Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7738 del 20/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25226-2017 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

C.F.A., in qualità di titolare dell’omonima impresa familiare svolgente attività di commercio al dettaglio di generi di monopolio e di ricevitoria lotto, totocalcio e giochi vari, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRACASSINI N. 18, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO BAILO, rappresentata e difesa dall’avvocato VITO PETRAROTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1490/11/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della PUGLIA, depositata il 21/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/01/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CASTORINA ROSARIA.

RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue.

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia n. 1490/11/17 depositata il 21.4.2017 che ha confermato la sentenza di primo grado in controversia concernente avvisi di accertamento con cui veniva rettificato il reddito dichiarato, ritenendo in parte indeducibili le spese di sponsorizzazione.

La CTR premesso che l’eccezione relativa alla illegittimità della firma del funzionario alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento era fondata, non essendo stata fornita dall’amministrazione specifica prova documentale sul possesso dei requisiti in capo allo stesso, rigettava il ricorso anche nel merito, sul presupposto che le spese di sponsorizzazione contestate, così come documentate, potevano essere ammesse integralmente in deduzione del reddito di impresa.

Resiste la contribuente con controricorso.

1.Con il primo e il secondo motivo l’Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 90, dell’art. 109 Tuir e dell’art. 2697 c.c., in quanto il contribuente aveva omesso di fornire e documentare l’inerenza e la competenza dei costi sopportati e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 36, per violazione delle disposizioni concernenti l’esatto ambito di cognizione attribuito alla giurisdizione tributaria.

2.11 ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

L’Agenzia delle Entrate non ha censurato la statuizione relativa alla fondatezza della censura di illegittimità della firma del funzionario alla sottoscrizione dell’avviso di accertamento.

Secondo l’insegnamento di questa Corte “Il giudice di merito che, dopo avere aderito ad una prima ratio decidendi, esamini ed accolga anche una seconda ratio, al fine di sostenere la propria decisione, non si spoglia della potestas iudicandi, atteso che l’art. 276 c.p.c., distingue le questioni pregiudiziali di rito dal merito, ma non stabilisce, all’interno di quest’ultimo, un preciso ordine di esame delle questioni; in tale ipotesi, pertanto, la sentenza risulta sorretta da due diverse rationes decidendi, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, sicchè l’inammissibilità del motivo di ricorso attinente ad una di esse rende irrilevante l’esame dei motivi riferiti all’altra, i quali non risulterebbero in nessun caso idonei a determinare l’annullamento della sentenza impugnata, risultando comunque consolidata l’autonoma motivazione oggetto della censura dichiarata inammissibile (Cass.15399/2018) Da quanto sopra consegue l’inammissibilità del ricorso.

Le spese seguono la soccombenza.

Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 30 maggio 2012, n. 115, art. 13, comma 1- quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna l’Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 5.600,00, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 15 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019

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