LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – rel. Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –
Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20808-2017 proposto da:
B.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MAGNAGRECIA 13, presso lo studio dell’avvocato SEBASTIANO DI LASCIO, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
AZIENDA UNITA’ SANITARIA LOCALE DI CHIETI ORTONA, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DELL’OROLOGIO 7, presso lo studio dell’avvocato NICOLA MARCONE, rappresentata e difesa dall’avvocato GABRIELE ROCCHETTI;
– controricorrente –
contro
A.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AVEZZANA 31, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRA FALUTI, rappresentato e difeso dall’avvocato ALBERTO PAONE;
– controricorrente –
contro
C.F.P., AXA ASSICURAZIONI SPA, ITALIANA ASSICURAZIONI SPA;
– intimati –
avverso la sentenza n. 4215/2017 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 17/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/09/2018 dal Consigliere Dott. CIGNA MARIO.
PREMESSO che:
con sentenza del 15-26 luglio 2014 la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’appello proposto da B.C. avverso la sentenza del 7 novembre 2007 con cui il Tribunale di Chieti, sezione distaccata di Ortona, le aveva respinto la sua domanda di accertamento di responsabilità contrattuale, e la sua ulteriore e conseguente domanda di condanna al risarcimento dei danni per errori/omissioni sotto il profilo diagnostico e terapeutico; domande proposte nei confronti dell’Azienda Usl di Chieti-Ortona nonchè di C.F.P. e di A.D. (questi ultimi due operanti in una struttura dell’Azienda Usl, l’ospedale ***** di Ortona, l’uno come chirurgo e l’altro come istopatologo), in relazione ad un intervento chirurgico al gomito destro del 10 marzo 1999 e al successivo controllo; nonostante ciò si era infatti sviluppato sulla stessa area un tumore di tredici centimetri, che aveva reso necessaria, nel luglio 2000, un altro intervento chirurgico, effettuatosi presso l’Ospedale ***** di Firenze, per l’amputazione del braccio destro.
Con sentenza 4215 del 2017 questa S.C. ha rigettato il ricorso per Cassazione proposto dalla B., evidenziando che, con lo stesso, la ricorrente, sostenendo la sussistenza di una violazione degli obblighi dei professionisti dottori A. e C., aveva inammissibilmente prospettato, in sede di legittimità, una ricostruzione alternativa del compendio probatorio diversa rispetto a quella adottata dal giudice di merito.
Avverso detta sentenza B.C. propone ricorso per revocazione ex art. 391 bis c.p.c. e art. 395 c.p.c., n. 4, illustrato anche da successiva memoria.
A.D. e la AUSL di Chieti-Ortona hanno resistito con controricorso, anch’esso illustrato da successiva memoria.
RILEVATO
che:
Sostiene la ricorrente che la S.C. sia incorsa in un errore di percezione o in una mera svista materiale, e quindi in un errore di fatto idoneo a determinare la revocazione della sentenza, per non avere considerato che, come risultava dalla cartella clinica, la formazione da eliminare non era affatto interamente “capsulata” ma presentava una “zona di erosione a livello dell’epifisi omerale”.
Preliminarmente il ricorso va ritenuto procedibile.
Questa S.C. a sez. unite, infatti, con recente sentenza 22438/2018, ha statuito che “il deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notifica, di copia analogica del ricorso per cassazione predisposto in originale telematico e notificato a mezzo PEC, senza attestazione di conformità del difensore L. n. 53 del 1994, ex art. 9, commi 1 bis e 1 ter, o con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non ne comporta l’improcedibilità ove il controricorrente (anche tardivamente costituitosi) depositi copia analogica del ricorso ritualmente autenticata ovvero non abbia disconosciuto la conformità della copia informale all’originale notificatogli D.Lgs. n. 82 del 2005, ex art. 23, comma 2. Viceversa, ove il destinatario della notificazione a mezzo PEC del ricorso nativo digitale rimanga solo intimato (così come nel caso in cui non tutti i destinatari della notifica depositino controricorso) ovvero disconosca la conformità all’originale della copia analogica non autenticata del ricorso tempestivamente depositata, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità sarà onere del ricorrente depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica sino all’udienza di discussione o all’adunanza in camera di consiglio”.
Nel caso di specie la ricorrente ha allegato, nelle memorie ritualmente depositate ex art. 374 c.p.c., la richiesta asseverazione di conformità con sottoscrizione autografa.
E ricorso è tuttavia inammissibile, non sussistendo l’errore di fatto di cui all’art. 395 c.p.c., n. 4.
La S.C., invero, nella sentenza 4215/2005 oggetto di revocazione, non ha considerato inesistente un fatto incontrovertibilmente esistente (erosione della massa solida da asportare, che quindi non era totalmente incapsulata), ma nell’esaminare il detto fatto, espressamente dedotto con il primo motivo di ricorso per Cassazione (ove, come riferito testualmente in sentenza, era stato evidenziato che “dalla cartella clinica risulterebbe che la massa solida da asportare non era totalmente incapsulata”), ha ritenuto inammissibile nel suo complesso il motivo in quanto tendente ad una nuova valutazione di merito del compendio probatorio; in particolare la S.C., nel decidere sul detto motivo (come sopra riportato), ha in particolare conclusivamente evidenziato che “quanto ai componenti di tale compendio che per sorreggere le sue argomentazioni, puramente fattuali, il motivo invoca ma che la Corte ha ritenuto non presenti agli atti, se realmente vi fossero presenti quando il Giudice d’appello ha deciso, come asserisce la ricorrente, il rimedio sarebbe stato semmai identificabile nell’art. 395 c.p.c.”.
In conclusione, pertanto, il ricorso è inammissibile.
Le spese di lite relative al presente giudizio per revocazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, poichè il ricorso è stato presentato successivamente al 30-1-2013 ed è stato rigettato, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 bis.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 7.000,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge; dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019