LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – rel. Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
Sul ricorso iscritto al n. 3671 del ruolo generale dell’anno 2011 proposto da:
M.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Diego Ferraro, per procura speciale allegata alla memoria di costituzione dell’1 luglio 2018, elettivamente domiciliato in Roma, via Giovan Battista Gambino, n. 12, (presso la Dott.ssa I.S.);
– ricorrente –
contro
Agenzia delle entrate;
– intimata –
per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia n. 171/25/2009, depositata il giorno 28 dicembre 2009;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 4 ottobre 2018 dal Consigliere Triscari Giancarlo.
RILEVATO
che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l’Agenzia delle entrate aveva notificato al ricorrente, titolare di una ditta individuale esercente l’attività di commercio al dettaglio di articoli di profumeria e prodotti per toletta e per l’igiene personale, un avviso di accertamento con il quale, relativamente all’anno di imposta 2003, era stato accertato un maggiore reddito imponibile ai fini Irpef, Irap e Iva per omessi ricavi; avverso il suddetto atto impositivo aveva proposto ricorso il contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Palermo che lo aveva accolto; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l’Agenzia delle entrate; l’appellato non si era costituito;
la Commissione tributaria regionale della Sicilia ha parzialmente accolto l’appello, ritenendo che: la rettifica del reddito dichiarato era stata operata ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d); sussistevano nella fattispecie le gravi irregolarità delle scritture contabili che giustificano il ricorso al procedimento di accertamento induttivo operato dall’amministrazione finanziaria; la percentuale di ricarico applicata non era corretta, in quanto doveva essere ridotta nella misura del 15 per cento, anche tenuto conto della mancata depurazione dell’Iva dal costo del venduto e la mancata applicazione del metodo della c.d. ventilazione; era da confermarsi la decisione del giudice di primo grado in ordine alla illegittimità del recupero a tassazione dell’importo relativo a costi per manutenzione e riparazioni di locali aziendali;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte il contribuente affidato a tre motivi di censura;
l’Agenzia delle entrate non si è costituita.
CONSIDERATO
che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), in quanto, ai fini dell’applicabilità del metodo di accertamento induttivo è necessaria la verifica di gravi irregolarità contabili che rendono assolutamente inattendibili le scritture contabili, mentre il giudice del gravame avrebbe omesso di indicare sulla base di quali irregolarità era da considerarsi legittimo il ricorso al procedimento di accertamento induttivo;
il motivo è inammissibile;
il giudice del gravame ha chiaramente evidenziato, nel suo percorso argomentativo, su quali presupposti si deve fondare il procedimento di accertamento induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. d), precisando che, a tal fine, occorre la verifica di gravi irregolarità delle scritture contabili, capaci di renderle inattendibili nel loro complesso per mancanza delle garanzie proprie della contabilità sistematica, e ciò è in linea con i presupposti su cui, ai sensi della sopra citata previsione normativa, può fondarsi il ricorso al suddetto procedimento di accertamento, sicchè non è ravvisabile alcuna violazione di legge;
in realtà, con il presente motivo il ricorrente lamenta una mancata motivazione della pronuncia del giudice del gravame sui presupposti per ritenere legittimo il ricorso al procedimento di accertamento induttivo in esame, ma tale ragione di censura avrebbe dovuto, eventualmente, essere prospettata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), sotto il profilo della insufficiente o omessa motivazione su fatti decisivi per la decisione;
