LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17678-2018 proposto da:
D.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 4, presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVAMBATTISTA FERRIOLO;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;
– controricorrente –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato l’8/1/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 6/12/2018 dal Consigliere Dott. CARRATO ALDO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il sig. D.M. ha proposto ricorso per cassazione – riferito ad un unico motivo – avverso il decreto n. cronol. 6818/2018 della Corte di appello di Perugia, con il quale veniva accolta la loro domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 ed il soccombente Ministero della Giustizia era condannato al pagamento dei compensi professionali nella misura di Euro 210,00, oltre accessori di legge.
Con il formulato motivo il ricorrente ha denunciato la violazione c/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 2233 c.c., comma 2 e dei parametri di liquidazione dei compensi giudiziali ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, sostenendo che la quantificazione di questi ultimi – da riferirsi ad un procedimento contenzioso e non di volontaria giurisdizione – come disposta nell’impugnato decreto era stata computata al di sotto del minimo tabellare, poichè, pur applicando i parametri minimi ridotti del 50% per ogni singola voce da riconoscere (fase di studio, fase introduttiva, fase istruttoria e fase decisionale), il totale minimo da liquidare avrebbe dovuto essere corrispondente all’importo di Euro 354,00 (anzichè di Euro 210,00).
L’intimato Ministero della Giustizia si è costituito con controricorso. Su proposta del relatore, il quale riteneva che il motivo potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. Rileva il collegio che il motivo di ricorso è effettivamente fondato nei sensi di cui in appresso.
In primo luogo va ribadito che – per costante giurisprudenza di questa Corte – gli onorari spettanti per il giudizio di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001 vanno liquidati tenendosi conto delle tariffe previste per il procedimenti contenziosi e non per quelli di volontaria giurisdizione (cfr. Cass. n. 25352/2008 e Cass. n. 23187/2016).
Sulla base di tale premessa e rispondendo alle obiezioni mosse dal controricorrente Ministero si deve, in via preliminare, osservare che la fattispecie dedotta in giudizio è regolata ratione temporis dal D.M. n. 55 del 2014 (che all’art. 28 recita: “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano alle liquidazioni successive alla sua entrata in vigore”), posto che al momento della sua intervenuta vigenza la prestazione professionale del cui compenso si discute non si era ancora conclusa e che – come chiarito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 17405/2012 – la nozione di compenso rimanda ad un corrispettivo unitario per l’opera complessivamente svolta, ancorchè iniziata e parzialmente espletata sotto il vigore di discipline tariffarie previgenti (in senso conforme v., ad es., Cass. n. 4949/2017).
Devesi, peraltro, escludere che nella specie possa trovare applicazione – come, al contrario, eccepito dallo stesso Ministero della Giustizia – la disposizione di cui al D.M. Giustizia n. 140 del 2012, art. 1, comma 7 (alla cui stregua “In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”), giacchè, rispetto al D.M. n. 140 del 2012, il citato D.M. n. 55 del 2014 (che non contiene alcuna disposizione analoga a quella del D.M. n. 140 del 2012, art. 1, comma 7) è prevalente, in quanto non solo costituisce lex posterior regolativa, quanto agli avvocati, dell’intera materia già disciplinata dallo stesso D.M. n. 140 del 2012 (cfr. art. 15 preleggi) ma costituisce anche lex specialis.
Occorre, in particolare, rimarcare che la richiamata specialità del D.M. n. 55 del 2014 deriva dalla circostanza che esso disciplina i compensi per i soli avvocati, mentre il precedente D.M. n. 140 del 2012 regolamenta la determinazione dei parametri per la liquidazione, da parte di un organo giurisdizionale, dei compensi per tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia.
In ogni caso va rilevato che il citato D.M. n. 55 del 2014 indica i parametri medi del compenso professionale dell’avvocato, dai quali il giudice si può discostare, purchè si mantenga tra il minimo ed il massimo risultanti dall’applicazione delle percentuali di scostamento, in più o in meno, previste dallo stesso D.M., art. 4, comma 1 e che il superamento di tali limiti può ritenersi eccezionalmente consentito – in base al tenore letterale dell’inciso “di regola” che emerge dal citato primo comma – a condizione che l’esercizio del relativo potere del giudice sia supportato da apposita e specifica motivazione, che – nel caso di specie – non si evince affatto dall’impugnato decreto, posto che, ai fini della regolamentazione delle spese giudiziali, la Corte ha fatto riferimento alla sola applicazione del principio della soccombenza, senza la benchè minima argomentazione sui parametri di liquidazione in concreto avuti presenti.
Chiarito quanto sopra, rileva il collegio che, effettivamente, l’importo complessivo dei compensi riconosciuti al ricorrente come liquidato dalla Corte umbra risulta certamente inferiore al totale del minimo tabellare, avuto riguardo ai parametri tariffari previsti dal più volte citato D.M. n. 55 del 2014, anche applicando l’aumento massimo della riduzione dei singoli importi spettanti per ciascuna voce (ai sensi del menzionato D.M., art. 4, comma 1), come richiesto nell’interesse dei medesimi ricorrenti.
Pertanto, in virtù dei conseguenti computi, deve essere rivalutata e rideterminata con esattezza la misura dei compensi spettanti – come invocata dallo stesso ricorrente – in riferimento alle singole voci riconoscibili per le prestazioni professionali compiute, ovvero alla fase di studio della controversia (per Euro 67,50), alla fase di introduzione del giudizio (per Euro 67,50) e per la fase decisionale (per Euro 100,00), dovendosi, invece, tener conto che, per la fase istruttoria, spetta un importo inferiore a quello indicato, siccome da liquidarsi nella misura risultante per effetto della riduzione del 70% (e non del 50%) applicabile per tale voce – da computarsi sulla somma ordinaria prevista per l’intero in tabella in Euro 170,00.
In definitiva, il ricorso deve essere accolto e, previa cassazione del decreto impugnato sul punto relativo alla disciplina delle spese, il procedimento deve essere rinviato alla Corte di appello di Perugia, che dovrà riliquidare le spese spettanti al ricorrente alla stregua degli indicati parametri in relazione alle singole prestazioni professionali espletate, oltre a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
PQM
La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato in ordine al capo impugnato e rinvia, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 6 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019