LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CURZIO Pietro – Presidente –
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17374-2017 proposto da:
O.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 17, presso lo STUDIO LEGALE RISTUCCIA & TUFARELLI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO SAITTA;
– ricorrente –
contro
CONSORZIO AUTOSTRADE SICILIANE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA IRNERIO 11, presso lo studio dell’avvocato ANNA RITA FERA, rappresentato e difeso dall’avvocato CARMELO MATAFU’;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 718/2016 della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 05/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/12/2018 dal Consigliere Dott. LUIGI CAVALLARO.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata il 5.7.2016, la Corte d’appello di Messina ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda di O.F. volta al conseguimento delle differenze retributive asseritamente spettantigli per aver svolto mansioni di capo ufficio (liv. A del CCNL 16.2.2009 per i dipendenti di società e consorzi concessionari di autostrade e trafori);
che avverso tale pronuncia O.F. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura;
che il Consorzio Autostrade Siciliane ha resistito con controricorso; che è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che parte ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, il ricorrente si duole di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56, per avere la Corte di merito ritenuto che le deposizioni testimoniali escludessero la ricorrenza dei presupposti di fatto per l’inquadramento superiore senza considerare il contenuto del provvedimento datoriale con cui gli era stata attribuita la reggenza dell’Ufficio Economato;
che, con il secondo motivo, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione del CCNL cit., art. 19, per avere la Corte territoriale ritenuto che la prova testimoniale espletata in prime cure non desse conto dello svolgimento di mansioni proprie del profilo rivendicato;
che i motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione del tenore delle censure rivolte all’impugnata sentenza;
che è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio di diritto secondo cui il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità se non nei ristretti limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (cfr. tra le più recenti Cass. n. 24155 del 2017);
che, nella specie, i motivi di censura incorrono precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento che, pur essendo formulati con riguardo ad una presunta violazione delle disposizioni di legge e di contratto richiamate nella rubrica di ciascuno di essi, pretendono in realtà di criticare l’accertamento di merito che la Corte territoriale ha effettuato in ordine alla insussistenza dei presupposti di fatto per la loro applicazione, proponendo una diversa lettura delle prove documentali e testimoniali acquisite al processo;
che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di disposizioni di legge e di contratto mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti già esaminati dal giudice di merito, atteso che in tal modo si consentirebbe la surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, grado di merito (Cass. n. 8758 del 2017);
che il ricorso, pertanto, va dichiarato inammissibile, provvedendosi come da dispositivo sulle spese del giudizio di legittimità, giusta il criterio della soccombenza;
che, in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.700,00, di cui Euro 3.500,00 per compensi, oltre spese generali in misura pari al 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 19 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019