LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. SUCCIO Roberto – rel. Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6117/2015 R.G. proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;
– ricorrente –
Contro
FIDAUTO s.r.l., in liquidazione in persona del suo legale rappresentante pro tempore rappresentata e difesa giusta delega in atti dall’avv. Luigi Quercia e dall’avv. Livia Ranuzzi presso lo studio di quest’ultima elettivamente domiciliata in Roma, al Viale del Vignola n. 5;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Puglia n. 2169/11/2014 depositata il 3/11/2014, non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 04/10/2018 dal consigliere Succio Roberto.
RILEVATO
che:
– con la sentenza di cui sopra la Commissione Tributaria Regionale ha rigettato l’appello dell’Amministrazione Finanziaria, confermando l’annullamento dell’avviso di accertamento per IVA 2007;
– avverso la sentenza di seconde cure propone ricorso per cassazione l’Erario con atto affidato a due motivi;
– Resiste la società contribuente con controricorso.
CONSIDERATO
che:
– vanno preliminarmente esaminate le eccezioni di improcedibilità e di inammissibilità del ricorso;
con la prima eccezione la società contribuente denuncia l’improcedibilità del gravame per violazione dell’art. 369 c.p.c.non avendo parte ricorrente allegato gli atti sui quali il ricorso si fonda;
– la stessa è infondata;
– come questa Corte ha chiarito nella composizione a Sezioni Unite (Cass. Sez. U., Sentenza n. 22726 del 03/11/2011), in tema di giudizio per cassazione, l’onere del ricorrente, di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 7, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda” è soddisfatto, sulla base del principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d’ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell’art. 369 c.p.c., comma 3, ferma, in ogni caso, l’esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex art. 366 c.p.c., n. 6, degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi; (conformi in argomento Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 24470 del 01/12/2015; Cass. Sez. L, Sentenza n. 195 del 11/01/2016; Cass. Sez. L, Sentenza n. 21554 del 18/09/2017);
– parte controricorrente eccepisce poi l’inammissibilità del ricorso per insufficiente esposizione dei fatti, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3; il motivo è pure infondato;
– l’Amministrazione Finanziaria, invero, ha adempiuto all’onere impostole, in quanto va tenuto presente che (come indicato da Cass. Sez. 3, Sentenza n. 17036 del 28,106/2018) in tema di giudizio di legittimità, per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3, non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi;
– nel concreto, dalla narrazione sia pur sintetica fattane in ricorso, la Corte ha compreso quanto le era necessario percepire;
– infine, parte controricorrente eccepisce la avvenuta formazione del giudicato interno sulla pronuncia della CTR relativa alla non debenza delle sanzioni, non avendo l’Amministrazione specificamente censurato in ricorso per cassazione la pronuncia della CTR;
– l’eccezione è infondata;
– poichè l’Amministrazione Finanziaria ha impugnato la sentenza censurandone la pronuncia di annullamento dell’avviso di accertamento, del quale quindi si è chiesto che venga ritenuto legittimo, tal domanda implicitamente ma chiaramente investe l’intero atto, incluse le sanzioni con esso irrogate:
– l’Agenzia delle Entrate, infatti, è risultata del tutto soccombente all’esito del giudizio di fronte alla CTR, al termine del quale l’avviso di accertamento è stato annullato anche quanto alle sanzioni;
– pertanto, la domanda contenuta nel ricorso per cassazione con la quale si è chiesta la cassazione della sentenza impugnata, era comprensiva anche della richiesta di conferma dell’atto impugnato pure in punto sanzioni;
– è quindi possibile procedere alla disamina del ricorso dell’Amministrazione Finanziaria; lo stesso è fondato per quanto di ragione, come si dirà;
– con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione delle disposizioni di cui al D.L. n. 41 del 1995, artt. 36 e ss., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuto che non rientri nei compiti del cessionario o committente l’apprezzamento critico su quanto l’emittente di fattura dichiari in ordine alla non imponibilità dell’operazione, in assenza di ogni verifica degli accertatori in ordine al regime IVA effettivamente applicato dal primo cedente intracomunitario nei confronti dell’impresa francese;
– il motivo è fondato;
