LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORICCHIO Antonio – Presidente –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3200-2015 proposto da:
Q.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DEL VIGNOLA n. 75 C/O MAZZARELLA, rappresentato e difeso dall’avvocato VINCENZO DE BENEDITTIS;
– ricorrente –
contro
Q.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN n. 45, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ARDITI DI CASTELVETERE, rappresentata e difeso dagli avvocati COSIMO GIUSEPPE GIANNOCCARO e GIUSEPPE ROMANO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 325/2014 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 13/05/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 25/10/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione del 12.12.2003 Q.V. conveniva in giudizio innanzi il Tribunale di Lecce, Sezione distaccata di Nardò, Q.M.G., esponendo di averle venduto, con atto pubblico del 10.1.2000 per atto del notaio D., una porzione di un fabbricato sito in *****, e lamentando che la convenuta aveva realizzato, in sopraelevazione del fabbricato, un ampliamento per una volumetria eccessiva, non corrispondente soltanto alla parte dell’intero edificio di sua proprietà, ma anche a quella rimasta di proprietà dell’attore. Su tali premesse, quest’ultimo invocava la condanna della convenuta alla parziale demolizione dell’ampliamento, o in subordine al risarcimento del danno corrispondente all’abusiva utilizzazione della volumetria che sarebbe invece spettata all’attore.
La convenuta resisteva alla domanda sostenendo che con l’atto del 10.1.2000 le era stata ceduta anche la proprietà del lastrico solare sovrastante l’edificio e, quindi, il relativo diritto di sopraelevazione.
Al contempo, la convenuta sporgeva querela nei confronti dell’attore. Nella fase delle indagini preliminari del conseguente procedimento penale veniva disposta consulenza tecnica, all’esito della quale veniva richiesta dal P.M., e disposta dal G.I.P. con provvedimento del 17.3.2005 a seguito di opposizione della querelante, l’archiviazione.
Nel giudizio civile veniva disposta C.T.U. che, diversamente da quanto ritenuto dall’ausiliario nominato in sede penale, accertava che la convenuta aveva realizzato soltanto la cubatura che corrispondeva alla sua proprietà.
Con sentenza parziale del 16.3.2011 il Tribunale di Lecce, sulla base degli accertamenti peritali svolti tanto in sede civile che in sede penale – essendo stati acquisiti al fascicolo del giudizio civile gli atti svolti nel procedimento penale – condannava Q.M.G. a demolire l’intera costruzione da lei realizzata, ritenendo che la stessa avesse acquistato il diritto di sopraelevazione sul lastrico dell’edificio preesistente soltanto nei limiti della residua potenzialità edificatoria del lotto e tenendo conto della sola quota ideale corrispondente alla porzione di sua proprietà dell’intero stabile. In altre parole, secondo il primo giudice poichè la Q.M.G. era proprietaria dell’intero secondo piano ed aveva acquistato solo uno dei due appartamenti siti al piano terra dell’edificio – l’altro essendo rimasto di proprietà del Q.V. – la prima non avrebbe potuto utilizzare la volumetria facente capo a tale ultimo alloggio.
Interponeva appello avverso detta decisione la convenuta e la Corte di Appello di Lecce, con la sentenza n. 325/2014 oggi impugnata, accoglieva il gravame respingendo la domanda di demolizione proposta dal Q.V. in prima istanza. Secondo la Corte territoriale, il diritto di sopraelevazione spetta al proprietario dell’ultimo piano dell’edificio e pertanto, avendo pacificamente l’appellante acquistato la proprietà del lastrico solare, la sopraelevazione doveva ritenersi legittima in quanto non eccedente i limiti previsti dalla normativa edilizia applicabile. Nessun diritto spettava, in relazione al diritto di soprelevazione, all’appellato, posto che nell’atto del 10.1.2000 non era stata prevista una limitazione convenzionale della norma di cui all’art. 1127 c.c..
Ricorre per la cassazione di detta decisione Q.V. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso Q.M.G., la quale ha anche depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1127 c.c. e art. 41-quinquies L. n. 1150 del 1942 (Legge Urbanistica Regione Puglia) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.
