LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS CHIARA – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17188-2017 proposto da:
S.G., quale difensore di se stesso, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IPPONIO 8, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO FERRI;
– ricorrente –
Contro
CAMERA DI COMMERCIO, INDUSTRIA, AGRICOLTURA E ARTIGIANATO DI FROSINONE, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VILLA SACCHETTI 9, presso lo studio degli avvocati ULISSE COREA e FRANCESCO SAVERIO MARINI, che la rappresentano e difendono unitamente all’avvocato GINO SCACCIA in virtù di procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 9/2017 del TRIBUNALE di CASSINO, depositata il 5/1/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/1/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE Con sentenza n. 1141/2008, il Giudice di Pace di Cassino confermava il decreto ingiuntivo n. 643/06, ottenuto da S.G. per il pagamento di prestazioni professionali, e opposto dalla Camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato di Frosinone.
La CCIAA di Frosinone impugnava la sentenza contestando la nullità del contratto di patrocinio, a causa della mancanza del necessario requisito della forma scritta, e ritenendo inidoneo l’esclusivo conferimento della procura generale alle liti per confermare la validità di tale rapporto contrattuale. Il S. contestava tali affermazioni, sottolineando che la validità del contratto era suffragata da una consolidata giurisprudenza in materia, ma il Tribunale di Cassino, con sentenza n. 793/2012, accoglieva l’appello della CCIAA Frosinone e revocava il decreto ingiuntivo. Contro la pronuncia d’appello S.G. proponeva ricorso per cassazione.
Al termine del giudizio di legittimità, con ordinanza n. 10668/2015 la Cassazione accoglieva il ricorso principale e cassava la sentenza con rinvio al Tribunale di Cassino in diversa composizione, affermando il principio di diritto secondo cui “in tema di contratti della P.A., che devono essere stipulati ad substantiam per iscritto, il requisito della forma del contratto di patrocinio è soddisfatto con il rilascio al difensore, a mezzo di atto pubblico, di procura generale alle liti ai sensi dell’art. 83 c.p.c., qualora sia puntualmente fissato l’ambito delle controversie per le quali opera la procura stessa (nella specie: “tutte le cause attive e passive promosse e da promuoversi, innanzi a qualsiasi Autorità Giudiziaria, esclusa la Suprema Corte di cassazione, aventi ad oggetto il solo recupero dei crediti della stessa Camera di commercio mandante”, con espressa autorizzazione, a tal fine, di “intraprendere azioni esecutive, intervenire in quelle da altri iniziate e dare loro impulso”)”.
Ritualmente riassunto il processo ex art. 392 c.p.c. il Tribunale di Cassino, con la sentenza n. 9/2017, affermata la validità del contratto di patrocinio intercorso tra S.G. e la CCIAA Frosinone, confermava il decreto ingiuntivo, rigettava ogni altra richiesta e compensava le spese, disattendendo così la richiesta del S. di porle interamente a carico della parte avversa, dal momento che ricorrevano gravi ed eccezionali ragioni idonee a legittimare il giudice a compensare le spese ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, così come formulato ante riforma del 2014.
Avverso tale sentenza propone oggi ricorso per cassazione S.G. con un unico motivo di ricorso, con cui lamenta la “violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 92 c.p.c., comma 2 – come modificato dal D.Lgs. 12 settembre 2014, n. 132, art. 13, comma 1, conv. con modif. in L. n. 162 del 2014 – art. 118 disp. att. c.p.c, comma 2, art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 24 e 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.
Rammenta il ricorrente che il legislatore ha reso applicabile il nuovo art. 92 c.p.c., comma 2, a tutti i procedimenti introdotti dopo il trentesimo giorno successivo all’entrata in vigore della legge di conversione del D.L., pertanto la norma andrebbe logicamente applicata anche al giudizio di rinvio di cui se ne contesta l’esito. Dal momento che in questa vicenda non si ravvisano ipotesi di soccombenza reciproca, o di assoluta novità della questione, nè di mutamento giurisprudenziale sulle questioni dirimenti, il giudice del rinvio avrebbe fatto errata applicazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2; la stessa norma, peraltro, sarebbe stata falsamente applicata anche laddove fosse stata considerata nella sua vecchia formulazione, poichè nel caso di specie non sussisterebbero situazioni “gravi ed eccezionali”. Tutto ciò lederebbe, da ultimo, il diritto di difesa, costituzionalmente garantito, giacchè la compensazione delle spese non troverebbe alcun fondamento in questo caso, stante l’esito vittorioso del professionista nei vari gradi del processo.
Ha resistito con controricorso la Camera di commercio, industria, agricoltura e artigianato di Frosinone.
Il ricorso va rigettato.
Per quanto concerne la doglianza relativa alla violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., va anzitutto ribadito quanto asserito dallo stesso ricorrente, e cioè che la nuova formulazione dell’art. 92 c.p.c. trova applicazione ai procedimenti introdotti dal 10 dicembre 2014, tra i quali, tuttavia, non rientra quello in esame, instaurato, al contrario, con l’opposizione a decreto ingiuntivo nel 2007 davanti al giudice di pace.
