Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7718 del 20/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12650-2016 proposto da:

F.A., nella qualità di erede di F.L. e P.M.A., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO DEL RINASCIMENTO 11, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI PELLEGRINO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato DOMENICO AMOROSI;

– ricorrente –

contro

FE.AN., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL COLLE DI SANT’AGATA 4, presso lo studio dell’avvocato FABIO ZEPPOLA, che lo rappresenta e difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 553/2015 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 20/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/11/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.

IL COLLEGIO:

PREMESSO IN FATTO

Il Tribunale di Lecce sez. dist. Nardò, con sentenza in data 24.3.2011, rigettava la domanda di F.L. e P.M.A. intesa a far dichiarare l’intervenuto acquisito della proprietà in capo ad Fe.An. dell’edificio dallo stesso costruito nonchè del suolo – quest’ultimo già di proprietà esclusiva in comunione indivisa degli attori – sul quale insisteva l’immobile; dichiarava inammissibile, in quanto tardiva, la domanda riconvenzionale del convenuto volta ad accertare l’intervenuto acquisto dell’immobile; condannava Fe.An. al pagamento in favore degli attori della somma di Euro 9.825,90 oltre accessori -corrispondente al valore del terreno – a titolo di corrispettivo dovuto in base ad accordo verbale intercorso tra le parti che qualificava come contratto atipico o misto con prevalente locazione, con il quale i comproprietari del suolo avevano concesso ad Fe.An. un diritto personale di godimento sul terreno, con rinuncia a chiedere la rimozione dell’edificio sopra costruito.

La Corte d’appello di Lecce, adita con appello proposto da Fe.An., con sentenza in data 20.8.2015 n. 553, in parziale riforma della decisione impugnata, dichiarava la nullità dell’accordo predetto, per difetto di forma scritta “ad essentiam”, riqualificando la fattispecie negoziale come costituzione di diritto reale superficiario, e rigettava la domanda attorea di condanna al pagamento dell’importo corrispondente al valore del suolo.

La sentenza di appello è stata ritualmente impugnata per cassazione, con due motivi, da F.A. n. q. di erede di F.L. e P.M.A., con atto notificato ad Fe.An. presso il difensore domiciliatario in data 17.5.2016.

L’intimato ha fatto pervenire in Cancelleria in data 20.6.2018 “atto di costituzione in giudizio”, corredato di procura speciale ad litem, con il quale ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso.

La causa è stata ritenuta definibile mediante procedimento in camera di consiglio, in adunanza non partecipata, ai sensi degli artt. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1) e 5), e art. 380 bis c.p.c., essendo formulata proposta di inammissibilità dei motivi del ricorso.

La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c..

RITENUTO

Preliminarmente va dichiarato inammissibile l'”atto di costituzione in giudizio” con il quale Fe.An. ha chiesto dichiararsi la inammissibilità del ricorso per cassazione, in quanto, oltre a non assolvere ai requisiti minimi previsti per il controricorso ex art. 370 c.p.c., comma 2, non risulta ritualmente notificato alla parte ricorrente, ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, essendo pervenuto, a mezzo posta, soltanto in data 20.6.2018, presso la Cancelleria di questa Corte (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 5400 del 13/03/2006, secondo cui il controricorso deve contenere i motivi di diritto su cui si fonda, che ne costituiscono requisito essenziale a pena di inammissibilità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 4; id. Sez. 5, Sentenza n. 12171 del 26/05/2009; vedi: Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 4249 del 03/03/2015). La parte intimata non ha, peraltro, inteso recuperare, pur essendone legittimata (essendo stato notificato il ricorso in data anteriore a quella del 30.10.2016 di entrata in vigore della nuova disciplina del giudizio di legittimità, introdotta con il D.L. 31 agosto 2016, n. 168, convertito con modificazioni dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197: cfr. Corte cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 14330 del 08/06/2017), il diritto a partecipare al giudizio di legittimità spiegando difese scritte in luogo della facoltà – venuta meno medio tempore – di svolgere difese nel corso della discussione alla pubblica udienza, avendo omesso di depositare memoria illustrativa ex art. 380 bis c.p.c..

Il primo motivo (violazione degli artt. 112 e 342 c.p.c. nonchè dell’art. 324 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) è inammissibile.

