LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano – Primo Presidente f.f. –
Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sezione –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 32202/2018 proposto da:
C.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati ALFONSO FURGIUELE e GIUSEPPE FUSCO;
– ricorrente –
contro
PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;
– intimati –
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– ricorrente successivo –
nei confronti di:
C.A.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 136/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA MAGISTRATURA, emessa l’11/01/2018;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/02/2019 dal Consigliere ERNESTINO LUIGI BRUSCHETTA;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi;
uditi gli avvocati Giuseppe Fusco, Alfonso Furgiuele e Giacomo Aiello per l’Avvocatura Generale dello Stato.
FATTI DI CAUSA
1. Con l’impugnata sentenza, per quanto d’interesse, la Sezione Disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura, dopo aver assolto C.A., all’epoca Giudice delle Indagini Preliminari presso il Tribunale di Napoli, dalle incolpazioni di cui ai capi A) H) i) N) della rubrica, riteneva invece sussistenti:
1.1. i fatti di cui al capo D) della rubrica, per violazione del D.Lgs. n. 109 cit., art. 3, comma 1, lett. a), relativi alle “pressioni” esercitate su funzionari dell’Agenzia delle Entrate, “volte all’ottenimento della sospensione dell’esecutività di una cartella”, quest’ultima emessa nei confronti di una Società riferibile ad una persona vicina alla camorra, come notorio in ambito giudiziario, persona con la quale il C. aveva peraltro avuto una fitta corrispondenza telefonica; ed anche se, le “pressioni” in parola, non avevano dato esito, atteso che il pagamento della cartella era stato solo rateizzato; secondo il giudice disciplinare, difatti, ai fini dell’integrazione dell’illecito dell’abuso della qualità di magistrato, “rilevava l’intercessione in sè” al fine dell’ottenimento di un altrui ingiusto vantaggio;
1.2. i fatti di cui al capo M) della rubrica, ancora per violazione del D.Lgs. n. 109 cit., art. 3, comma 1, lett. a), relativi al conferimento di diversi incarichi giudiziari ad un architetto, il quale aveva poi assunto “la direzione dei lavori” del centro estetico del moglie del C., “senza ricevere alcun compenso”, ancora abusando della propria qualità di magistrato, al fine di conseguire vantaggi ingiusti;
1.3 infine, la Sezione Disciplinare, dopo aver escluso di poter applicare l’esimente prevista dal D.Lgs. n. 109 cit., art. 3 bis, perchè la “gravità della condotta” dell’incolpato aveva finito per “inficiare l’immagine del magistrato”, giudicava “congrua l’applicazione della sanzione della censura”.
2. Il C. ricorreva per due motivi; ricorreva anche il Ministero della Giustizia, ma per un unico motivo; il C. si avvaleva della facoltà di depositare memoria, con la quale eccepiva l’inammissibilità del ricorso del Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo, articolato, motivo, formulato nella sua prima parte in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), deducendo l’erronea applicazione del D.Lgs. n. 109 cit., art. 1, e art. 3, comma 1, lett. a), l’incolpato faceva osservare, con riferimento alle “pressioni” esercitate sui funzionari delle Entrate, in thesi accusatoria rivolte ad ottenere la sospensione del pagamento della cartella, che l’illecito contestato al capo D) della rubrica presupponeva un vantaggio ingiusto; cioè, nella concreta fattispecie, l’esistenza di una “finalità speculativa dell’intervento del C.”; una finalità, concludeva l’incolpato, che era rimasta assolutamente indimostrata.
1.1. Sempre con il primo, articolato, motivo, formulato in relazione all’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), ancora con riferimento al capo D) della rubrica, l’incolpato addebitava al giudice disciplinare vizi motivazionali circa il positivo accertamento della “pressione” esercitata sui funzionari delle Entrate allo scopo di ottenere la sospensione della riscossione della cartella, nella sostanza, evidenziando che era stato il professionista incaricato dalla Società ad avanzare la richiesta di sospensione; professionista, sottolineava l’incolpato, che aveva inoltre dichiarato di non aver “percepito” che il C. “patrocinasse le ragioni” della Società che aveva ricevuto la notifica della cartella.
1.2. Nel corso della discussione, veniva eccepita una mancanza di correlazione tra imputazione e fatti giudicati.
1.3. Queste prime censure, che conviene trattare in successione, sono infondate.
1.4. Deve essere in primo luogo osservato, con riferimento all’ingiusto vantaggio che costituisce uno degli elementi costitutivi dell’illecito previsto dal D.Lgs. n. 109 cit., art. 3, comma 1, lett. a), che deve accogliersi una interpretazione particolarmente ampia dello stesso, tale quindi da includere non solo quello contra ius, ma anche il vantaggio che si concreta nell’ottenere, comunque, un trattamento di miglior favore per sè o per altri (in questo senso, conformemente alla giurisprudenza penale, la più prossima a quella disciplinare, v. Cass. pen. sez. VI n. 18707 del 2016; Cass. pen. sez. VI n. 24656 del 2010); il vantaggio della sospensione della riscossione della cartella, deve perciò farsi rientrare nella fattispecie, perchè, appunto, comunque rivolto ad ottenere un altrui trattamento di maggior favore; peraltro, all’esito delle intercettazioni, i “referenti” della Società che aveva ricevuto la cartella, erano risultati assai prossimi al C., ciò che conferma la specifica intenzione di procurare il suddetto vantaggio.
