Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7543 del 18/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente –

Dott. MOCCI Mauro – Consigliere –

Dott. CONTI Roberto Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15465-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.A.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VESTRICIO SPURINNA 105, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA GALLINI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO BALDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6809/45/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di MILANO, depositata il 14/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CONTI ROBERTO GIOVANNI.

FATTI E RAGIONI DELLA DECISIONE L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro S.A.G.L., impugnando la sentenza della CTR Lombardia indicata in epigrafe. Il giudice di appello, nel confermare la pronunzia di primo grado che aveva annullato l’avviso di accertamento relativo ad IRPEF per l’anno 2006 in relazione al decorso del termine di decadenza dell’azione accertativa, aveva ritenuto che il raddoppio dei termini, alla stregua del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 4, invocato dall’ufficio non poteva ritenersi applicabile, tenuto conto dell’intervenuta prescrizione dell’ipotetico reato ascrivibile al contribuente e alla circostanza che l’importo dell’IRPEF sottratta – in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, non aveva superato l’importo di Euro 150.000. Sicchè era corretto ritenere che “…l’amministrazione abbia fatto un uso strumentale e pretestuoso delle disposizioni tributarie sopra richiamate al fine di fruire ingiustificatamente di un termine più ampio per l’accertamento”.

La parte intimata si è costituita con controricorso.

L’Agenzia delle entrate deduce, con il primo motivo, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, del D.Lgs. n. 128 del 2015, art. 2, comma 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 3. La CTR avrebbe erroneamente applicato alla vicenda processuale la disciplina normativa introdotta dal D.Lgs. n. 128 del 2015.

Con il secondo motivo si deduce la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57. La CTR avrebbe errato nel dare rilievo all’intervenuta prescrizione dell’ipotesi delittuosa astrattamente configurabile nei confronti del contribuente, violando i principi espressi da questa Corte.

I due motivi, che meritano un esame congiunto, sono stati ritualmente dedotti, non ricorrendo i presupposti per ritenere applicabile l’art. 348 ter c.p.c. in relazione alla tipologia di vizi contestati (sotto lo stigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e sono fondati.

Ora, giova ricordare che secondo la giurisprudenza di questa Corte “ai fini del raddoppio dei termini in questione, per come disposto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 37, comma 24, convertito nella L. n. 248 del 2006, che ha modificato del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 43, comma 3 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 57, comma 2 bis (nei testi applicabili ratione temporis), non è necessaria l’effettiva presentazione della denuncia (nè tanto meno la produzione di questa in giudizio)”. Come, infatti, statuito dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 247/2011), l’unica condizione per il raddoppio dei termini è costituita dalla sussistenza dell’obbligo di denuncia penale, indipendentemente dal momento in cui tale obbligo sorga ed indipendentemente dal suo adempimento, sicchè “il raddoppio dei termini consegue dal mero riscontro di fatti comportanti l’obbligo di denuncia penale” e “il giudice tributario dovrà controllare, se richiesto con i motivi di impugnazione, la sussistenza dei presupposti dell’obbligo di denuncia, compiendo, al riguardo, una valutazione ora per allora (cosiddetta “prognosi postuma”) circa la loro ricorrenza ed accertando, quindi, se l’amministrazione finanziaria abbia agito con imparzialità od abbia, invece, fatto uso pretestuoso e strumentale delle disposizioni denunciate al fine di fruire ingiustificatamente di un più ampio termine di accertamento” da ultimo, v. Cass. n. 408/2018, Cass. n. 30966/2018-.

Cass. n. 24315/2018 ha poi soggiunto che il giudice di merito, come chiaramente ritenuto sempre da questa Corte (Cass. Sez. 6, 5, Ordinanza n. 13483 del 30/06/2016), può vigilare in ordine alla soglia di rilevanza penale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 3, nel testo vigente “ratione temporis”, relativo al raddoppio dei termini per l’accertamento, precisandosi che essa andrà valutata con riferimento al momento in cui è stata commessa la violazione ed effettuato l’accertamento non rilevando che, successivamente, a seguito dell’annullamento di una parte della pretesa tributaria, sia venuta meno la soglia di punibilità e conseguentemente l’obbligo di denuncia penale, salvo che, in linea con quanto affermato dalla sentenza n. 247 del 2011 della Corte costituzionale, l’Amministrazione finanziaria abbia fatto un uso pretestuoso o strumentale della disposizione, al solo fine di fruire, ingiustificatamente, di un più ampio termine.

Ora, secondo la CTR l’ufficio avrebbe fatto uso strumentale della disciplina in tema di raddoppio del termine di decadenza in relazione alla intervenuta prescrizione in assenza, nel caso di specie, dei presupposti per configurare il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, tenuto conto della soglie di punibilità prevista da detta disposizione.

Con tale statuizione la CTR ha escluso la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del contribuente, ritenendo per l’effetto strumentale il raddoppio dei termini utilizzato dall’Ufficio. Ma tale accertamento non è in linea con i principi espressi da questa Corte, ove si consideri che la determinazione dell’assenza dei requisiti per la punibilità è stata compiuta non ex ante, ma ex post, come si evince dalla circostanza che l’originario avviso di accertamento faceva riferimento ad un maggior reddito imponibile di Euro 647.138,00.

Parimenti errata risulta la sentenza impugnata laddove, ai fini dell’esclusione del raddoppio dei termini, la stessa ha richiamato l’intervenuta prescrizione del reato.

Occorre infatti rammentare che, come di recente ribadito da Cass. n. 31639/2018, ai fini del raddoppio dei termini previsti dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, nella versione applicabile “ratione temporis”, rileva unicamente la sussistenza dell’obbligo di presentazione di denuncia penale, a prescindere dall’esito del relativo procedimento e nonostante l’eventuale prescrizione del reato, poichè ciò che interessa è solo l’astratta configurabilità di un’ipotesi di reato, atteso il regime di “doppio binario” tra giudizio penale e procedimento tributario” – cfr. Cass. n. 9322/2017 -.

Sulla base di tali considerazioni, idonee a superare i rilievi difensivi esposti dalla controricorrente, la sentenza impugnata va annullata, con rinvio ad altra sezione della CTR Lombardia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della CTR Lombardia anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019

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