in ogni caso, la pronuncia censurata ha precisato sulla base di quali elementi di fatto ha ritenuto che sussistessero, in concreto, i presupposti per ritenere legittimo il ricorso al procedimento di accertamento induttivo in esame, evidenziando che: il verbale di constatazione era estremamente dettagliato e analitico circa le irregolarità rilevate dai verificatori, tanto più che il contribuente non era stato in grado di spiegare il criterio di attribuzione dei valori unitari delle singole merci indicate nell’inventario di magazzino; dal suddetto verbale di constatazione, peraltro, era possibile evincere la sussistenza di sufficienti e comprovati elementi indiziari, in particolare la circostanza che la valutazione di inattendibilità si era fondata sull’impianto contabile di magazzino tenuto in forma analitica; aveva una rilevante incidenza la valorizzazione delle rimanenze di magazzino sul totale delle attività risultante dallo stato patrimoniale, con efficacia condizionante anche del conto economico; deponeva, infine, per la considerazione della complessiva inattendibilità delle scritture contabili anche l’irrisorietà dell’utile di esercizio dichiarato rispetto alla particolare attività commerciale esercitata, caratterizzata da tre diversi punti vendita, l’utilizzo di sette unità immobiliari, l’impiego di 13 addetti, la circostanza che l’utile di esercizio rappresentava solo l’1,07 per cento dei ricavi dichiarati;
rispetto a tali elementi di valutazione, sui quali il giudice del gravame ha fondato la considerazione della legittimità del ricorso al procedimento di accertamento induttivo, parte ricorrente non muove, con il presente ricorso, alcuna ragione specifica di censura, limitandosi a richiamare un passaggio motivazionale (la possibilità di conseguire un maggior utile mediante la locazione a terzi degli immobili di proprietà utilizzati per lo svolgimento dell’attività commerciale) senza alcun riferimento agli elementi di valutazione sopra riportati che costituiscono, invece, il punto centrale della decisione del giudice del gravame sulla questione in esame;
fuori, peraltro, dalla questione in esame sono le ulteriori considerazioni relative al successivo ridimensionamento operato dall’Agenzia delle entrate della portata dell’accertamento, in quanto attengono alla diversa problematica, successivamente affrontata dalla pronuncia censurata, della esatta determinazione dell’importo dei ricavi non dichiarati;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 5), in quanto l’attività di verifica aveva avuto una durata superiore ai termini di cui alla suddetta previsione normativa;
il motivo è inammissibile;
lo stesso, in primo luogo, non indica quale parte della motivazione della sentenza si ritiene di dovere censurare in ordine alla doglianza prospettata e, inoltre, non risulta che si tratta di una questione prospettata dal contribuente in sede di ricorso e successivamente coltivata nei gradi di giudizio;
con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio;
in particolare, parte ricorrente lamenta che la sentenza, nel determinare la misura dei redditi non dichiarati, non ha tenuto conto di dovere procedere ad una ricarica separata del 15 per cento sul 61,84 per cento del totale degli acquisti e del 10,60 per cento, pari a quella dichiarata, per la restante parte del 38 per cento e, inoltre, ha omesso di applicare il metodo della ventilazione sui ricavi;
il motivo è inammissibile;
con riferimento al profilo dell’applicazione del metodo della ventilazione, la pronuncia in esame ha precisato che la percentuale di ricarico ponderata era stata definita avendo a riferimento la precedente misura del 19 per cento, tenendo conto non solo della mancata depurazione dell’Iva dal costo del venduto, ma anche della mancata applicazione del metodo della ventilazione e su tale passaggio motivazionale nessuna ragione di censura è stata prospettata con il presente motivo di ricorso;
con riferimento al profilo della diversa percentuale di ricarica da operare, il motivo difetta di specificità, non essendo stato riprodotto il passaggio dell’atto di appello dell’ufficio da cui evincere che sussisteva in effetti la necessità di una ripartizione di applicazione della percentuale ora sul 61,41 per cento ed ora sul 38,59 per cento degli acquisti, risultando unicamente che si era ritenuto di aumentare, rispetto all’atto di accertamento, la percentuale degli acquisti non analizzati per i quali è rimasta ferma una ricarica pari a quella dichiarata (10,60 per cento);
inoltre, la ripartizione della percentuale di cui sopra viene sostenuta dal contribuente facendo riferimento a quanto sarebbe stato accertato dalla sentenza di primo grado e, tuttavia, anche in questo caso, deve rilevarsi che il motivo è privo di specificità sul punto; per quanto sopra esposto, il ricorso deve essere rigettato, senza pronuncia sulle spese, attesa la mancata costituzione dell’Agenzia delle entrate.
P.Q.M.
La Corte:
rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della quinta sezione civile, il 4 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019