Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.7762 del 20/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22314/2013 R.G. proposto da:

E.F., rappresentato e difeso dall’Avv. Giovanni Beatrice, con domicilio eletto presso lo studio del primo, in Roma, via Giuseppe Ferrari, n. 2;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, in persona del Direttore p.t., con domicilio eletto presso gli uffici della predetta Avvocatura, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Calabria, depositata il 24 aprile 2013, n. 59/4/2013.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 04 ottobre 2018 dal Cons. Leuzzi Salvatore.

RILEVATO

che:

– E.F. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria Regionale della Calabria, depositata il 24 novembre 2013, di accoglimento dell’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso la decisione di primo grado della Commissione tributaria provinciale, che aveva, a propria volta, accolto il ricorso del contribuente, avverso l’avviso di accertamento n. *****, con cui l’Ufficio, in virtù dei poteri riconosciutigli ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 32, comma 1, n. 2 ed ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), accertava il reddito d’impresa del predetto in Euro 224.961,00 e, ai fini IVA, determinava il volume d’affari complessivo in Euro 854.268,00, recuperando a tassazione maggiori importi a tassazione, con aggravio di sanzioni.

– Segnatamente, a fronte del rilievo effettuato in sede di verifica dai funzionari verbalizzanti, secondo cui erano emersi numerosi prelievi ingiustificati rispetto all’ordinaria gestione aziendale, la Commissione tributaria provinciale, nell’annullare l’atto impositivo (già previamente sospeso), evidenziava che “le normali operazioni di cassa, quali versamenti di corrispettivi e prelevamenti bancari, non individuano omissioni, falsità o inesattezza tali da ritenerli gravi, precisi e concordati e quindi trasformarli in ricavi non contabilizzati” e soggiungeva essere “limitato il tempo impiegato dall’Ufficio per osservare e naturalmente accertarsi se i prelevamenti erano destinati al pagamento delle spese relative all’attività”, con conseguente impossibilità di “qualificare i prelevamenti ricavi non contabilizzati in quanto manca il riscontro concreto sui pagamenti avvenuti oppure non effettuati”.

– La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello dell’Ufficio sostenendo l’inutilizzabilità del credito d’imposta impiegato nell’anno 2005 per investimenti in aree svantaggiate ai sensi della L. n. 388 del 2000, ex art. 8;

– Il ricorso di E.F. è affidato a due motivi;

– L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.

CONSIDERATO

che:

– Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e – contestualmente – la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per avere la Commissione tributaria regionale “evidentemente pronunciato al di là delle domande proposte dalle parti”;

– Con il secondo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza “per omissione materiale della motivazione, o, quanto meno, per motivazione apparente”, per avere, la commissione tributaria regionale, omesso di spiegare perchè, “pur essendo l’oggetto della lite la validità dell’avviso di accertamento… avente ad oggetto la rideterminazione… del reddito d’impresa dell’odierno ricorrente” e, conseguentemente, le maggiori imposte dovute per l’anno 2005, “abbia ritenuto di statuire sulla non legittimità dell’utilizzo… del credito d’imposta utilizzato nel 2005 per investimenti in aree evantaggiate ai sensi della L. n. 388 del 2000, ex art. 8”;

– Il primo motivo deduce vizio di ultrapetizione, ex art. 112 c.p.c., assumendo l’incongruo accoglimento dell’appello, con la conseguente declaratoria di legittimità della pretesa tributaria, in relazione ad un profilo non indicato nell’atto di gravame dell’Agenzia delle Entrate; in quest’ultimo si formulavano doglianze relative all’errata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, senza far questione dei presupposti di applicazione dei benefici previsti ai sensi della L. n. 388 del 2000, ex art. 8, per gli investimenti nelle aree svantaggiate, su cui si incentrata la motivazione della sentenza della Commissione tributaria regionale, favorevole all’Ente.

– Il motivo è fondato;

– La Commissione tributaria regionale ha infatti accolto il gravame e dichiarato la legittimità dell’imposizione fiscale, nonostante, in sede di ricorso introduttivo e di appello, la questione relativa al su richiamato beneficio fiscale non avesse occupato le parti in corso di giudizio;

– Ciò si pone in contrasto con le risultanze processuali riportate in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in cui non vi è traccia contestazioni relative all’utilizzazione del credito di imposta previsto dalla L. n. 388 del 2000 e all’incidenza del D.L. n. 253 del 2002, che detta utilizzazione aveva sospeso;

– Va pertanto data continuità alla giurisprudenza di questa Corte che ha più volte ribadito, in tema di contenzioso tributario, che i motivi dell’opposizione al provvedimento impositivo si configurano come “causae petendi” della correlata domanda di annullamento, con la conseguenza che incorre nel vizio di extra o ultrapetizione il giudice adito che fondi la propria decisione su motivi non dedotti o – il che è lo stesso – dedotti sotto profili diversi da quelli che costituiscono la “ratio decidendi” (v. di recente Cass. n. 30144 del 2017; Cass. n. 8387/1996; n. 20393/2007; n. 9020/2017);

– Nel procedimento tributario, l’esame, da parte della Commissione, di un profilo sostanziale di legittimità/illegittimità dell’avviso di accertamento, non dedotto dalla parte interessata, dà luogo ad un vizio di extrapetizione;

– Per tutto quanto sopra esposto, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbito il secondo, va cassata la sentenza impugnata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata; rinvia per un nuovo esame nonchè per la regolazione delle spese ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Calabria.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, il 4 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019

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