Nella prima parte del motivo il ricorrente sostiene che la Corte di Appello, a differenza del Tribunale, avrebbe erroneamente eseguito il calcolo della volumetria in concreto utilizzabile dalla resistente senza tener conto dello scorporo della quota inerente all’appartamento ancora di proprietà del ricorrente. In questo modo la Corte territoriale avrebbe falsamente applicato le norme censurate in quanto non avrebbe considerato che la domanda mossa dal Q.V. in prime cure non era soltanto fondata sull’esistenza, all’interno del fabbricato, di un appartamento ancora di sua proprietà, ma anche sul fatto che dalla compravendita del 10.1.2000 erano state escluse talune pertinenze, tra cui un terreno, che erano quindi rimaste di proprietà esclusiva del ricorrente e non erano mai entrate a far parte del condominio costituitosi sull’edificio. Di conseguenza, il giudice di appello avrebbe dovuto considerare che una parte della volumetria riferita al lotto sul quale insiste il fabbricato non era mai entrata nella disponibilità della controricorrente, perchè -appunto- collegata a beni rimasti di proprietà esclusiva del Q.V.. La Corte pugliese avrebbe quindi commesso -sempre ad avviso del ricorrente- il medesimo errore logico-giuridico in cui era a suo tempo incorso il consulente tecnico incaricato dal giudice di prime cure, dalle cui conclusioni il Tribunale si era invece correttamente discostato.
Per questa prima parte, la censura è inammissibile per difetto di specificità, posto che da un lato il ricorrente non riporta il testo del contratto del 10.1.2000 o delle sue clausole ritenute rilevanti, nè indica il momento processuale in cui esso sarebbe stato depositato e la relativa questione sarebbe stata proposta; d’altro canto, il ricorrente non denuncia neppure l’erronea applicazione dei canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 c.c. e ss.. Di conseguenza, la doglianza si risolve in una richiesta di riesame dei documenti allegati dalle parti nelle fasi di merito, non consentita in cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv.627790).
In argomento, va ribadito da un lato il principio per cui “In tema di interpretazione del contratto -riservata al giudice di merito, le cui valutazioni sono censurabili, in sede di legittimità, soltanto quando la motivazione non consenta di ricostruire l’iter logico seguito da quel giudice per attribuire all’atto negoziale un determinato significato o per violazione delle regole ermeneutiche stabilite dagli artt. 1362 c.c. e ss. – il ricorrente per cassazione, per il principio di autosufficienza del ricorso, è tenuto a trascrivere integralmente il contenuto delle clausole asseritamente male interpretate” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 3075 del 13/02/2006, Rv.586462; conf. Cass. Sez. L, Sentenza n. 11661 del 18/05/2006, Rv.589049 e Cass. Sez. L, Sentenza n. 1825 del 29/01/2007, Rv.594684).
Inoltre, va parimenti ribadito che “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv.589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv.631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv.631330; Cass. Sez. L, Sentenza n. 11933 del 07/08/2003, Rv.565755; Cass. Sez. L, Sentenza n. 322 del 13/01/2003, Rv.559636).
Inoltre, la doglianza è inammissibile anche in funzione del principio secondo cui l’apprezzamento dell’oggetto del contratto costituisce valutazione tipicamente di merito. Sul punto, giova ribadire il principio secondo cui “In tema di interpretazione di clausole contrattuali recanti espressioni non univoche, la contestazione proposta in sede di legittimità non può limitarsi a prospettare una pur plausibile interpretazione alternativa delle clausole stesse, fondata sulla valorizzazione di talune espressioni ivi contenute piuttosto che di altre, ma deve rappresentare elementi idonei a far ritenere erronea la valutazione ermeneutica operata dal giudice del merito, cui l’attività di interpretazione del contratto è riservata” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15471 del 22/06/2017, Rv.645074; conf. Cass. Sez. L, Sentenza n. 18375 del 23/08/2006, Rv. 591659).
Nella seconda parte del primo motivo, il ricorrente sostiene che in base alla Legge regionale Urbanistica della Puglia gli standards edilizi, intesi come potenzialità edificatoria dei suoli, sarebbero trasferibili anche autonomamente; da questo, fa derivare la conseguenza che quando sullo stesso suolo insistono (come sarebbe nel caso di specie) diversi immobili di proprietà di vari soggetti, la potenzialità edificatoria complessiva espressa dall’area vada ripartita tra i vari comproprietari secondo le rispettive quote.
