LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI CERBO Vincenzo – Primo Presidente f.f. –
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sezione –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –
Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15438/2017 proposto da:
M.F., B.A., ME.FA., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DELLA SCROFA 47, presso lo studio dell’avvocato LUCIO ANELLI, rappresentati e difesi dagli avvocati TERESIO BOSCO e FRANCESCA TETTO;
– ricorrenti –
contro
REGIONE PIEMONTE, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DI MONTE FIORE 22, presso lo studio dell’avvocato STEFANO GATTAMELATA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNA SCOLLO;
AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Direttore Generale pro tempore, MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 49/2017 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 16/03/2017;
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12/2018 dal Consigliere ROBERTA CRUCITTI.
FATTO E DIRITTO
Ritenuto che:
B.A., Me.Fa. e M.F. hanno proposto ricorso, su tre motivi, alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, contro l’Agenzia del Demanio, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e la Regione Piemonte, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, in accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia del Demanio e in totale riforma della sentenza del Tribunale Regionale delle Acque Pubbliche presso la Corte di appello di Torino, aveva rigettato la domanda di riconoscimento in loro favore dell’acquisto della proprietà di alcune porzioni dell’alveo del torrente *****, in agro del Comune di *****, ai sensi del’art. 947 c.c. (nel testo anteriore alla riforma del 1994) in quanto rilasciate dal torrente stesso dopo un’esondazione di circa quaranta anni prima, ovvero ai sensi dell’art. 942 c.c., a titolo di alluvione impropria;
il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche – premesso che nel rito disciplinato dal t.u. n. 1775/1933 va ammessa la possibilità di produrre documenti anche dopo l’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio – fondava la sua decisione sul rilievo che, dalle risultanze documentali (in particolare dagli atti prodotti dalla Regione Piemonte, ignorati dal primo giudice) era emerso che gli interventi antropici realizzati sui luoghi avevano avuto incidenza causale sulla modifica e alterazione del corso del torrente nonchè sull’abbandono di parte dell’alveo;
conseguentemente, il T.S.A.P. riteneva superfluo non solo il rinnovo della consulenza tecnica d’ufficio ma, anche, affrontare la questione della non configurabilità della cosiddetta sdemanializzazione tacita dell’area in quanto, nella specie, vi era stata totale assenza di condotta inerte da parte dell’Amministrazione la quale era intervenuta contestando infrazioni di discipline specifiche;
l’Agenzia del Demanio e il Ministero Economia e Finanze hanno depositato controricorso così come la Regione Piemonte;
il ricorso per cassazione è stato avviato alla trattazione in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.;
i ricorrenti hanno depositato memoria in prossimità della camera di consiglio.
Considerato che:
con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 74 e 87 disp. att. c.p.c., laddove il T.S.A.P. avrebbe deciso la controversia sulla base di documenti, prodotti in primo grado dalla Regione Piemonte, rimasta contumace in appello, e che, pertanto, non erano stati acquisiti al fascicolo d’ufficio;
la censura è inammissibile per più ordini di ragioni;
in primo luogo, perchè, evidenziando un error in procedendo, avrebbe dovuto essere prospettata, più correttamente, sotto l’egida del n. 4, comma 1, dell’art. 360 c.p.c., e, in ogni caso e soprattutto, per carenza di specificità;
il mezzo di impugnazione, infatti, nei termini in cui è formulato, appare fondato su mere ipotesi e non sull’allegazione degli effettivi fatti processuali, laddove, al contrario, da tutte le ulteriori allegazioni delle controparti e degli stessi ricorrenti (v. pagg. 5 e 6 del ricorso) e da quanto emergente dalla sentenza impugnata, appare che i documenti sui quali il T.S.A.P. ha fondato la propria decisione, ben conosciuti da tutte le parti che sugli stessi hanno interloquito (costituendo, tra l’altro oggetto del primo motivo di appello), fossero ritualmente presenti in atti, in quanto inseriti nel fascicolo di ufficio per essere stati prodotti dalla Regione all’udienza svoltasi innanzi al Tribunale regionale;
con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione dell’art. 61, e art. 115 c.p.c., comma 2, e art. 166 c.p.c., comma 1, laddove il T.S.A.P. aveva deciso la controversia, attraverso l’esame dei documenti prodotti in primo grado, senza disporre una nuova consulenza come richiesto dagli stessi appellanti, facendo ricorso a nozioni ritenute di “comune esperienza tecnica”;
con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 111 Cost., comma 5, nonchè in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, con riferimento all’art. 115 c.p.c., e art. 116 c.p.c., comma 1, laddove il T.S.A.P. aveva ritenuto di ricavare, dall’esame dei predetti documenti, la prova della incidenza causale degli interventi antropici sulla modifica o alterazione del corso del torrente, siccome “instabile e facilmente condizionabile”;
i mezzi di impugnazione, trattati congiuntamente perchè connessi, sono rivolti al capo della sentenza con cui il T.S.P.A. ha ritenuto, sulla base di elementari nozioni di comune esperienza tecnica, che nel contesto notoriamente assai sensibile ad anche minime manipolazioni per l’evidente fragilità dell’equilibrio resa manifesta dal carattere disastroso dell’ultima piena (…) qualunque intervento antropico – e a maggiore ragione del tipo di quelli descritti (….) – può ritenersi idoneo a modificare significatamente l’andamento del corso del torrente, per definizione instabile e soggetto a regimi incostanti;
in sintesi, si censura il T.S.A.P. non solo di avere fatto ricorso illegittimamente alla nozione di fatto notorio o alla regola della comune esperienza, non ricorrendone i presupposti e senza disporre la chiesta consulenza tecnica, ma, soprattutto, di avere valutato, peraltro con motivazione apparente basata su affermazioni tautologiche, le risultanze documentali, isolatamente, e non unitamente agli ulteriori elementi probatori già acquisiti e alle deduzioni del C.T.U. il quale aveva individuato, tra l’altro, la causa dello spostamento verso sinistra dell’alveo nella piena avvenuta nel 1977;
le censure, da trattarsi congiuntamente, siccome connesse, sono infondate;
nel nostro ordinamento vige il principio judex peritus peritorum, in virtù del quale è consentito al giudice di merito disattendere le argomentazioni tecniche svolte nella propria relazione dal consulente tecnico d’ufficio, e ciò sia quando le motivazioni stesse siano intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca ad esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche.
