposizione sommaria dei fatti di causa, da intendersi come fatti sostanziali e processuali relativi sia al giudizio di primo grado che a quello di appello. Ne consegue che nel ricorso la parte è tenuta ad esporre, oltre agli elementi che evidenzino la tempestività dell’appello e i motivi su cui esso era fondato, le domande e le eccezioni proposte innanzi al giudice di prime cure e non accolte, o rimaste assorbite, trovando applicazione, rispetto al giudizio per cassazione instaurato ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., le previsioni di cui agli artt. 329 e 346 c.p.c., nella misura in cui esse avevano inciso sull’oggetto della devoluzione al giudice di appello. (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8942 del 17/04/2014, Rv. 630332 – 01). Nel caso di specie non vi è alcun riferimento al contenuto dei motivi di impugnazione;

il ricorso è, altresì, inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, con riferimento a entrambi i motivi poichè parte ricorrente si limita a dedurre che l’oggetto del giudizio pendente davanti al Giudice di pace di Mestre era rappresentato dalla valutazione del contenuto diffamatorio di una lettera inviata da M.M., ma omette di trascrivere, sia il contenuto dell’atto introduttivo e della comparsa di costituzione, sia il testo della lettera. Nello stesso modo, con riferimento al secondo motivo si riferisce ai fatti lesivi dell’onorabilità che si sarebbero verificati nell’estate del 2009, omettendo di allegare, trascrivere o comunque individuare tali elementi, anche con riferimento agli articoli di quotidiani che riguarderebbero, secondo il ricorrente, un periodo successivo e del tutto estraneo ai fatti di causa;

il secondo motivo è, altresì, inammissibile poichè si censura la motivazione dell’ordinanza di inammissibilità con riferimento ai ipotesi per le quali tale facoltà non è consentita. Opera, infatti, il principio secondo cui l’ordinanza di inammissibilità dell’appello resa ex art. 348-ter c.p.c. è ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, limitatamente ai vizi suoi propri costituenti violazioni della legge processuale (quali, per mero esempio, l’inosservanza delle specifiche previsioni di cui all’art. 348 bis c.p.c., comma 2, e all’art. 348-ter c.p.c., comma 1, primo periodo e comma 2, primo periodo), purchè compatibili con la logica e la struttura del giudizio ad essa sotteso. (Sez. U, Sentenza n. 1914 del 02/02/2016, Rv. 638368 – 01);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore delle controricorrenti, liquidandole in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, el comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile – 3, il 25 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019

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