Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.7462 del 15/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15018/2016 proposto da:

U.S., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GAETANO CASATI 38 SCALA A INT 12, presso lo studio dell’avvocato PAOLO CICINI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA 40, presso lo studio dell’avvocato DAMIANO LIPANI, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5110/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/12/2015 r.g.n. 5242/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/03/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPINA LEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per rigetto;

udito l’Avvocato PAOLO CICINI;

udito l’Avvocato GIORGIO MAZZONE per delega verbale Avvocato DAMIANO LIPANI.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza pubblicata in data 11.12.2015, la Corte di Appello di Roma accoglieva il gravame interposto da Poste Italiane S.p.A., nei confronti di U.S., avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede con la quale era stata accolta la domanda della lavoratrice, diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità del termine apposto ai due contratti stipulati tra le parti ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, così come modificato dalla L. n. 266 del 2005, relativamente ai periodi 8.2.2007 – 31.3.2007 e 2.5.2007 – 31.10.2007, nonchè la riassunzione in servizio ed il diritto al risarcimento del danno pari alle retribuzioni medio tempore maturate.

Avverso tale decisione la U. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.

Poste Italiane S.p.A. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 del codice di rito.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il mezzo di impugnazione articolato si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, artt. 1,2e 2, comma 1 bis, e “dei principi della Direttiva Comunitaria 1999/70/CE”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed in sostanza, si contesta la legittimità, rispetto alla disciplina comunitaria, dell’art. 1, comma 558, della L. n. 266 del 2005, che ha introdotto il D.Lgs. n. 368 del 2001, comma 1 bis, nella parte in cui consente la stipula di contratti di lavoro a termine acausali (e, quindi, privi della specifica indicazione delle ragioni che li giustificano). La censura, inoltre, attiene alla presunta violazione del principio di parità di trattamento tra determinate categorie di lavoratori a tempo determinato, mancando nella causale dei contratti di cui si tratta l’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1. Infine, si denuncia l’asserito erroneo “parametro di riferimento preso in considerazione dalla Corte di merito per il calcolo della percentuale del 15%”, nonchè il fatto che “lo speciale regime di favore non sia stato considerato dalla stessa Corte come riferito solo al servizio postale in senso stretto”.

1.1. Il motivo non è fondato.

E’, innanzitutto, da premettere che le assunzioni a tempo determinato, effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, (per Poste italiane S.p.A. ex lege), non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1 del medesimo D.Lgs., trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata “ex ante” direttamente dal legislatore (Cass., S.U., n. 11374/2016; v., pure, tra le molte, Cass. nn. 3059/2017; 13359/2016). Inoltre, i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, e successive modifiche, con Poste Italiane S.p.A. sono conformi alla disciplina del contratto a tempo determinato dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001 applicabile ratione temporis. E, a sua volta, la disciplina italiana applicabile al rapporto e, cioè, la normativa sulla successione di contratti a tempo determinato prevista dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 5, integrata dalla L. n. 247 del 2007, art. 1, commi 40 e 43, è conforme ai relativi principi fissati dall’Accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, stipulato tra le organizzazioni sindacali CES, UNGE e CEEP il 18.3.1999, recepito nella direttiva del Consiglio 28.6.1999/70/CE (le Sezioni Unite della Cassazione hanno ritenuto “infondato il ricorso esperito al fine di vedere dichiarata l’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro, laddove la sequenza di contratti a tempo determinato intercorsi tra le parti, in ragione della durata di ciascun contratto, della durata degli intervalli tra un contratto e l’altro e della durata complessiva del rapporto, appaia rispettosa della disciplina dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, come integrata dalla L. n. 247 del 2007”: Cass., S.U., n. 11374/2016, cit.). Pertanto, alla stregua dei principi innanzi enunciati, deve ribadirsi che la clausola 5 dell’Accordo quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE non tende a prevenire la successione di contratti a termine, ma l’abuso che potrebbe derivare dall’utilizzo della successione stessa; ipotesi relativamente alla quale, nella fattispecie, manca una specifica censura.

Ciò premesso, nel caso di cui si tratta, non risulta alcuna violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis: è assorbente al riguardo il richiamo a Cass. n. 13609/2015 (v., pure, in termini, Cass. nn. 753/2018; 6765/2017), per la quale, “in tema di contratto di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la ratio della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del c.d. servizio universale postale, ai sensi del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1, comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore. Ne consegue che, al fine di fissare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali e percentuali (sull’organico aziendale) previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis”. Pertanto, la sentenza oggetto del presente giudizio risulta del tutto in linea con l’esplicitato orientamento, ormai consolidato e del tutto condiviso da questo Collegio.

Va, infine, osservato che la Corte territoriale, con motivazione del tutto condivisibile, ha ritenuto attendibile la prova offerta da Poste Italiane S.p.A. circa il rispetto del profilo percentuale del 15% dell’organico aziendale, ed ha correttamente sottolineato che il limite percentuale non superiore al 15%, individuato dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2,comma 1 bis, debba essere calcolato sull’intero organico aziendale, con riferimento, quindi all’intera impresa, anzichè soltanto al settore postale oggetto della concessione; e ciò, in considerazione “degli elementi di natura sistematica e ricostruttiva e della finalità della norma antiabusiva del 2005 che ha stabilito il limite percentuale del 15%” (cfr., ex multis, Cass. nn. 753/2018, cit.; 16431/2017; 6765/2017, cit.; 2324/2016; 13609/2015; 3031/2014).

Peraltro, i giudici di seconda istanza hanno sottolineato che il mancato superamento della percentuale di cui si tratta è rimasto delibato attraverso la documentazione fornita dalla società, contestata solo in modo generico dalla lavoratrice nei gradi di merito. E, dunque, non vi è stata, in concreto, controversia sulla detta documentazione dalla quale risulta che, nell’anno di riferimento, sono stati stipulati contratti di lavoro a tempo determinato entro il limite del 15% dell’organico aziendale; al riguardo, va altresì osservato che la censura sollevata verte soprattutto sulla interpretazione della norma che regola la materia e, quindi, sulla base di calcolo cui fare riferimento per individuare il tetto del 15% (l’intero organico aziendale o solo il personale addetto al servizio postale in senso stretto: cfr., tra le molte, Cass. n. 20085/2018), mentre lascia in ombra la contestazione della documentazione prodotta dalla società datrice, in ordine alla quale non si specifica in quale momento delle fasi di merito sarebbe stata sollevata; nè della stessa vi è alcuna trascrizione o allegazione al ricorso, in violazione dell’art. 366, n. 6, del codice di rito (cfr., ex plurimis, Cass. n. 8933/2009).

2. Per le considerazioni in precedenza svolte il ricorso va respinto.

3. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

4. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 marzo 2019

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