LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9240-2018 proposto da:
B.A., rappresentato e difeso dall’avvocato PIERFRANCO PUCCIO;
– ricorrente –
contro
L.M.M., elettivamente domiciliata in CORLEONE, V. ROMA 57, presso lo studio dell’avvocato BIAGIO MAURIZIO LA VENUTA, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2003/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 02/11/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/01/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
B.A. ha proposto ricorso articolato in unico motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 949 c.c.), avverso la sentenza 2 novembre 2017, n. 2003/2017, resa dalla Corte d’Appello di Palermo. L.M.M. si difende con controricorso.
La decisione della Corte d’Appello, in accoglimento del gravame avverso la sentenza di primo grado del Tribunale di Termini Imerese, ha accertato che B.A. non è titolare di servitù di passaggio sulle particelle ***** e *****, fl. *****, in Corleone, *****, di proprietà di L.M.M.. La Corte di Palermo ha così verificato che dagli atti prodotti (atto pubblico di donazione *****, atto di divisione *****) non esiste alcuna servitù di passaggio sul tracciato colorato in verde nell’allegato della relazione di CTU, oggetto dell’azione negatoria proposta da L.M.M., mentre sussisteva un analogo diritto sul diverso tracciato colorato in blu nell’allegato peritale, costituito per destinazione del padre di famiglia ed ormai inutilizzato. Ad avviso dei giudici di secondo grado, il passaggio tramite il tracciato colorato in verde dal CTU (passaggio che B.A. assumeva di aver realizzato ex novo nel 1988, e che lo stesso perito indicava come a sua volta inutilizzato da qualche anno) era frutto di iniziativa esclusiva del B., e non di costituzione per destinazione del padre di famiglia, sicchè l’appellato doveva astenersi dal pretendere diritti sul predetto a carico della proprietà di L.M.M..
L’unico motivo di ricorso di B.A. denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 949 c.c., ed evidenzia che nell’atto di acquisto di L.M.M. dell’11 marzo 2004 si riconosceva l’esistenza delle servitù nascenti dall’atto di donazione del giorno *****. Nè, ad avviso del ricorrente, L.M.M. avrebbe spiegato in cosa consistessero le molestie oggetto dell’azione negatoria intentata. B.A. ammette, quindi di aver realizzato, dopo l’atto di donazione del *****, una stradella in sito diverso rispetto a quello riconosciuta negli atti, ma tale diversa stradella sarebbe ormai inutilizzata da qualche anno, nè può aver comportato la perdita dell’esercizio dell’originario diritto.
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Il motivo del ricorso appare privo dei necessari caratteri della tassatività, della specificità e della riferibilità alla sentenza impugnata, ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, ed è comunque infondato.
La “actio negatoria servitutis” ha come essenziale presupposto la sussistenza di altrui pretese sul bene immobile, non potendo essere esercitata in presenza di turbative o molestie che non si sostanzino in una pretesa di diritto sulla cosa (Cass. Sez. 2, 22/06/2011, n. 13710).
La Corte d’Appello ha interpretato la domanda di L.M.M. come “actio negatoria servitutis” volta alla cessazione della molestia inerente all’esercizio della servitù di passaggio da parte di B.A. sul tracciato colorato in verde nell’allegato del CTU, tracciato che lo stesso convenuto ha ammesso di aver realizzato in epoca successiva alla donazione dell'***** ed in sito diverso da quello ivi indicato. In tal senso, la Corte d’Appello ha coerentemente operato il preliminare accertamento negativo del relativo diritto di passaggio vantato sul percorso “verde”. La sentenza impugnata ha altresì messo in evidenza come il convenuto B. si fosse limitato ad invocare il rigetto dell’avversa domanda negatoria, per la supposta esistenza di un titolo costitutivo contrattuale del diritto di servitù, avente però ad oggetto un diverso tracciato rispetto a quello denunciato (il “percorso colorato in blu”), senza comunque formulare alcuna domanda riconvenzionale di acquisto della servitù sul percorso oggetto di lite. Spettava comunque al convenuto in negatoria l’onere di provare l’esistenza del diritto di passaggio sul percorso verde, ovvero legittimante l’attività lamentata come lesiva dall’attore (cfr. Cass. Sez. 2, 15/10/2014, n. 21851).
Nelle servitù costituite mediante titolo è a questo che deve farsi capo per individuare il fondo servente e quello dominante, nonchè per avere la specificazione del contenuto oggettivo del peso imposto e quella dell’estensione e delle modalità di esercizio della servitù, in relazione alla ubicazione ed alla consistenza dei due fondi. Nè, ove la servitù di passaggio risulti, dall’atto costitutivo e dalle modalità di esercizio, gravare su una parte determinata del fondo servente, è consentito al proprietario del fondo dominante la facoltà ex art. 1068 c.c., di spostare il luogo di esercizio della servitù su altra parte del fondo servente (arg. da Cass. Sez. 2, 25/06/2013, n. 15988). Non hanno perciò rilievo alcuno, rispetto al denunciato vizio di violazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, le considerazioni esposte in ricorso che fanno rinvio ai titoli contrattuali, senza peraltro specificarne il contenuto, e dunque pure senza rispettare la previsione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. Il ricorrente auspica, piuttosto, che la Corte di Cassazione tragga dai richiamati documenti un apprezzamento di fatto difforme da quello espresso dai giudici del merito, rivalutando le risultanze probatorie nel senso più favorevole alle sue tesi difensive, il che suppone un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, attività non consentita in sede di legittimità.
Neppure assume significatività la circostanza, dedotta dal ricorrente, del mancato utilizzo ormai da qualche anno della stradella realizzata abusivamente, in quanto l’azione prevista dall’art. 949 c.c., ha natura reale e si caratterizza come diretta a difendere la proprietà da pretese di diritto avanzate dai terzi, nella specie certamente ancora attuali ad opera del B., senza che abbia rilievo dirimente altresì l’attualità delle indebite intromissioni o utilizzazioni di fatto accompagnate da quella pretesa di esercizio sulla cosa un diritto reale limitato.
L'”actio negatoria servitutis” è un’azione di accertamento negativo e, in quanto tale, l’interesse ad esperirla sorge allorchè il convenuto, con azioni concrete (seppur si assumano cessate), abbia determinato una situazione di incertezza circa l’esistenza o meno della servitù che ritiene sussistere a vantaggio del proprio fondo. Ne deriva che detta azione in tanto è comunque promovibile allorchè, come nel caso in esame, si sia creata una situazione che implichi l’esercizio, assunto abusivo, di servitù a carico del fondo dell’attore, il quale tende alla declaratoria della sua libertà attraverso l’accertamento della inesistenza di quella servitù (Cass. Sez. 2, 03/11/2000, n. 14348; Cass. Sez. 2, 28/08/2002, n. 12607). Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente.
Sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il D.P.R. n. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6-2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 10 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019