LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE MASI Oronzo – Presidente –
Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. D’OVIDIO Paola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 3401-2013 proposto da:
SAN MARCO SPA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CICERONE 28, presso lo studio dell’avvocato DI BENEDETTO PIETRO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato IONATA LORENZO;
– ricorrente –
contro
DEDEM AUTOMATICA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA VIA LAVINIO 15, presso lo studio dell’avvocato BIZZARRI GIOVANNI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato FOLGORI ROBERTO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 62/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 06/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 03/12/2018 dal Consigliere Dott. D’OVIDIO PAOLA.
RILEVATO
Che:
1. La società DEDEM AUTOMATICA a r.l. proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano avverso l’avviso di liquidazione n. ***** del *****, notificatole dalla San Marco s.p.a. quale concessionaria del Comune di Segrate per il servizio di accertamento e riscossione delle imposte sulla pubblicità e le affissioni pubbliche e relativo al mancato pagamento dell’imposta di pubblicità per diversi impianti pubblicitari disseminati nel territorio comunale.
Deduceva la ricorrente che i mezzi pubblicitari contestati erano di dimensioni inferiori a 5 mq, oltre ad essere ubicati nello stesso luogo di effettivo esercizio dell’attività, e dovevano considerarsi “insegne di esercizio”.
Si costituiva la società resistente assumendo l’infondatezza del ricorso e chiedendone il rigetto.
2. L’adita Commissione, con sentenza n. 342/40/2010, accoglieva il ricorso, ritenendo che nella specie ricorressero tutte le caratteristiche delle “insegne di esercizio” esenti da imposta.
Proponeva appello la San Marco s.p.a. ribadendo le tesi già svolte in primo grado.
Con sentenza n. 62/8/12, depositata in data 6/6/2012, la Commissione Tributaria Regionale di Milano respingeva l’appello e compensava le spese processuali.
3. Avvero tale sentenza la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso la DEDEM AUTOMATICA s.r.l..
CONSIDERATO
Che:
1. Con l’unico motivo di ricorso è prospettata la “violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, del D.L. n. 13 del 2002, art. 2-bis, comma 6, conv. in L. n. 75 del 2002 e del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1-bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.”.
In particolare, la ricorrente censura la sentenza impugnata per non aver valutato, alla luce delle norme indicate nell’intitolazione del motivo, se nel caso in esame si fosse di fronte o meno ad una “insegna di esercizio”, come definita dalla L. n. 72 del 2002, art. 2-bis, comma 6, essendosi limitata ad affrontare, peraltro in modo ritenuto errato e apodittico, solo il tema della superficie complessiva del mezzo accertato.
Ad avviso della ricorrente, invece, nella specie non si sarebbe in presenza di “insegne di esercizio” perchè i mezzi accertati non svolgerebbero in alcun modo la funzione di identificazione del luogo in cui si svolge l’attività economica e non risponderebbero alle finalità della agevolazione prevista dal legislatore.
Inoltre, la sentenza gravata avrebbe errato nel rilevare che la ricorrente non avrebbe fornito nessuna specifica indicazione della frazione di messaggio da calcolare ai fini dell’imposta, perchè, trattandosi di mezzi pubblicitari e non di insegne di esercizio, nessuna prova doveva essere fornita in merito.
1.1. Il motivo è fondato.
La sentenza impugnata, dopo aver affermato di condividere la sentenza di primo grado, così motiva: “il Collegio rileva infatti che, come anche determinato dal competente Ministero con propria Ris. 2 DPF n. 8466 del 06/03 “poichè il pannello su cui i messaggi sono applicati non ha alcun fine pubblicitario ma funge da mero supporto strumentale, la sua superficie non può essere calcolata come supedicie imponibile”. Superficie imponibile è quindi solo quella della minima figura piana geometrica che contiene i messaggi pubblicitari, perchè le scritte apposte sui detti pannelli possano essere qualificate come messaggio pubblicitario e quindi assoggettati ad imposta è necessario che la somma delle supedici piane dei messaggi pubblicitari apposti sui diversi pannelli sia superiore a mq. 5, ma che l’appellante San Marco ha elencato analiticamente i diversi pannelli con le relative superfici arrotondate alla misura superiore ma non indica quale frazione di esse contenga il messaggio pubblicitario, perchè è la somma complessiva di talli misure che, se pari o superiore a mq 5 costituisce imponibile ai fini dell’imposta sulla pubblicità. Osserva, da ultimo, che non avendo l’appellante fornito tale prova, l’appello va respinto”.