– E’ noto come sia in primo luogo il diritto Eurounitario, specie nella sentenza resa dalla Corte di Giustizia nel caso Litdana (causa C-624/15 del 18 maggio 2017) ad affermare che le autorità fiscali di uno Stato membro non possono negare “a un soggetto passivo, che abbia ricevuto una fattura sulla quale vi sia menzione tanto del regime del margine quanto dell’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto (IVA), il diritto di applicare il regime del margine, anche qualora da una successiva verifica effettuata da dette autorità emerga che il soggetto passivo-rivenditore, fornitore dei beni d’occasione, non aveva effettivamente applicato detto regime alla cessione dei beni di cui trattasi, a meno che le autorità competenti non dimostrino che il soggetto passivo non ha agito in buona fede o che non ha adottato tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo coinvolga in un’evasione tributaria, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare”. Nel fare applicazione del principio di cui si è detto questa Corte ha recentemente tratteggiato il perimetro all’interno del quale – nel diritto domestico – le affermazioni della Corte di Giustizia debbono trovare attuazione sostanziale a processuale (Corte cass. SS. UU. N. 21105 del 12 settembre 2017). Nel caso che ci occupa, la sussistenza o meno dell’adeguata diligenza richiesta non risulta esser stata oggetto di adeguata disamina da parte del giudice dell’appello. Non è infatti contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede e adotti – questo il punto che qui rileva – tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un’evasione tributaria (CGUE, sentenza del 6 settembre 2012, Mecsek-Gabona, C-273/11, punto 48 e giurisprudenza ivi citata);
Il secondo giudice ha quindi, in definitiva, commesso errore di diritto poichè ha ritenuto che fosse onere dell’Erario dar prova diretta della pretesa impositiva, senza considerare che alla luce delle considerazioni sopra svolte, è sufficiente per l’Amministrazione Finanziaria fornire elementi presuntivi di prova; a fronte di ciò, l’onere probatorio è traslato sul contribuente, al quale tocca fornire prova del contrario;
– dalla lettura della sentenza si evince come gli elementi addotti dall’Amministrazione Finanziaria non fossero costituiti da mere affermazioni; essa ha dedotto e comprovato l’esito di controlli a campione eseguiti dall’Amministrazione Finanziaria francese su acquisti di veicoli effettuati in Francia da fornitori terzi, dai quali la società contribuente ha acquistato i mezzi oggetto delle operazioni contestate; i mezzi oggetto delle operazioni, secondo quanto accertato dall’Amministrazione Finanziaria transalpina, sarebbero stati acquistati da soggetti che avevano detratto l’IVA secondo il regime ordinario;
– di fronte a tali elementi presuntivi, era onere del contribuente dar prova anche parimenti presuntiva del contrario; l’affermazione della CTR di segno contrario è quindi erronea in diritto;
– in tal senso questa Corte ha anche precisato, in termini, (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 15630 del 24/07/2015 e conforme Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 3819 del 16/02/2018) che in tema d’IVA, il regime del margine di utile di cui al D.L. n. 41 del 1995, art. 36, convertito con modificazioni nella L. n. 85 del 1995, rappresentando un regime speciale, derogatorio dell’ordinaria disciplina fiscale degli acquisti intracomunitari, impone, oltre alla regolarità formale della documentazione contabile, che il contribuente provi la sussistenza dei relativi presupposti di fatto, risultando altrimenti inapplicabile indipendentemente dalla consapevolezza che il cessionario ne abbia; (in applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la decisione di merito e ritenuto legittimo l’avviso di accertamento fondato sull’elemento presuntivo della presenza tra i cedenti di società di autonoleggio che, utilizzando i veicoli come beni strumentali all’esercizio dell’impresa, avevano diritto di portare in detrazione l’IVA);
– il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR erroneamente ritenuta ammissibile l’eccezione di difetto di motivazione dell’avviso di accertamento che invero era stata formulata solo in seconde cure;
– il motivo è inammissibile;
– questa Corte ritiene (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17049 del 20/08/2015) inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte; con riferimento specifico vedasi anche (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3427 del 12/02/2010)
– in applicazione del ridetto principio, anche la deduzione in ordine alla illegittima disamina da pare del giudice di appello di un motivo nuovo comporta analoga valutazione da parte della Corte, quanto alla novità dedotta; conseguentemente la mancata trascrizione in ricorso per cassazione dell’atto di appello e del ricorso in primo grado rendono impossibile tale disamina; di qui l’inammissibilità del motivo;
– conclusivamente, deve essere accolto il primo motivo e la sentenza cassata con rinvio al secondo giudice.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia in diversa composizione che provvederà anche quanto alle spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2018.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019