LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 27713-2016 proposto da:
COMUNE DI CALTANISSETTA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARDINAL DE LUCA 1, presso lo studio dell’avvocato ANGELA MARIA LORENA CORDARO, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE BALISTRERI;
– ricorrente –
contro
E.F.A.L. ENTE FORMAZIONE ADDESTRAMENTO LAVORATORI, in persona del Presidente pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DEI MIRTI 40, presso lo studio dell’avvocato EMANUELE FOSCHI, rappresentato e difeso dagli avvocati SALVATORE RAIMONDI, LUIGI RAIMONDI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 212/2015 della CORTE D’APPELLO di CALTANISSETTA, depositata il 02/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/11/2018 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI.
IL COLLEGIO:
PREMESSO IN FATTO
La Corte d’appello di Caltanissetta, con sentenza in data 2.12.2015 n. 212, confermava la decisione di prime cure che aveva dichiarato estinti per compensazione il residuo credito di Euro 43.856,94 vantato dal Comune di Caltanissetta, ed il controcredito per corrispettivi opposto da EFAL – Ente Formazione Addestramento Lavoratori, rilevando che la eccezione di compensazione era stata dedotta da EFAL con la memoria ex art. 183 c.p.c. e che il Comune non aveva contestato il credito opposto in compensazione, risultando quindi inammissibili, le contestazioni formulate dal Comune, per la prima volta con l’atto di appello, in ordine alla mancanza dei presupposti legali della compensazione, e comunque anche infondate, non trovando ostacolo la compensazione legale dei reciproci debiti nella natura pubblica di uno dei soggetti.
La Corte distrettuale rigettava altresì l’appello incidentale di EFAS sul capo della sentenza di prime cure relativo alla compensazione delle spese di lite.
La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione, con unico motivo dal Comune.
Resiste con controricorso EFAS.
La causa è stata ritenuta definibile mediante procedimento in camera di consiglio, in adunanza non partecipata, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 1, nn. 1) e 5) e dell’art. 380 bis c.p.c., essendo formulata proposta di inammissibilità del ricorso.
RITENUTO
Con l’unico motivo di ricorso il Comune deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1243 c.c. e degli artt. 1362 ss c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la Corte territoriale aveva errato a ritenere compensati i reciproci debiti, essendo privo, quello vantato da EFAS, dei requisiti di certezza, liquidità ed esigibilità, in quanto: a) trovava titolo in un “protocollo di intesa” cui non era seguito alcun accordo; b) il “protocollo” subordinava, peraltro, la emissione del mandato di pagamento alla verifica del rendiconto presentato da EFAS; c) il Comune non aveva attivato la procedura di riconoscimento dei debiti fuori bilancio; d) la Corte dei conti, riconoscendo il credito del Comune, aveva riconosciuto soltanto in minima parte il credito di EFAS; e) il Comune aveva tempestivamente eccepito in primo grado il difetto delle condizioni legali per la compensazione dei debiti.
Il motivo è inammissibile in quanto non conforme ai requisiti prescritti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6.
Il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al Giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 11653 del 18/05/2006; id. Sez. 6 – 3, Sentenza n. 16103 del 02/08/2016). Analogamente prescritto a pena di inammissibilità è il diverso onere di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6, di specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, nonchè dei dati necessari all’individuazione della loro collocazione quanto al momento della produzione nei gradi dei giudizi di merito, trattandosi di adempimento indispensabile per consentire a questa Corte il riscontro documentale dell’errore denunciato (cfr. Corte cass. Sez. U, Ordinanza n. 7161 del 25/03/2010; id. Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011; id. Sez. 5, Sentenza n. 23575 del 18/11/2015; id. Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 27475 del 20/11/2017; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 5478 del 07/03/2018).
Tanto premesso nessuno dei predetti requisiti risulta osservato dal Comune.
Quanto alle esposizione del fatto, rimane infatti del tutto oscuro il rapporto intercorso tra il Comune ed EFAS: la ipotesi larvatamente prospettata dal Comune della mancanza di un accordo, è contraddetta dalla allegazione secondo cui l’ente locale avrebbe dovuto emettere soltanto il mandato di pagamento, circostanza che presuppone la esistenza del titolo da cui deriva il controcredito e che rende inconferente il rilievo dell’ente locale secondo cui si sarebbe dovuto dare corso al procedimento di riconoscimento di debito fuori bilancio.
Nessuna indicazione è, peraltro, fornita in ordine al contenuto del “protocollo di intesa”, sicchè appare una vuota enunciazione l’asserita violazione da parte della Corte distrettuale dei criteri legali dell’ermeneutica negoziale, peraltro trattandosi di censura neppure sviluppata nella esposizione del motivo, non essendo dato individuare quale o quali norme di diritto relative ai criteri di interpretazione sarebbero state erroneamente applicate dal Giudice di seconde cure.
Dirimente è, comunque, l’insussistenza di una specifica critica volta ad investire la “ratio decidendi” della non contestazione da parte del Comune del credito opposto in compensazione da EFAS, su cui si fonda la sentenza impugnata.
Il Comune si è limitato, infatti, a declamare di aver contestato, fin dal primo momento, la certezza ed esigibilità del credito di EFAS, ma non indica nè dove, nè come abbia formulato tale contestazione, risultando del tutto omesso il riferimento al verbale di udienza od all’atto difensivo nel quale rinvenire detta contestazione.
Occorre, in ogni caso, rilevare come la mera contestazione della non compensabilità dei debiti in relazione al principio di universalità del bilancio comunale è stata espressamente disattesa dalla Corte territoriale, conformemente al principio di diritto per cui non sussistono ostacoli alla compensabilità dei debiti della Pubblica Amministrazione, trovando applicazione anche ad essi le norme del codice civile.
E’ ben vero che la non contestazione del credito determinato nell’importo, opposto in compensazione, avendo per oggetto la “esistenza” del controcredito e quindi i presupposti di cui all’art. 1243 c.c. inerenti alla liquidità e certezza, non esime il Giudice di merito dalla verifica anche dell’altro presupposto concernente la esigibilità (cfr. Corte cass. Sez. U -, Sentenza n. 23225 del 15/11/2016), ma è pur vero che il Comune ricorrente, omettendo di trascrivere il contenuto del protocollo d’intesa e di individuare il luogo processuale in cui rinvenire tale atto (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), neppure indicato in allegato al ricorso (art. 369 c.p.c.), ha impedito a questa Corte ogni verifica in ordine alla dedotta errata applicazione della norma di diritto che disciplina la compensazione dei debiti.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile ed il Comune va condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità liquidate in dispositivo.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.250,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1 comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019