In primo luogo, va osservato che nella specie risulta improprio il richiamo alla Risolu,zione 2 DPF 8466 del 06/03, la quale ha dato risposta a dei quesiti sulle modalità di applicazione dell’imposta ai sensi del D.Lgs. n. 15 novembre 1993, n. 507, art. 7, e, pertanto, attiene all’ipotesi in cui, incontestata la natura pubblicitaria del mezzo, debba procedersi a calcolare la relativa imposta tenendo conto della superficie e delle caratteristiche (polifacciali, volumetriche, luminose, ecc.).
Nel caso in esame, invece, ciò che veniva contestato dalla DEDEM AUTOMATICA s.r.l. era la natura di mezzo pubblicitario dei pannelli oggetto di accertamento, i quali, secondo la contribuente, dovevano invece essere ricondotti nella nozione di “insegna di esercizio” e, pertanto, esentati dal pagamento dell’imposta.
La CTR, pertanto, avrebbe dovuto valutare se, alla luce della normativa in materia, i mezzi pubblicitari oggetto di controversia avessero i requisiti per godere dell’esenzione invocata.
In linea generale, i presupposti applicativi dell’imposta di cui si discorre, sono disciplinati dal D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 5, a mente del quale “la elusione di messaggi pubblicitari e ettuata attraverso forme di comunicazione visive o acustiche, diverse da quelle assoggettate al diritto sulle pubbliche affissioni, in luoghi pubblici o aperti al pubblico o che sia da tali luoghi percepibile è soggetta all’imposta sulla pubblicità prevista nel presente decreto. Ai fini dell’imposizione si considerano rilevanti i messaggi diffusi nell’esercizio di una attività economica allo scopo di promuovere la domanda di beni o servizi, ovvero finalizzati a migliorare l’immagine del soggetto pubblicizzato.
A sua volta, il medesimo D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, stabilisce i casi di esenzione dall’imposta, prevedendo al comma 1-bis, per quanto qui rileva, che “l’imposta non è dovuta per le insegne di esercizio di attività commerciali e di produzione di beni o servizi che contraddistinguono la sede ove si svolge l’attività cui si riferiscono, di superficie complessiva fino a cinque metri quadrati”. Il D.L. n. 22 febbraio 2002, n. 13, art. 2-bis, comma 6, convertito in L. 14 aprile 2002, n. 75, ha poi chiarito che “si definisce insegna di esercizio la scritta di cui al D.P.R. 16 dicembre 1992, n. 495, art. 47,comma 1, del regolamento di cui, che abbia la funzione di indicare al pubblico il luogo di svolgimento dell’attività economica. In caso di pluralità di insegne l’esenzione è riconosciuta nei limiti di superficie di cui al comma 1”.
Di analogo tenore è il richiamato D.P.R. n. 495 del 1992, art. 47, comma 1, che definisce “insegna” “la scritta in caratteri alfanumerici, completata eventualmente da un simbolo o da un marchio realizzata e supportata con materiali di qualsiasi natura, installata nella sede dell’attività a cui si riferisce o nelle pertinenze accessorie alla stessa. Può essere luminosa sia per luce propria che per luce indiretta”.
Dunque, le insegne di esercizio, per rilevare ai fini dell’esenzione dell’imposta pubblicitaria, devono in primo luogo essere destinate a contraddistinguere la sede ove si svolge. l’attività cui si riferiscono, oltre a dover avere una superficie non superiore a cinque metri quadri.
Ne deriva che le insegne ubicate in luoghi diversi dalla sede sono soggetti all’imposta (Cass., sez. 5, 11/05/2012, n. 7348, Rv. 622894 – 01).
Ciò posto, nella fattispecie in esame, in cui pacificamente si discorre di pannelli apposti su distributori automatici (cabine per foto tessera, foto digitale, ecc.), ai fini della corretta applicazione dell’esenzione occorreva in primo luogo stabilire se le postazioni di distribuzione automatica possano essere configurate quali “sedi” di svolgimento dell’attività commerciale.
In proposito, va richiamato il precedente di questa Corte, cui il Collegio intende dare continuità, che, in un analogo caso, ha escluso la riconducibilità dei distributori automatici al concetto di “sede” (cfr. Cass., scz. 5, 30/12/2014, n. 27497, Rv. 634248 01).
