Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.7877 del 20/03/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21457-2018 proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GOLAMETTO 4, presso lo studio dell’avvocato FERDINANDO EMILIO ABBATE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVAMBATTISTA FERRIOLO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO GIUSTIZIA elettivamente domiciliato in ROMA alla via DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che lo rappresenta e difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il 25/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2019 dal Consigliere Dott. CRISCUOLO MAURO.

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE La Corte d’appello di Perugia, con decreto n. 470 del 25/01/2018, condannò il Ministero della Giustizia a pagare in favore del ricorrente la somma di Euro 583,00, a titolo d’equo indennizzo per la non ragionevole durata di un processo incardinato ai sensi della L. n. 89 del 2001, nonchè le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 210,00, oltre spese di bollo, liquidate in Euro 8,00, ed accessori, distratte in favore dei difensori antistatari.

Avverso tale decreto R.G. propone ricorso, esponendo, con l’unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., dell’art. 2233 c.c., comma 2 e delle previsioni di cui al D.M. n. 55 del 2014, in quanto la Corte di merito aveva liquidato il rimborso spese di lite al disotto del minimo legale.

L’Amministrazione ha resistito ai soli fini della discussione orale.

Il motivo è fondato.

Come già rilevato da questa Corte, e proprio con specifico riferimento alla liquidazione delle spese di lite nelle procedure di cui alla L. n. 89 del 2001 (Cass. n. 1018/2018), l’opinione secondo la quale il D.M. Giustizia 10 marzo 2014, n. 55, nella parte in cui stabilisce un limite minimo ai compensi tabellarmente previsti (art. 4) non può considerarsi derogativo del D.M. Giustizia 20 luglio 2012, n. 140, il quale, stabilendo in via generale i compensi di tutte le professioni vigilate dal Ministero della Giustizia, al suo art. 1, comma 7, dispone che “In nessun caso le soglie numeriche indicate, anche a mezzo di percentuale, sia nei minimi che nei massimi, per la liquidazione del compenso, nel presente decreto e nelle tabelle allegate, sono vincolanti per la liquidazione stessa”, non è condivisibile in quanto il D.M. n. 140 del 2012, risulta essere stato emanato allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l’avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l’incarico professionale.

Viceversa, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55 del 2014, il quale non prevale sul D.M. n. 140 del 2012, per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poichè, diversamente da quanto affermato dall’Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140 del 2012 evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente a prevalere, ma il D.M. n. 55 del 2014, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa.

Tornando al caso in esame la liquidazione effettuata dalla Corte locale in complessivi Euro 210,00 si pone al di sotto dei limiti imposti dal D.M. n. 55 del 2014, tenuto conto del valore della causa (da Euro 0,00 a Euro 1.100,00) e pur applicata la riduzione massima, in ragione della speciale semplicità dell’affare (art. 4, cit.) dovendosi escludere la possibilità di poter andare al di sotto dei detti minimi essendo ciò in violazione del principio di cui all’art. 2233 c.c. in merito alla necessità di corrispondere compensi adeguati al decoro della professione.

Il provvedimento impugnato deve quindi essere cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

accoglie il ricorso e cassa la decisione impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2019

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