LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 940-2018 proposto da:
C.L., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE LUIGI ZIZZI;
– ricorrente –
contro
C.J.V., C.M.V., C.P.M., G.P., C.A.;
– intimati –
avverso la sentenza n. 920/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 25/07/201;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 12/12/2018 dal Consigliere Dott. COSENTINO ANTONELLO.
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con la sentenza non definitiva n. 391 del 2015 la corte d’appello di Lecce, pronunciandosi in un giudizio di scioglimento di una comunione immobiliare introdotto dai signori C.J.V., C.M.V. e C.P.M., rigettava, in riforma della sentenza di primo grado del tribunale di Brindisi, la domanda riconvenzionale proposta nell’ambito di tale giudizio dalla signora C.L. per l’usucapione delle quote indivise appartenenti agli altri comproprietari, per complessivi cinque sesti, di un fondo rustico sito in *****. Con detta sentenza la corte d’appello disponeva la prosecuzione del giudizio divisionale e rinviava al definitivo la regolazione delle spese.
La stessa corte di appello, con la sentenza definitiva n. 920 del 2017, dichiarava lo scioglimento della comunione assegnando i lotti e disponendo i conseguenti conguagli – e poneva le spese di entrambi i gradi di giudizio, comprese quelle di c.t.u., a carico dalla signora C.L.. A tale proposito la corte leccese rilevava che quest’ultima era rimasta soccombente sulla domanda di usucapione e aveva disposto della sua quota nonostante la pendenza del giudizio e, inoltre, aveva insistito affinchè l’indagine peritale venisse effettuata sul fondo catastalmente individuato dalla particella n. ***** nonostante che le osservazioni tecniche e il sopralluogo effettuato sul posto avessero correttamente individuato il fondo in contesa come quello catastalmente rappresentato dalle particelle nn. ***** e *****.
La signora C.L. ha proposto ricorso, articolato in due motivi, per la cassazione di entrambe le suddette sentenze. Gli intimati non si sono difesi in questa sede.
La causa è stata chiamata all’adunanza di camera di consiglio del 12 dicembre 2018, per la quale non sono state depositate memorie.
Col primo motivo di ricorso si lamenta la violazione dell’art. 91 c.p.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ponendo le spese di lite interamente a carico della signora C.L., ancorchè quest’ultima fosse rimasta soccombente solo sulla domanda di usucapione da lei introdotta in via riconvenzionale e non potesse ritenersi soccombente sulla domanda di scioglimento della comunione; nè, si argomenta nel mezzo di ricorso, avrebbe rilievo il fatto, valorizzato nella sentenza definitiva per giustificare la regolazione delle spese ivi disposta, che la signora C.L. aveva alienato la propria quota in pendenza del giudizio divisorio, non avendo tale fatto determinato alcuna maggiorazione delle spese giudiziali.
Il motivo non può trovare accoglimento.
La ricorrente sostanzialmente lamenta che le spese di lite siano state poste interamente suo carico e non compensate per la percentuale delle stesse riferibile al giudizio divisionale in senso stretto.
Tale doglianza, tuttavia, mostra di non considerare, per un verso, che la regolazione delle spese di causa non può essere scissa in relazione alle diverse domande esaminate nel simultaneus processus, ma è necessariamente unitaria e la diversa posizione assunta da ciascuna parte in relazione all’esito delle diverse domande può rilevare, ai fini del regolamento delle spese, solo attraverso il meccanismo della compensazione parziale di cui all’art. 92 c.p.c. (cfr. Cass. 3438/16, Cass. 20888/18); per altro verso che, in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui ne esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi (cfr. Cass. 24502/17, conf. Cass. 8421/17). Nella specie, la odierna ricorrente era rimasta soccombente sulla domanda riconvenzionale (di usucapione) da lei proposta, cosicchè è escluso che essa potesse qualificarsi “parte totalmente vittoriosa”.
Con il secondo mezzo di ricorso si lamenta nuovamente la violazione dell’art. 91 c.p.c., in cui la corte territoriale sarebbe incorsa ponendo le spese di c.t.u. interamente a carico dell’odierna ricorrente sul rilievo, da costei giudicato privo di concludenza, che la stessa aveva insistito perchè le operazioni peritali fossero limitate ad una particella (che era quella indicata nell’atto introduttivo degli odierni intimati) diversa da quella rappresentativa del fondo effettivamente oggetto della domanda divisionale.
Anche tale motivo va disatteso, in quanto le spese per il compenso del consulente tecnico fanno parte delle spese di causa che il giudice deve porre a carico della parte soccombente ai sensi dell’art. 91 c.p.c.. La posizione delle spese di c.t.u. a carico dell’odierna ricorrente costituisce quindi piana applicazione dell’accertamento della sua qualità di parte soccombente. Nè appare concludente il richiamo della ricorrente al principio che, nei procedimenti di divisione giudiziale, il principio della soccombenza opera soltanto con riferimento alle spese che siano conseguite ad eccessive pretese o inutili resistenze alla divisione. La corte territoriale ha infatti specificamente argomentato – con una motivazione che si sottrae alle censure di violazione di legge proposte nel ricorso – in ordine alla ingiustificata resistenza opposta dalla odierna ricorrente alla divisione; resistenza rappresentata, prima, dalla proposizione della domanda di usucapione, poi, dalla insistenza per lo svolgimento delle operazioni peritali su una particella diversa da quelle oggetto del giudizio divisionale e, infine, dalla vendita della sua quota in corso di causa (vendita sulla cui base, come si rileva dalla narrativa del processo svolta nella sentenza gravata, la odierna ricorrente sostenne, in sede di precisazione delle sue conclusioni in appello, che la sentenza divisionale non si sarebbe potuta emettere, in quanto inopponibile a suo avente causa).
In definitiva il ricorso va rigettato.
Non vi è luogo a regolazione di spese, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Si dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 18 marzo 2019