LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10682-2017 proposto da:
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati LUCIANA ROMEO, LUCIA PUGLISI;
– ricorrente –
contro
C.E., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ISIDORO GIANLUCA MALANDRA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 117/2017 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 23/02/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/12/2018 dal Consigliere Dott. CAVALLARO LUIGI.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 23.2.2017, la Corte d’appello dell’Aquila, in riforma della pronuncia di primo grado, ha rigettato l’opposizione proposta dall’INAIL avverso il precetto con cui C.E., sulla scorta della sentenza del Tribunale di Sulmona n. 88/2001 resa nel giudizio da lui promosso nei confronti di Ferrovie dello Stato s.p.a., gli aveva intimato il pagamento di somme per ratei di rendita per malattia professionale maturati nel periodo gennaio-marzo 2015;
che avverso tale pronuncia l’INAIL ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
che C.E. ha resistito con controricorso;
che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che l’INAIL ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, l’Istituto ricorrente denuncia violazione del T.U. n. 1124 del 1965, artt. 3 e 74, e falsa applicazione del D.L. n. 510 del 1996, art. 2, comma 13 (conv. con L. n. 608 del 1996), per avere la Corte di merito ritenuto che la domanda già proposta da C.E. nei confronti di Ferrovie dello Stato s.p.a. concernesse prestazioni per infermità derivanti da malattia professionale e non invece da causa di servizio ed aver conseguentemente esteso la successione dell’INAIL rispetto alle prestazioni già erogate dall’allora Ente Ferrovie dello Stato anche a fattispecie non prevista dal D.L. n. 510 del 1996, art. 2, comma 13;
che, con il secondo motivo, l’Istituto ricorrente lamenta violazione dell’art. 2909 c.c. e art. 112 c.p.c. per avere la Corte territoriale ritenuto che il giudicato portato dalla sentenza n. 88/2001 del Tribunale di Sulmona concernesse prestazioni dipendenti da malattia professionale e non da causa di servizio;
che i motivi debbono essere esaminati congiuntamente, stante l’intima connessione delle censure rivolte all’impugnata sentenza, e sono manifestamente infondati, dovendosi dare continuità ai precedenti pronunciamenti di questa Corte nn. 23527 del 2013 e 16590 del 2014, i quali, a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 510 del 1996, art. 2, comma 13, hanno individuato nell’INAIL il legittimato passivo delle prestazioni riconosciute all’odierno controricorrente giusta sentenza n. 88/2001 del Tribunale di Sulmona;
che, come si legge nella sentenza ult. cit., “l’avere il ricorrente invocato “la causa di servizio” quale titolo della prestazione previdenziale richiesta non autorizza per ciò solo a ritenere che lo stesso abbia domandato l'”equo indennizzo” (…) anzichè la rendita per malattia professionale”, rispetto alla quale ultima vale appunto il principio secondo cui “le prestazioni dovute successivamente al periodo coperto da giudicato sono a carico dell’INAIL, succeduto ex lege all’Ente Ferrovie dello Stato, e da ultimo, alla RFI” (così, in termini, Cass. n. 16590 del 2014, cit.);
che il ricorso va pertanto rigettato, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione del rigetto del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 1.400,00, di cui Euro 1.200,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019