A tale conclusione la citata sentenza è pervenuta osservando che non è rinvenibile altra nozione normativa, ai fini civilistici, di sede delle persone giuridiche (qual è l’odierna controricorrente, in quanto società di capitali avente, quindi, personalità giuridica), se non quella formale (c.d. sede legale) risultante dall’atto costitutivo e dallo statuto (cfr. artt. 46 e 16 c.c.), alla quale si aggiunge correntemente, per l’equiparazione a determinati effetti nei confronti dei terzi, la nozione di sede effettiva, tale intendendosi il luogo in cui hanno concreto svolgimento le attività amministrative e di direzione dell’ente ed ove operano i suoi organi amministrativi o i suoi dipendenti (cfr. Cass., sez. L, 12 marzo 2009, n. 6021, Rv. 607263 – 01; Cass., sez. L, 13 aprile 2004, n. 7037, Rv. 572032 – 01). Tanto premesso, risulta di intuitiva evidenza che le cabine per fototessera (così come le postazione automatiche di distribuzione di cibi o bevande) non possono essere ricondotte nè al concetto di sede legale nè a quello di sede effettiva di esercizio dell’attività sociale come sopra richiamati, e neppure può ipotizzarsi un rapporto pertinenziale con la sede della società, in ragione dell’ampia diffusione territoriale che impedisce a monte la stessa configurabilità di un rapporto durevole di servizio del singolo distributore alla sede sociale.
A tali considerazioni deve aggiungersi l’ulteriore rilievo, decisivo al fine di escludere che al punto automatico di esercizio dell’attività possa attribuirsi la qualificazione di “sede”, che tale concetto viene a costituire nella fattispecie in esame il presupposto per l’applicazione di una norma, quale il menzionato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17 comma 1-bis, che prevede un’esenzione fiscale, come tale da ritenersi di stretta interpretazione (cfr. Cass., sez. 5, 30/12/2014, n. 27497, in motivazione).
La sentenza impugnata, dunque, non ha fatto corretta applicazione delle norme che disciplinano la materia, avendo riconosciuto l’esenzione dall’imposta pubblicitaria sulla base di una motivazione incongruente perchè fondata esclusivamente sulla considerazione della superficie dei pannelli oggetto di causa, senza tener conto della loro collocazione su postazioni inidonee ad essere qualificate come “sedi”, circostanza che esclude a monte l’applicabilità del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 17, comma 1-bis, invocato dalla contribuente.
E’ appena il caso di aggiungere che le precedenti considerazioni assorbono l’argomento dedotto dalla società controricorrente circa la asserita irrilevanza, ai fini dell’applicabilità della esenzione, dell’eventuale concorso dello scopo pubblicitario con la funzione propria della insegna stessa, siccome desumibile dal precedente di questa Corte n. 23021 del 2009 e dal D.M. n. 7 gennaio 2003, art. 2, capo 3: tale questione, infatti, attiene al contenuto dell’insegna ma presuppone pur sempre che si tratti di “insegna” installata nella “sede” dell’attività cui si riferisce, requisito che, per quanto sopra evidenziato, non può ritenersi sussistente nel caso in esame.
In conclusione deve trovare accoglimento il ricorso con la conseguente cassazione della sentenza impugnata.
Non essendo necessari ulteriori accertamento in fatto, atteso che è incontroverso che i pannelli oggetto di causa descrivevano il servizio offerto (“fototessere”, “foto digitali”, “porta con te chi ami + foto”) in luogo pubblico o aperto al pubblico (aeroporto) allo scopo di promuoverne la domanda, e ritenuto che deve essere disattesa la tesi della contribuente secondo la quale ciò avveniva in luogo qualificabile come “sede di esercizio dell’attività”, il ricorso va deciso nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente per difetto del presupposto applicativo dell’invocata esenzione dall’imposta relativo alla finalità dell’insegna di individuare la sede di esercizio dell’attività, restando conseguentemente irrilevante l’accertamento circa la ricorrenza dell’ulteriore presupposto attinente alla necessità che la complessiva superficie del mezzo non superi i 5 mq.
La peculiarità della fattispecie e l’assenza di precedenti di legittimità alla data di proposizione del ricorso rendono equo compensare interamente tra le parti le spese del presente grado.
PQM
La Corte:
– accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso originariamente proposto dalla contribuente;
– compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, dalla 5 sezione civile della Corte di cassazione, il 3 dicembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019