LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14571-2018 proposto da:
P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio dell’avvocato VESPAZIANI EMANUELE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FESTUCCIA LIVIO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 7/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 6/12/2018 dal Consigliere Dott. CARRATO ALDO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il sig. P.G. ha proposto ricorso per cassazione – riferito ad un unico motivo – avverso il decreto n. cronol. 10467/2017 della Corte di appello di Roma, con il quale, in accoglimento dell’opposizione formulata dal Ministero della Giustizia ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 5-ter, dichiarava l’improponibilità del ricorso per equa riparazione dallo stesso formulato, sul presupposto che – in applicazione della citata L. n. 89 del 2001, art. 4 (come modificato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. d), conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, in vigore dall’11 settembre 2012) – la sentenza con cui era stato definito il procedimento presupposto non fosse ancora passata in giudicato al momento della proposizione del ricorso per l’ottenimento dell’equo indennizzo.
Con l’avanzata censura il suddetto ricorrente ha denunciato la violazione o falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4 (nella sua versione novellata nel 2012 ed applicabile “ratione temporis”), per effetto della sua sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale ad opera della sentenza n. 88 del 2018 della Corte costituzionale, con la quale tale norma è stata, per l’appunto, ritenuta incostituzionale nella parte in cui non prevede(va) che la domanda di equa riparazione poteva essere proposta in pendenza del procedimento presupposto.
L’intimato Ministero della Giustizia si è costituito con controricorso. Su proposta del relatore, il quale riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Rileva il collegio che l’unico motivo di ricorso è effettivamente manifestamente fondato, proprio in virtù – nel caso di specie – della intervenuta proponibilità del ricorso per equa riparazione anche anteriormente all’acquisizione del carattere di definitività del provvedimento decisorio del procedimento presupposto, a seguito della sopravvenuta dichiarazione di illegittimità costituzionale (come tale provvista di efficacia “ex tunc”) della L. n. 89 del 2001, art. 4 – come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 55, comma 1, lett. d), conv., con modif., dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, in vigore dall’11 settembre 2012 e, in tale versione, applicato dalla Corte capitolina con il decreto qui impugnato – per effetto della sentenza n. 88 del 2018 della Corte costituzionale.
Pertanto, in virtù della richiamata efficacia retroattiva delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale derivante direttamente dall’art. 136 Cost. (la cui applicabilità è impedita solo dalla già intervenuta definizione dei procedimenti interessati anteriormente alla declaratoria di illegittimità costituzionale), la conseguenza che da essa viene a scaturire non può che essere – in punto di diritto (e al cui principio dovrà uniformarsi il giudice di rinvio) – la reviviscenza della versione antecedente del novellato L. n. 89 del 2001, art. 4, attinto dalla dichiarata incostituzionalità.
Quindi, contrariamente a quanto dedotto dal controricorrente Ministero, nel caso di specie – a fronte di un procedimento presupposto ancora non definito con decisione passata in giudicato – è ridiventato proponibile il ricorso per il riconoscimento dell’equo indennizzo in pendenza dello stesso giudizio presupposto, con il travolgimento del decreto tempestivamente impugnato in questa sede, emesso nel senso della dichiarazione dell’improponibilità dell’indicato ricorso in un momento antecedente alla sopravvenuta emanazione della sentenza n. 88 del 2018 del Giudice delle leggi.
Occorre, peraltro, rimarcare che – diversamente da quanto prospettato dal Ministero della Giustizia – la citata sentenza della Corte costituzionale si è concretizzata, in effetti, nel solo intervento comportante la dichiarazione di illegittimità costituzionale del censurato L. n. 89 del 2001, art. 4, come novellato nel 2012, esclusivamente nella parte in cui non prevede(va) che la domanda di equa riparazione, una volta maturato il ritardo, poteva essere proposta in pendenza del procedimento presupposto. In tali termini, perciò, va letta ed interpretata la portata della predetta pronuncia della Corte costituzionale, senza che con essa sia stata dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale di altre norme della stessa L. n. 89 del 2001, come inserite per effetto del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, che, perciò, restano applicabili.
In definitiva, il ricorso deve essere accolto con la conseguente cassazione del decreto impugnato ed il rinvio del procedimento alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, che si atterrà all’enunciato principio di diritto e provvederà anche a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 6 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019