tale principio comporta, quindi, non solo che il giudice di merito, per la soluzione di questioni di natura tecnica o scientifica non abbia alcun obbligo di nominare un consulente d’ufficio, potendo ricorrere alle conoscenze specialistiche acquisite direttamente attraverso studi o ricerche personali, ma anche che egli, esaminando direttamente la documentazione su cui si basa la relazione del consulente tecnico, può disattenderne le argomentazioni, in quanto sorrette da motivazioni contraddittorie, o sostituirle con proprie diverse, tratte da personali cognizioni tecniche;
in entrambi i casi, l’unico onere incontrato dal giudice è quello di un’adeguata motivazione, esente da vizi logici ed errori di diritto (cfr. Cass. n. 30733 del 21/12/2017; Cass. n. 17757 del 07/08/2014);
quale ulteriore corollario del principio, la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che il principio, per cui il provvedimento che disponga, o no, la consulenza tecnica, rientrando nel potere discrezionale del giudice del merito, è incensurabile in sede di legittimità, va contemperato con quello secondo il quale il giudice stesso deve sempre motivare adeguatamente la decisione adottata in merito ad una questione tecnica rilevante per la definizione della causa, in relazione alla quale la consulenza può profilarsi come lo strumento più funzionale ed efficiente di indagine, con la conseguenza che, ove egli abbia ritenuto di non avvalersi di tale strumento, deve fornire adeguata dimostrazione di aver potuto risolvere, sulla base di corretti criteri e di cognizione proprie, tutti i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione (Cass. n. (Cass. n. 15136 del 23/11/2000; Cass. n. 71 del 04/01/2002);
in tale solco e nello specifico, poi, le Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 14754 del 9/05/2017) hanno ribadito che il giudizio sulla necessità ed utilità di fare ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice di merito “il quale risulta tanto più ampio quando si tratti, come nel caso del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche di un giudice con composizione specializzata emergente dalla presenza al proprio interno di un componente tecnico con specifica competenza sulla materia ad esso devoluta”;
alla luce dei superiori principit emerge l’infondatezza di entrambe le censure giacchè il T.S.A.P., giudice a composizione specializzata, ha legittimamente deciso sulla base delle emergenze probatorie in atti, senza disporre la chiesta consulenza tecnica, non, come prospettato attraverso il ricorso al “notorio”, ma avvalendosi delle proprie cognizioni tecniche, e fornendo di tutto ciò adeguata e congrua motivazione;
invero, il T.S.A.P. non solo ha compiutamente motivato sulla superfluità di una nuova consulenza tecnica ma, individuando specificamente gli importanti intervenenti antropici realizzati sui luoghi (pacifici tra le parti), non considerati nel giudizio di primo grado e nella consulenza tecnica d’ufficio ivi espletata, ne ha fatto conseguire, con motivazione sufficiente e congrua (che tiene conto di tutte le risultanze istruttorie), l’evidente e preminente nesso eziologico con il mutamento del corso dei torrente e il parziale abbandono dell’alveo, rilevando, altresì, che tale incidenza causale, proprio per il massiccio e costante lavorio di intervento sulle sponde, non veniva elisa dalla circostanza che alcuni degli interventi erano posizionati in zone non corrispondenti a quelli in cui gli incrementi avevano avuto luogo;
in conclusione, pertanto, il ricorso va rigettato con la condanna di parte ricorrente, soccombente, al pagamento, in favore delle controricorrenti delle spese processuali, come specificamente liquidate per ciascuna in dispositivo;
poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
PQM
rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in favore del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dell’Agenzia del Demanio in complessivi Euro 5.000,00 (Euro cinquemila) oltre spese prenotate a debito, e in favore della Regione Piemonte in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese nella misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, in solido, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite, il 18 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 14 marzo 2019