La ricorrente censura la sentenza di appello assumendo:

a) che il primo giudice aveva qualificato la fattispecie concreta come “negozio misto”, a titolo oneroso, attributivo ad Fe.An., dietro pagamento di un corrispettivo pari al valore del terreno di proprietà F.- P., di una situazione di vantaggio consistente nel godimento del suolo estrinsecantesi nella pretesa – da far valere nei soli confronti dei contraenti proprietari – di erigere e mantenere un edificio sul terreno altrui, con rinuncia da parte dei proprietari del suolo ad avvalersi del diritto di rimozione del manufatto e dell’acquisto – per accessione – della proprietà dell’edificio;

b) che l'”appellante” Fe.An. non aveva impugnato la qualificazione giuridica del rapporto come negozio ad effetti obbligatori, riconosciuta dal primo giudice con statuizione sulla quale si era formato – pertanto – il giudicato interno;

c) che la Corte d’appello, riqualificando la fattispecie come negozio costituivo del diritto reale di superficie ex art. 952 c.c., aveva esorbitato dai limiti del chiesto e pronunciato, venendo a decidere su di una questione non devoluta con il mezzo di gravame.

Osserva la Corte, ribadendo un costante principio di diritto, che, anche laddove vengano denunciati con il ricorso per cassazione “errores in procedendo” – in relazione ai quali la Corte è anche giudice del fatto, potendo accedere direttamente all’esame degli atti processuali del fascicolo di merito – si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che, solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8077 del 22/05/2012). Se è vero, infatti, che la Corte di Cassazione, allorquando sia denunciato un “error in procedendo”, qual è indubbiamente il vizio di ultra o extrapetizione, è anche giudice del fatto ed ha il potere-dovere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, per il sorgere di tale potere-dovere, è necessario, non essendo il predetto vizio rilevabile ex officio, che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari a individuare la dedotta violazione processuale (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 1170 del 23/01/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 9275 del 04/05/2005; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 2771 del 02/02/2017).

Ne segue che il ricorrente, ove censuri la statuizione della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo di appello, ovvero ritenga che la questione decisa dal Giudice del gravame non fosse stata oggetto di specifica devoluzione con motivo di appello, ha l’onere, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), di trascrivere il contenuto del mezzo di impugnazione nella misura necessaria ad evidenziarne la genericità, ovvero la mancata deduzione di ogni critica in ordine alla statuizione della decisione impugnata, e non può limitarsi a rinviare all’atto medesimo (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 12664 del 20/07/2012. Con riferimento alla censura della speculare statuizione che dichiara, invece, inammissibile il motivo di gravame per difetto di specificità: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 20405 del 20/09/2006; id. Sez. 5 -, Ordinanza n. 22880 del 29/09/2017. Vedi: Corte cass. Sez. L, Sentenza n. 11738 del 08/06/2016).

Nella specie risulta dalla sentenza impugnata (in motivazione, pag. 3) che Fe.An., tra gli altri motivi di gravame, aveva contestato la decisione di primo grado sia in punto di sussistenza della prova dell’accordo stipulato “inter partes”, sia in relazione alla “costruzione…..del contratto…ad effetti obbligatori del tipo atipico o misto, in cui predominava la locazione….”, concludendo, quindi, per la riforma della pronuncia di condanna al pagamento del corrispettivo. Pertanto, la affermazione della ricorrente in ordine alla omessa impugnazione, da parte del F., anche della statuizione concernente la qualificazione della fattispecie negoziale si risolve – in assenza di una puntuale individuazione del contenuto dell’atto di gravame tesa a supportare l’assunto della omessa impugnazione della ridetta statuizione del Giudice di prime cure – in una mera ed indimostrata allegazione che non risponde al requisito di specificità prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, e che preclude la verifica di legittimità demandata a questa Corte.

Qualora poi la censura formulata sia intesa a denunciare la violazione da parte del Giudice di appello dei limiti interni alla propria cognizione, la stessa sarebbe da ritenere, comunque, manifestamente infondata, alla stregua del principio secondo cui non incorre nel vizio di extrapetizione il giudice d’appello il quale dia alla domanda od all’eccezione una qualificazione giuridica diversa da quella adottata dal giudice di primo grado, e mai prospettata dalla parti, essendo compito del giudice (anche d’appello) individuare correttamente – alla stregua delle circostanze di fatto già allegate ed acquisite agli atti di causa – la legge applicabile, con l’unico limite rappresentato dall’impossibilità di immutare l’effetto giuridico che la parte ha inteso conseguire (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 15383 del 28/06/2010; id. Sez. 2, Ordinanza n. 7789 del 05/04/2011; id. Sez. 2 -, Sentenza n. 11287 del 10/05/2018). E, nel caso di specie, la Corte distrettuale non ha immutato nè la “causa petendi” – come dedotta in relazione ai fatti allegati e dimostrati in giudizio -, nè il “petitum” relativo al pagamento della somma corrispondente al valore del terreno -, atteso che – entro i predetti termini fattuali della domanda introduttiva – si è limitata soltanto ad individuare la fattispecie normativa astratta nella quale sussumere correttamente la fattispecie negoziale, qualificandola in modo diverso da quanto statuito dal primo giudice.