Sotto questo profilo, la censura non coglie la ratio della decisione, posto che la Corte di Appello ha ritenuto che la controricorrente, avendo acquistato la proprietà dell’intero lastrico solare sovrastante l’edificio, aveva acquisito anche la potenzialità edilizia esprimibile mediante sopraelevazione. Simile accertamento, che non viene specificamente attinto dal motivo in esame, si risolve in una interpretazione del contratto che non può essere utilmente censurata in cassazione, posti i principi in precedenza ribaditi.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1127,1362 e 1370 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 perchè la Corte di Appello avrebbe erroneamente interpretato il contratto di vendita del 10.1.2000 accertando, in fatto, che in esso mancasse una pattuizione tesa a limitare o escludere la possibilità di sopraelevare sul lastrico solare e facendo da ciò derivare, in diritto, la conseguenza che l’acquisto del lastrico solare contenga in sè anche il diritto ad edificare sullo stesso.
La doglianza va rigettata. La conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale è pienamente conforme all’art. 1127 c.c., comma 1, secondo cui “Il proprietario dell’ultimo piano dell’adificio può elevare nuovi piani o nuove fabbriche, salvo che risulti altrimenti dal titolo. La stessa facoltà spetta a chi è proprietario esclusivo del lastrico solare”. Peraltro, questa Corte ha affermato il principio – che nel caso di specie risulta correttamente applicato dalla Corte leccese – secondo cui “Nell’ipotesi di cessione in proprietà ad un terzo del lastrico solare e del diritto di sopraelevazione, effettuata da chi ne era titolare anteriormente alla costituzione del condominio, non solo il lastrico solare rimane escluso dalla presunzione legale di proprietà comune, ma, nel caso di sopraelevazione, il nuovo lastrico rimane di proprietà del titolare del precedente lastrico, indipendentemente dalla proprietà della costruzione. Il diritto di superficie, infatti, salvo che il titolo non ponga limiti di altezza al diritto di sopraelevazione, non si esaurisce con l’erezione della costruzione sul lastrico, nè il nuovo lastrico si trasforma in bene condominiale, poichè il titolare della superficie, allorchè eleva una nuova costruzione, anche se entra automaticamente nel condominio per le parti comuni ad esso, ha un solo obbligo nei confronti dello stesso, cioè quello di dare un tetto all’edificio, restando, tuttavia, sempre titolare del diritto di sopralzo, che è indipendente dalla proprietà della costruzione” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18822 del 31/10/2012, Rv.624205; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1916 del 23/02/1987, Rv.451233; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4220 del 20/06/1983, Rv.429146).
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, perchè la Corte leccese non avrebbe considerato che l’area alla quale sarebbe connessa la potenzialità edificatoria utilizzata dalla resistente apparteneva, in parte, al ricorrente; in particolare, ad avviso di quest’ultimo costituirebbe circostanza pacifica e non contestata il fatto che egli sia proprietario di un’area scoperta non compresa nella compravendita del 10.1.2000, la quale non sarebbe quindi mai entrata a far parte del condominio relativo all’edificio sopraelevato dalla Q..
La doglianza è inammissibile nella prima parte, per le medesime considerazioni esposte con riguardo al primo motivo, trattandosi di questione inerente il merito della controversia. Nella seconda parte invece, con la quale il ricorrente ipotizza, in proprio favore, un fatto non contestato, va ribadito che “Il principio di non contestazione non opera in difetto di specifica allegazione dei fatti che dovrebbero essere contestati, nè tale specificità può essere desunta dall’esame dei documenti prodotti dalla parte, atteso che l’onere di contestazione deve essere correlato alle affermazioni presenti negli atti destinati a contenere le allegazioni delle parti, onde consentire alle stesse e al giudice di verificare immediatamente, sulla base delle contrapposte allegazioni e deduzioni, quali siano i fatti non contestati e quelli ancora controversi” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22055 del 22/09/2017, Rv.646016). Non avendo il ricorrente assolto al suddetto onere di allegazione, anche questa censura si risolve nella proposizione di una interpretazione del fatto -o delle risultanze istruttorie- diversa e alternativa rispetto a quella fatta propria dal giudice di merito.
Peraltro, è appena il caso di ribadire che “L’onere di contestazione riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, nè la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, è riservata al giudice” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 21/06/2016, Rv. 640254).
In definitiva, il ricorso va rigettato e le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Poichè il ricorso per cassazione è stato proposto dopo il 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1 comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del Testo Unico di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.100 di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15%, iva e cassa avvocati come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 25 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019
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