All’interno dei giudizi di impugnazione si distinguono due momenti, definiti rescindente e rescissorio; all’interno dell’appello tende a confondersi l’esatta scansione temporale dei due giudizi, mentre nel ricorso per cassazione è più marcato il confine tra la fase di annullamento della sentenza viziata e quella di pronuncia che sostituisce la prima, soprattutto nel caso in cui i due giudizi, non si esauriscano contemporaneamente in sede di legittimità, ma si svolgano davanti a giudici diversi: a quest’ultimo caso va ricondotto il giudizio di rinvio, che rappresenta la fase rescissoria successiva a quella rescindente, svoltasi davanti al giudice di legittimità. Pertanto quando si parla di “autonomia del giudizio di rinvio”, lo si deve fare con esclusivo riferimento all’autonomia della fase dell’intero giudizio, ragion per cui il procedimento nell’ambito del quale si svolge il giudizio di rinvio resta unico e il suo momento iniziale, tornando al caso di specie, non può che fissarsi nel momento in cui venne notificato il decreto opposto, o ancor prima al deposito del ricorso monitorio dinanzi al Giudice di Pace. A conclusione di tali considerazioni sembra opportuno ricordare quanto affermato dalle Sezioni Unite con sent. n. 19701/2010 (orientamento confermato negli anni, da ultimo Cass. n. 10213/2017) secondo cui, il giudizio di rinvio conseguente a cassazione, pur dotato di autonomia, non dà vita ad un nuovo ed ulteriore procedimento, ma rappresenta una fase ulteriore di quello originario da ritenersi unico ed unitario.
Da ciò consegue che, al processo iniziato prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 132 del 2014, conv. L. n. 162 del 2014, si applica il testo dell’art. 92 c.p.c. vigente ratione temporis, che peraltro non è nemmeno quello richiamato dal giudice del rinvio, ma addirittura quello in vigore a seguito della riforma di cui al D.L. n. 35 del 2005, conv. nella L. n. 80 del 2005, entrato in vigore ed applicabile ai giudizi introdotti in primo grado dopo il primo marzo 2006, che prevede, con una valutazione ancor più discrezionale da parte dell’autorità giudiziaria, che la decisione circa la compensazione debba essere supportata da “giusti motivi esplicitamente indicati nella motivazione”.
Ne deriva che una volta esclusa la dedotta violazione di legge, avendo il giudice del rinvio espressamente fatto riferimento alle ragioni in base alle quali reputava di poter compensare le spese dell’intero giudizio, poichè trattasi di decisione che è a sua volta espressione di un potere discrezionale conferito al giudice dalla legge, la stessa è incensurabile in sede di legittimità a meno che non sia sorretta da ragioni palesemente illogiche, ossia tali da inficiare per la loro inconsistenza lo stesso processo formativo della volontà decisionale espressa sul punto (ex multis Cass. n. 16162/2004).
Come questa Corte ha avuto modo più volte di affermare, il sindacato della Corte di cassazione sulla regolamentazione delle spese di lite, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri motivi (Cass. n. 24502/2017). Ovviamente il giudice è tenuto ad indicare esplicitamente nella motivazione del decreto le ragioni che si pongono alla base di tale scelta (Cass. n. 4521/2017), ma nel caso di specie il requisito de quo risulta essere soddisfatto.
Ciò esclude, infine, l’asserita violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118, disp. att. c.p.c. e di conseguenza degli artt. 24 e 111, Cost., attesa l’impossibilità di riscontrare una deficienza dell’iter argomentativo del giudice di merito tale da sfociare in un’anomalia consistente nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, essendosi esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. S.U. 8053/2014).
Nè appare possibile proficuamente convertire il motivo proposto in una censura direttamente rivolta nei confronti della adeguatezza della motivazione, atteso che il ricorso è proposto avverso sentenza pronunciata in data successiva al 12 settembre 2012, che ha fortemente limitato la deducibilità in sede di legittimità di censure alla motivazione della sentenza gravata (e ciò anche a tacere del fatto che, anche in base alla pregressa formulazione della norma, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo qualora il giudice di merito non abbia tenuto conto alcuno delle inferenze logiche che possono essere desunte dagli elementi dimostrativi addotti in giudizio ed indicati nel ricorso con autosufficiente ricostruzione, e si sia limitato ad addurre l’esistenza di giusti motivi, senza compiere una analitica considerazione delle risultanze processuali – così da ultimo Cass. 2963/2018 – ipotesi che sicuramente non ricorre nel caso in esame).
II ricorso va pertanto rigettato, dandosi continuità ai precedenti di questa Corte (cfr. ex multis Cass. n. 22202/2018) già intervenuti a decidere su alcuni dei numerosi ricorsi proposti dal S. e relativi a vicende sostanzialmente sovrapponibili a quella ora in esame.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il T.U. di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 650,00 di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge;
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019
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