Il secondo motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) è inammissibile, in quanto la censura non coglie la “ratio decidendi”.

La ricorrente sostiene che il Giudice di appello è incorso in errore rilevando la nullità per difetto di forma del contratto stipulato “inter partes”, atteso che il primo Giudice aveva per l’appunto escluso la validità del contratto verbale in quanto inidoneo a trasferire il diritto di proprietà, ritenendo – invece – pienamente valido il contratto misto ad efficacia obbligatoria.

La censura pecca nel suo presupposto. La Corte territoriale non ha, infatti, ritenuto assoggettato all’onere formale ad substantiam il contratto “atipico o misto” così come considerato dal primo Giudice (negozio a titolo oneroso attributivo di un diritto di godimento dietro pagamento di un corrispettivo pari al valore di mercato del terreno), ma ha invece inteso riqualificare del tutto la fattispecie negoziale, rinvenendo nel contenuto delle prestazioni – aventi ad oggetto la concessione del diritto ad edificare su suolo di proprietà altrui e la rinuncia dei proprietari del terreno al diritto di fare rimuovere l’opera ed all’acquisto per accessione della proprietà dell’immobile erigendo – lo schema causale tipico della costituzione del “diritto reale di superficie” ex art. 952 c.c., escludendo quindi la diversa configurazione di un rapporto ad efficacia meramente obbligatoria, prospettata dal primo Giudice, e traendone la logica e corretta conclusione della nullità del negozio costitutivo di diritto reale, per difetto del necessario onere di forma.

Non disconosce questa Corte la tesi accolta in dottrina ed in giurisprudenza secondo cui il diritto a costruire e mantenere l’immobile su suolo altrui possa essere oggetto di negozio ad effetti obbligatori, in tale caso – secondo l’opinione prevalente – venendo accordato al creditore un diritto personale di godimento che, per quanto avente contenuto sostanzialmente analogo, va tuttavia distinto dal diritto reale parziario di superficie (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 3351 del 02/06/1984; id. Sez. 2, Sentenza n. 1392 del 11/02/1998; id. Sez. 2, Sentenza n. 7300 del 29/05/2001). Ma una tale diversa qualificazione giuridica della fattispecie negoziale concreta – così come rilevata nei suoi elementi circostanziali in esito alla istruttoria di primo grado – è stata per l’appunto esclusa, con accertamento di merito, dal Giudice di appello, il quale non ha ritenuto di condividere la sussunzione nello schema del rapporto obbligatorio, operata dal primo Giudice, in difetto di individuazione di peculiari indici rivelatori di una simile configurazione giuridica.

Ed è appena il caso di aggiungere che il mero richiamo ai precedenti giurisprudenziali di legittimità sopra indicati, contenuto nel primo motivo di ricorso, non è ex se idoneo ad investire efficacemente un eventuale errore “qualificatorio” commesso dal Giudice di appello, in assenza di una puntuale critica volta a contestare l'”error in judicando” ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e supportata dalla evidenziazione di elementi circostanziali escludenti la realità e deponenti invece univocamente per la natura obbligatoria del rapporto.

La diversa qualificazione giuridica operata dal Giudice di appello esclude ogni rilevanza alla istanza di rimessione alle Sezioni Unite della questione concernente la forma orale dell’accordo di edificazione su suolo altrui ad effetti meramente obbligatori: essendo stato accertato dalla Corte territoriale che, con l’accordo, le parti avevano inteso costituire un diritto reale di superficie, viene meno ogni rilevanza alla forma che deve rivestire un accordo attributivo di diritti di credito, che non ricorre nella fattispecie decisa.

In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.

Non occorre liquidare le spese del giudizio di legittimità, non avendo l’intimato svolto difese.

PQM

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019

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