Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7613 del 18/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14880-2018 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

R.V., in proprio e nella qualità di erede di D.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARIA CRISTINA SALVUCCI, rappresentato e difeso dall’avvocato ANIELLO PULLANO;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 24/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 06/12/2018 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO.

RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso per la cassazione del decreto con cui la corte di appello di Roma ha riconosciuto ai sig.ri D.S. e R.V. l’equo indennizzo per la non ragionevole durata di un procedimento civile in cui entrambi erano stati parti. Nell’impugnato decreto si disattende l’eccezione di tardività della domanda di indennizzo, sollevata dal Ministero in relazione al termine semestrale di decadenza di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 4; la corte capitolina argomenta che detto termine patisce la sospensione feriale e, pertanto, nella specie esso risultava ancora pendente al di del ricorso introduttivo della fase monitoria del procedimento di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 3.

Il sig. R., in proprio e quale erede di D.S., frattanto deceduta, ha presentato controricorso.

La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 6 Dicembre 2018, per la quale il ricorrente Ministero ha depositato memoria.

I quattro motivi di ricorso, tutti riferiti alla violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, censurano, sotto differenti profili, la statuizione della sentenza gravata concernente la soggezione del termine di decadenza previsto da detta disposizione alla sospensione feriale dei termini.

Con il primo motivo si sostiene che erroneamente sarebbe stata reputata applicabile al termine de quo la sospensione feriale dei termini di cui alla L. n. 742 del 1969, occorrendo al riguardo tenere conto degli effetti della novella del 2012, la quale ha previsto che, una volta rigettata la domanda di equo indennizzo, ancorchè per motivi di rito, la stessa non sia più proponibile, sebbene non risulti ancora maturato il termine semestrale; il che dovrebbe portare ad assimilare il termine de quo a quelli a carattere sostanziale.

Con il secondo motivo si denuncia la violazione della medesima norma e si assume che oggi sarebbe venuto meno il carattere necessitato del procedimento di cui alla L. n. 89 del 2001, posto che il diritto all’indennizzo può essere riconosciuto mediante il procedimento di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010.

Il terzo motivo denuncia la violazione della L. n. 89 del 2001, art. 4, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo applicabile al termine de quo la sospensione feriale dei termini, senza tenere conto della riduzione a sei mesi del termine per impugnare recata dalla modifica dell’art. 327 c.p.c.; al riguardo si deduce che, paradossalmente, potrebbe verificarsi che al termine endoprocessuale lungo di cui alla norma ora richiamata non risulti applicabile la sospensione feriale dei termini, che invece sarebbe invocabile per il termine decadenziale per la proposizione della domanda di equo indennizzo.

Il quarto motivo, infine, lamenta, sempre in relazione alla medesima norma, l’erronea applicazione della sospensione feriale dei termini, sostenendo la necessità di una sua interpretazione adeguatrice, in ragione della peculiare struttura che il legislatore ha dato al procedimento, conformandolo alle regole della procedura monitoria, connotata da una speditezza che risulterebbe incompatibile con la proroga dei termini in periodo feriale.

I quattro motivi possono essere esaminati congiuntamente e vanno rigettati, alla luce di quanto questa Corte ha precisato nelle sentenze 4675/18 e 14493/18, dai cui insegnamenti il Collegio non vede ragione di discostarsi.

Al riguardo va ricordato, innanzi tutto, il condiviso principio per cui “poichè fra i termini per i quali la L. n. 742 del 1969, art. 1, prevede la sospensione nel periodo feriale vanno ricompresi non solo i termini inerenti alle fasi successive all’introduzione del processo, ma anche il termine entro il quale il processo stesso deve essere instaurato, allorchè l’azione in giudizio rappresenti, per il titolare del diritto, l’unico rimedio per fare valere il diritto stesso, detta sospensione si applica anche al termine di sei mesi previsto dalla L. n. 89 del 2001, art. 4, per la proposizione della domanda di equa riparazione per violazione del termine ragionevole del processo” (Cass. n. 5423 del 2016; Cass. n. 10595 del 2016; Cass. n. 26423/2016).

Le argomentazioni sviluppate dal Ministero ricorrente per contrastare tale principio in parte si basano su considerazioni di politica legislativa che esulano chiaramente dalle conclusioni imposte dal tenore letterale della norma, come laddove si pretende di trarre argomenti dal dimezzamento dei termini per impugnare recato dalla L. n. 69 del 2009 (cfr. pag. 22 del ricorso); in parte rimandano a situazioni del tutto eventuali, come laddove si fa riferimento alla possibilità che al termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c., possa in concreto non risultare applicabile la sospensione feriale (cfr. pag. 21 del ricorso).

Ancora va osservato che il carattere di speditezza che, a seguito della riforma, connota il procedimento in esame (con la sua strutturazione sulla falsariga del procedimento monitorio) mira ad assicurarne la sollecita definizione dopo la relativa introduzione, ma non può costituire argomento in sè idoneo ad escludere l’applicazione della sospensione feriale in relazione al diverso termine posto a monte dell’introduzione del procedimento medesimo. D’altronde, anche in relazione a procedimenti comunque connotati per l’intento del legislatore di favorire una sollecita istruzione e definizione, come ad esempio il procedimento sommario di cui all’art. 702 bis c.p.c., non si è mai dubitato della necessità di dover fare applicazione della sospensione feriale, laddove la controversia esuli da quelle per le quali il legislatore abbia espressamente previsto l’inoperatività della detta sospensione.

Quanto, poi, al rilievo concernente l’accentuazione del carattere decadenziale del termine semestrale per l’esercizio dell’azione indennitaria – che il ricorrente individua nella previsione che preclude la possibilità di riproporre, nonostante il mancato decorso di detto termine, l’azione che sia stata rigettata, anche per motivi di rito (L. 89 del 2001, art. 3,comma 6) – esso non depone a favore della natura sostanziale del termine, trattandosi di conseguenza che appare rimessa essenzialmente alla discrezionale scelta del legislatore, senza direttamente incidere sul tema sostenuto nel motivo di ricorso, e che trova un richiamo anche nella disciplina di cui agli artt. 358 e 387 c.p.c., non essendosi mai dubitato che i termini previsti per le impugnazioni conservino natura processuale, sebbene la declaratoria di inammissibilità o di improcedibilità dell’impugnazione precluda là relativa ripresentazione, pur nella perdurante pendenza dei termini previsti dalla legge.

Quanto, infine alla possibilità di far ricorso alla procedura di mediazione di cui al D.Lgs. n. 28 del 2010, la connotazione di tale procedura come chiaramente strumentale all’esercizio dell’azione giudiziale costituisce un argomento decisivo per escludere che sia venuto meno il carattere necessitato della procedura giurisdizionale, essendo peraltro tale carattere solo uno degli argomenti che depongono per la natura processuale del termine di cui all’art. 4 cit..

In definitiva il ricorso va rigettato, per l’infondatezza di tutti l’motivi in cui esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

Non trova applicazione il disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, del D.Lgs. n. 546 del 1992, essendo la ricorrente un’Amministrazione dello Stato (Cass. 5955/14, Cass. 1778/16).

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il Ministero ricorrente a rifondere al contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 1.900, oltre Euro 100 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019

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