Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7865 del 20/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26707-2017 proposto da:

D.V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MENA MINAFRA;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 9595/31/2016 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 03/11/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 22/11/2018 dal Consigliere Dott. ESPOSITO ANTONIO FRANCESCO.

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 3 novembre 2016 la Commissione tributaria regionale della Campania confermava la pronuncia di primo grado che aveva respinto il ricorso proposto da D.V.A. avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, in relazione all’anno di imposta 2011, rilevata la omessa indicazione di componenti positivi di reddito pari ad Euro 240.000,00, quale sopravvenienza attiva derivante da risarcimento assicurativo percepito a seguito di incendio verificatosi nel 2010, rideterminava il reddito del contribuente ai fini IRPEF. Osservava la CTR che il risarcimento assicurativo per l’incendio avvenuto nel 2010 era stato liquidato e corrisposto soltanto nell’anno successivo, per cui il relativo importo doveva essere inserito, quale sopravvenienza attiva, ai sensi del T.U.I.R., art. 109, comma 1, nella dichiarazione relativa all’anno 2011, nel quale il risarcimento assicurativo era divenuto certo e determinabile, e non invece nello stesso anno in cui era stata indicata la posta passiva legata al sinistro.

Evidenziava, inoltre, che il contribuente, solo dopo aver ricevuto l’avviso di accertamento impugnato aveva presentato dichiarazione integrativa a sfavore per l’anno 2010, nel tentativo di porre tardivamente riparo alla propria condotta omissiva.

Avverso la decisione, con atto del 3 novembre 2017, il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo dedotto il ricorrente denuncia “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Sostiene che la CTR aveva erroneamente valorizzato in negativo la circostanza che il contribuente avesse presentato la dichiarazione integrativa dopo la notifica dell’avviso di accertamento impugnato, senza esaminare gli elementi probatori contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione.

La censura è inammissibile.

Essa non coglie la ratio decidendi della sentenza, fondata sulla disciplina dettata dal T.U.I.R., art. 109, comma 1, rispetto alla quale le considerazioni relative alla circostanza che la dichiarazione integrativa fosse stata presentata dal contribuente solo dopo la notifica dell’avviso di accertamento impugnato sono svolte dai giudici di appello ad abundantiam e non determinano, quindi, alcuna influenza sul dispositivo della decisione (in termini, Cass. n. 22380 del 2014, Cass. n. 23635 del 2010).

Inoltre, il motivo di ricorso, per come formulato, si pone in evidente contrasto con il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa (sent. n. 8053 del 2014), secondo cui “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

Rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento, in favore della Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 22 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019

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