Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7549 del 18/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26489-2017 proposto da:

AGOS DUCATO SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PASUBIO 2, presso lo studio dell’avvocato HINNA DANESI FABRIZIO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARLA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI ANTONIETTA, TRIOLO VINCENZO, STUMPO VINCENZO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 383/2017 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 03/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/12/2018 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA.

RILEVATO

che con sentenza in data 29 marzo – 3 maggio 2017 numero 383 la Corte d’Appello di Torino riformava la sentenza del Tribunale di Novara e, per l’effetto, respingeva la domanda proposta dalla società AGOS DUCATO S.p.A. – già LOGOS FINANZIARIA S.p.a.- cessionaria del credito per TFR della lavoratrice S.M. nei confronti della fallita società ***** S.p.A.- avente ad oggetto il pagamento del TFR da parte dell’INPS-fondo di garanzia, a seguito dell’intervenuta ammissione della società cessionaria al passivo del fallimento;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale rilevava che il presupposto costitutivo dell’intervento del Fondo di garanzia L. n. 297 del 1982, ex art. 2, era la cessazione del rapporto di lavoro dell’avente diritto.

Nella fattispecie di causa alla data in cui LOGOS FINANZIARIA S.p.A. aveva presentato la domanda amministrativa al Fondo di garanzia – (14 luglio 2011) – il rapporto di lavoro era in corso – in quanto S.M. percepiva la Cassa Integrazione Guadagni in deroga-ed era cessato soltanto in data 31 dicembre 2011.

La natura previdenziale della prestazione erogata dal Fondo non avallava la tesi, contraria al disposto di legge, che si potesse ricorrere al Fondo di garanzia anche quando il rapporto di lavoro fosse ancora in essere;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso la società AGOS DUCATO S.p.A., articolato in due motivi, cui ha opposto difese l’INPS con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art.

380-bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione della L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, commi 2 e 5.

Ha assunto che nel caso di datore di lavoro soggetto a fallimento – o comunque a procedure concorsuali – il comma 2 della norma richiedeva per l’intervento del fondo di garanzia unicamente la ammissione allo stato passivo del credito per TFR; soltanto nel caso di datare di lavoro non soggetto alle disposizioni del R.D. n. 267 del 1942, il comma 5, richiedeva la risoluzione del rapporto di lavoro.

Ammesso definitivamente allo stato passivo il credito per il TFR maturato fino alla sentenza di fallimento, era irrilevante che il rapporto di lavoro del dipendente fosse proseguito, contrariamente a quanto statuito nella sentenza impugnata;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 -nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 443 c.p.c..

In linea gradata la parte ricorrente ha dedotto l’omessa pronuncia sulla domanda, formulata in via subordinata nelle note conclusionali del primo grado e riproposta al giudice dell’appello, di applicazione dell’art. 443 c.p.c., comma 2, ove si fosse ritenuta la carenza della domanda amministrativa.

che ritiene il collegio si debba respingere il ricorso;

che, invero:

– quanto al primo motivo, occorre muovere dal principio enunciato da questa Corte nella sentenza del 19 luglio 2018, n. 19277, in difformità rispetto agli arresti del 04/12/2015 n. 24730 e del 13/11/2015, n. 23258, secondo cui “poichè il TFR diventa esigibile solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro, il fatto che (erroneamente) il credito maturato per TFR fino al momento della cessione di azienda sia stato ammesso allo stato passivo nella procedura fallimentare del datore di lavoro cedente non può vincolare l’INPS, che è estraneo alla procedura e che perciò deve poter contestare il credito per TFR sostenendo che esso non sia ancora esigibile, neppure in parte, e quindi non opera ancora la garanzia di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2”.

A base del principio risiede l’affermazione che dalla natura autonoma (rispetto all’originario obbligo retributivo datoriale) e previdenziale della prestazione erogata dal fondo di garanzia non deriva l’effetto di totale inibizione dell’accertamento giudiziale degli elementi soggettivi ed oggettivi al cui ricorrere nasce l’obbligo di tutela assicurativa nè la impossibilità per l’INPS di contestare, una volta ottenuta l’ammissione al passivo della procedura concorsuale, la ricorrenza degli elementi interni alla fattispecie di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2. L’oggetto dell’obbligo assicurativo è individuato dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, attraverso il richiamo alla disciplina dell’art. 2120 c.c. sicchè i presupposti di intervento del fondo vanno così individuati (punto 22 della sentenza citata): a) sia venuto ad esistenza l’obbligo di pagamento del TFR in capo al datore di lavoro; b) egli, in tale momento, si trovi in stato di insolvenza. “Dunque, sempre ai sensi del disposto dell’art. 2120 c.c. citato è necessario, innanzi tutto, che sia intervenuta la risoluzione del rapporto di lavoro. Ciò non solo perchè il TFR non può essere preteso se non alla cessazione del rapporto di lavoro (vd. da ultimo Cass. n. 2827 del 2018) ma anche in quanto è la stessa fattispecie di cui alla L. n. 297 del 1992, art. 2, che include la risoluzione del rapporto di lavoro, espressamente, fra i presupposti di applicazione della tutela”.

I principi affermati sono esattamente riferibili, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente in memoria, anche all’ipotesi in cui, come nella fattispecie di causa, il rapporto di lavoro non sia ancora cessato al momento della ammissione al passivo, pur rimanendo nella titolarità del datore di lavoro insolvente.

Ad essi si intende dare continuità in questa sede; la sentenza impugnata è dunque immune dalle censure sollevate

– il secondo motivo è inammissibile. La istanza di applicazione dell’art. 443 c.p.c. – norma che prevede la sospensione del procedimento giudiziario in materia previdenziale per la presentazione dei ricorsi amministrativi- non configura una domanda autonoma sulla quale sia necessaria una pronuncia ma attiene ai poteri del giudice di direzione del procedimento, che la parte può unicamente sollecitare (nel rispetto del termine previsto per la adozione del provvedimento) ed il cui mancato esercizio non configura violazione dell’art. 112 c.p.c. Quanto alla dedotta violazione dell’art. 443 c.p.c., la ratio decidendi della sentenza impugnata è costituita dalla mancata cessazione del rapporto di lavoro all’atto della ammissione allo stato passivo nonchè della domanda amministrativa all’INPS e, dunque, dalla carenza, per quanto rilevato in riferimento al primo motivo, delle condizioni di intervento del fondo di garanzia. Non è dunque pertinente il richiamo alla improcedibilità del ricorso giudiziario per mancato esperimento del preventivo ricorso amministrativo, fattispecie cui si riferisce il meccanismo di sospensione di cui all’invocato art. 443 c.p.c..

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c..

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.000 per compensi professionali oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 19 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019

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