Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7550 del 18/03/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – rel. Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26706-2017 proposto da:

G.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 44, presso lo studio dell’avvocato ALICICCO ALESSANDRO, rappresentata e difesa dall’avvocato ROMOLI ALESSIO e dall’avvocato BONANNI EZIO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati CARCAVALLO LIDIA,

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 623/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 25/05/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/12/2018 dal Consigliere Dott. SPENA FRANCESCA.

RILEVATO

che con sentenza del 25 maggio 2017 numero 623 la Corte d’Appello di Firenze riformava la sentenza del Tribunale di Arezzo e, per l’effetto, respingeva la domanda proposta da G.M., quale coniuge superstite di C.M., nei confronti dell’Inps per l’accertamento del diritto del C. alla rivalutazione dei contributi accreditati, ai sensi della L. n. 257 del 1992, art. 13,comma 8, e per il ricalcolo della pensione di reversibilità;

che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava essere incontestato tra le parti che la G. aveva proposto domanda amministrativa di rivalutazione contributiva, L. n. 257 del 1992, ex art. 13, il 20 ottobre 2008 ed, all’esito del rigetto, ricorso amministrativo in data 8 marzo 2010, la cui reiezione risultava comunicata il 24 maggio 2010. Alla data della domanda giudiziale, del 18 marzo 2015, pertanto, risultava decorso il termine di decadenza triennale di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47.

Non erano invece applicabili i principi affermati dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nell’arresto numero 12720/2009, poichè ciò che si faceva valere nelle controversie L. n. 257 del 1992, ex art. 13, non era il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica ovvero alla rivalutazione dei singoli ratei bensì il diritto ad un beneficio che, seppure previsto ai fini pensionistici, era dotato di una sua specifica individualità ed autonomia;

che avverso la sentenza ha proposto ricorso G.M., articolato in tre motivi, cui ha opposto difese l’INPS con controricorso;

che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti – unitamente al decreto di fissazione dell’udienza – ai sensi dell’art.

380-bis c.p.c.;

che la parte ricorrente ha depositato memoria.

CONSIDERATO

che la parte ricorrente ha dedotto:

– con il primo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione della L. n. 257 del 1992, art. 13 e del D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, come modificato dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4;

– con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – totale travisamento dei fatti e degli orientamenti giurisprudenziali della Suprema Corte;

– con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Con il primo e con il secondo motivo la parte ricorrente ha assunto l’inapplicabilità della decadenza di cui al D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, nel caso di domanda di conseguimento della rivalutazione contributiva ex L. n. 257 del 1992, non venendo in questione il conseguimento di una prestazione autonoma ma la rivalutazione di una prestazione pensionistica riconosciuta in misura parziale (cui era riferibile il principio, enunciato dalle Sezioni Unite di questa Corte nell’arresto 12720/2009, di inapplicabilità della decadenza alle prestazioni liquidate solo in parte).

Ha aggiunto che non poteva neppure applicarsi la decadenza ex novo introdotta dal D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 38,comma 4, poichè, per effetto della declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza della Corte costituzionale 2 aprile 2014, n. 69, essa riguardava le sole prestazioni pensionistiche riconosciute a decorrere dal 6 luglio 2011.

Con il terzo motivo la ricorrente ha denunziato l’omesso esame del fatto che nella fattispecie di causa – anche a non volere ritenere la imprescrittibilità del diritto – non era decorso il termine di prescrizione quinquennale tra la data della reiezione del ricorso amministrativo e la data di deposito del ricorso giudiziario;

che ritiene il Collegio si debba dichiarare la inammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1;

che, invero, sulla questione proposta con il primo ed il secondo motivo si è formato un univoco orientamento di questa Corte (ex plurimis: Cass. n. 12685 del 2008 e nn. 3605, 4695 e 6382 del 2012; ord. nn. 7138, 8926, 12052 del 2011, n. 1629 del 2012, sez. VI n. 16592/2014; n. 13816/2015; n. 7043/2016) secondo cui la decadenza dall’azione giudiziaria prevista dal D.P.R. n. 639 del 1970, art. 47, trova applicazione anche per le controversie aventi ad oggetto il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva per esposizione all’amianto.

Secondo le richiamate decisioni, il suddetto art. 47, per l’ampio riferimento alle controversie in materia di trattamenti pensionistici, comprende tutte le domande giudiziarie in cui venga in discussione l’acquisizione del diritto a pensione ovvero la determinazione della sua misura, così da doversi ritenere incluso anche l’accertamento relativo alla consistenza dell’anzianità contributiva utile ai fini in questione (sulla quale incide il sistema più favorevole di calcolo della contribuzione previsto dalla L. n. 257 del 1992, art. 13, comma 8).

Tale decadenza è applicabile anche alle domande giudiziarie avanzate da soggetti già pensionati, alle quali non sono riferibili i principi affermati dalle Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 12720/2009) con riguardo alle domande di riliquidazione delle prestazioni previdenziali liquidate in misura inadeguata (Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza n. 19482/2012; n. 11400/2012; n. 7043/2016). A tale conclusione questa Corte è pervenuta sul rilievo che ciò che si fa valere in questi casi non è il diritto al ricalcolo della prestazione pensionistica erroneamente liquidata in sede di determinazione amministrativa, bensì il diritto ad un beneficio dotato di una sua specifica individualità e autonomia. Il beneficio della rivalutazione contributiva è riconosciuto dalla legge in presenza di condizioni diverse rispetto a quelle previste per la liquidazione di pensioni e supplementi secondo le regole ordinarie, condizioni all’evidenza conosciute solo da chi le invoca e, come tali, da portare a conoscenza dell’INPS mediante apposita domanda amministrativa.

La rideterminazione della pensione, in questo caso, consegue al giustificato sopravvenuto mutamento – anche se con effetti retroattivi della posizione contributiva e non è pertanto corretto qualificarla come correzione di una precedente determinazione amministrativa ingiusta od erronea (cfr nello stesso senso Cass. n. 1576/2013 in tema di decadenza dell’assicurato a seguito della domanda di rivalutazione contributiva L. n. 113 del 1985, ex art. 9).

In coerenza con tale principio si è affermato che la decadenza, una volta verificatasi, ha incidenza non soltanto sul diritto alle differenze sui ratei di pensione liquidati ma sullo stesso diritto alla rivalutazione, precludendone il riconoscimento; nella sentenza 24 aprile 2012, n. 6382 e nelle numerose successive pronunzie conformi si è espressamente operata una distinzione tra il diritto per cui è causa ed il diritto a pensione, osservando trattarsi della rivendicazione di un beneficio aggiuntivo, che non incide sulla effettività del diritto riconosciuto dall’art. 38 Cost..

Il ricorso non offre elementi utili a sollecitare una rivisitazione di tale consolidato orientamento.

Quanto al terzo motivo, la inammissibilità della censura discende dalla sua estraneità alla ratio decidendi, fondata esclusivamente sulla decadenza dal diritto e non sulla sua prescrizione;

che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere definito con ordinanza di inammissibilità in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;

che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.

PQM

La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 1.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 19 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472