1.5. Con riguardo al dedotto vizio di motivazione, deve essere preliminarmente osservato che il D.Lgs. n. 109 cit., art. 3, comma 1, lett. a), non richiede necessariamente l’abusivo esercizio di poteri, bastando l’abuso della qualità di magistrato al fine di poter ottenere un trattamento di miglior favore, una qualità, peraltro, che può anche essere spesa implicitamente (per questa distinzione, v. Cass. Pen. sez. VI n. 29661 del 2018; Cass. Pen. sez. V n. 13057 del 2015; per la possibilità che la spendita della qualità possa essere anche implicita, v. Cass. Pen. sez. VI n. 26285 del 2013; Cass. Pen. sez. VI n. 7495 del 2012); cosicchè, al di là della soggettiva “percezione” del professionista incaricato dalla Società nei confronti della quale era stata emessa la cartella, deve riconoscersi che la Sezione Disciplinare del CSM ha ricavato la dimostrazione dell’uso illecito della qualità di magistrato per ottenere un vantaggio altrui, un abuso che come visto può essere anche implicito, mediante un apprezzamento non illogico di fatti incontestati, particolarmente la circostanza che il C., che nell’esercizio delle sue funzioni doveva trattare con l’Agenzia di altre questioni, era intervenuto, con la sua autorità, nella discussione circa la sospensione della riscossione, mostrando ai funzionari delle Entrate personale vicinanza e interesse, con il conseguente abuso della qualità.
1.6. In realtà non esiste il lamentato difetto di correlazione, trattandosi di un banale scambio di nomi, un mero errore materiale, rimanendo, invece, il fatto precisamente contestato.
2. Sempre con il primo, articolato, motivo, ma questa volta con riguardo all’incolpazione di cui al capo M) della rubrica, il C. addebitava al giudice disciplinare vizio di motivazione, innanzitutto evidenziando che non emergevamo illegittimità in ordine all’affidamento di incarichi giudiziali all’architetto, che non c’era dimostrazione che il suddetto architetto avesse in cambio seguito “gratuitamente” i lavori edilizi sull’immobile destinato ad ospitare il centro estetico della moglie; che, invece, l’architetto, in rapporti di amicizia familiare, aveva solo svolto “sporadici” interventi nel cantiere, più che altro per verificare come procedevano i lavori, per semplice cortesia.
2.1. Anche questa censura è però infondata, avendo la Sezione Disciplinare, in modo non illogico, messo in relazione gli interventi “gratuiti” dell’architetto, riguardanti i lavori di ristrutturazione del centro estetico della moglie, con il conferimento degli incarichi giudiziali, arrivando alla non incongrua conclusione che la spiegazione della “gratuità” della prestazione professionale era da rinvenirsi nell’abuso della qualità di magistrato, dal quale potevano derivare all’architetto guadagni.
3. Con il secondo, articolato, motivo di ricorso, formulato sia ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), per violazione dell’art. 3 bis D.Lgs. n. 109 cit., sia ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), l’incolpato lamentava la mancata applicazione dell’esimente della scarsa rilevanza dei fatti contestati, addebitando alla Sezione Disciplinare, sia di aver erroneamente applicato la disposizione, sia di non aver sufficientemente motivato a riguardo, avendo fatto semplice riferimento alla “gravità” dei fatti per i quali era stata riconosciuta la sua disciplinare colpevolezza.
3.1. Il motivo è complessivamente infondato, dovendosi in primo luogo ricordare che la scarsa rilevanza consegue all’inidoneità dei fatti contestati a compromettere l’immagine del – magistrato, cioè all’inidoneità dei fatti contestati a comprometterne il prestigio nell’ambiente di lavoro (Cassazione civile, sez. un. 24672 del 2018; Cass. sez. un. 18987 del 2017); in relazione alla rammentata giurisprudenza, è dunque corretta l’interpretazione del giudice disciplinare, laddove quest’ultimo ha assunto come parametro di giudizio proprio la idoneità della condotta del C. ad “inficiare l’immagine del magistrato”; quanto alla spiegazione dell’accertamento della non scarsa rilevanza, deve dapprima osservarsi che la Sezione Disciplinare ha esattamente valutato i due fatti addebitati in modo globale, non atomistico (Cass. sez. un. 6468 del 2015), laddove è stato in particolare evidenziato che gli addebiti di cui ai capi D) M) della rubrica violavano tutti fondamentali doveri del magistrato, tra questi particolarmente i doveri di correttezza e imparzialità, rinvenendo quindi il fondamento dell’accertamento in quanto in precedenza esposto, cioè nell’aver affidato incarichi giudiziali ad un architetto, amico di famiglia, che forniva prestazioni gratuite; sia nell’aver manifestato ai funzionari delle Entrate il proprio interesse per una Società il cui professionista stava chiedendo la sospensione della riscossione; ciò che certamente “inficiava” la sua correttezza e la sua imparzialità.
4. Il ricorso del Ministero è invece inammissibile perchè tardivamente presentato il 5 novembre 2018, atteso che la comunicazione del deposito della sentenza è avvenuta il 1 ottobre 2018; in effetti, in ragione della circostanza che la Sezione Disciplinare non si è avvalsa della facoltà di indicare in dispositivo, ai sensi dell’art. 544 c.p.p., comma 3, un termine più lungo di quello fissato dal D.Lgs. n. 109 cit., art. 19, il termine per impugnare era quello di giorni trenta ex art. 585, comma 1, lett. b) c.p.p. (Cass. sez. un. 6059 del 2009; Cass. sez. un. 19279 del 2008).
5. Nella reciproca soccombenza consistono le ragioni che inducono la Corte a compensare integralmente le spese processuali.
PQM
La Corte rigetta il ricorso promosso da C.A., dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Ministero della Giustizia; compensa integralmente le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 26 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019