LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –
Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. CIRESE Marina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9878-2013 proposto da:
S.C.L., elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato S.C.L., rappresentata e difesa da sè medesima;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 132/2012 della COMM. TRIB. REG. di ROMA, depositata il 21/02/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 22/11/2018 dal Consigliere Dott. CIRESE MARINA.
RILEVATO
che:
La CTR del Lazio, con sentenza del 21.2.2012 rigettava l’appello proposto dalla signora S.C.L. avverso la sentenza di primo grado, che aveva respinto il ricorso proposto dalla contribuente contro la cartella di pagamento notificatale, a seguito di controllo automatizzato ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis e del D.P.R. n. 603 del 1972, art. 54 bis, per il pagamento di Irpef ed Iva 2003, ritenute non compensabili con un credito di imposta non esposto in dichiarazione.
Il giudice d’appello, dato atto che la cartella era stata preceduta da un avviso bonario, rilevava che la stessa era sufficientemente motivata e forniva tutte le indicazioni utili alla proposizione del ricorso e che correttamente l’ufficio aveva negato la compensazione con crediti e/o eccedenze del precedente anno impositivo non esposti in dichiarazione ed aveva ritenuto dovute le sanzioni.
Avverso la sentenza della CTR la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi e illustrato da memoria, cui ha resistito con controricorso l’Agenzia delle entrate.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo di ricorso rubricato “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c. nonchè in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12” parte ricorrente lamenta che il giudice di appello non abbia tenuto conto della definizione della lite ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, ex art. 39, comma 12, intervenuta nelle more del giudizio; deduce a riguardo di aver presentato l’istanza di adesione prima della fissazione dell’udienza di trattazione in appello, di aver versato il 50% dell’imposta pretesa con Mod. F24 depositato in atti e di aver espressamente richiesto alla CTR di dichiarare estinta la controversia.
2. Con il secondo motivo di ricorso rubricato “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 16” ripropone l’eccezione di nullità dell’atto impositivo impugnato, che sarebbe privo di motivazione in ordine agli importi richiesti a titolo di sanzione e non chiarirebbe in qual modo sono stati conteggiati gli interessi.
3. Con il terzo motivo di ricorso rubricato “In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., degli artt. 115 e 116c.p.c., dell’art. 163TUIR, divieto di doppia imposizione” parte ricorrente deduce che erroneamente il giudice di appello non ha riconosciuto la compensazione del debito tributario con il credito derivante dal versamento da lei effettuato in eccesso in data 18.7.2002, di cui al Mod. F24 prodotto in giudizio.
4. Con il quarto motivo di ricorso, rubricato ” In relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” parte ricorrente deduce che la prova rigorosa offerta circa il fatto costitutivo del suo diritto alla compensazione contrasta in modo insanabile con l’affermazione contenuta nella sentenza di appello secondo cui correttamente l’Ufficio non ha riconosciuto tale diritto in ragione dell’omessa indicazione, nella dichiarazione 2003, di crediti o eccedenze derivanti dal precedente periodo di imposta.
5. Il primo motivo è fondato.
Questa Corte ha già ripetutamente affermato che “in tema di condono fiscale, rientrano nel concetto di lite pendente, con possibilità di definizione agevolata ai sensi del D.L. n. 98 del 2011, art. 39, comma 12, conv. in L. n. 111 del 2011, le controversie relative a cartella esattoriale emessa ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 36 bis, non preceduta da precedente atto di accertamento, la quale, come tale, è impugnabile non solo per vizi propri, ma anche per motivi attinenti al merito della pretesa impositiva, trattandosi del primo e unico atto con cui la pretesa fiscale viene comunicata al contribuente (Cass. nn. 23269/018, 28064/018, 32132/018).
Ne consegue che, avendo la contribuente dedotto, in sede di memorie depositate in grado di appello, di aver definito la lite in via agevolata, producendo altresì il mod. F24 che proverebbe il pagamento, il giudice avrebbe dovuto verificare se il giudizio si fosse estinto per sopravvenuta cessazione della materia del contendere.
6. Il secondo motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto la cartella di pagamento non è allegata specificamente al ricorso, nè la ricorrente indica dove essa sia rintracciabile all’interno dei fascicoli di parte o di quello d’ufficio: è pertanto precluso a questa Corte, che non ha accesso diretto agli atti del giudizio di merito, di verificare la fondatezza delle doglianze concernenti la pretesa nullità dell’atto impositivo.
7. I motivi terzo e quarto, da esaminarsi congiuntamente in quanto attengono alla medesima questione, sono fondati.
La ricorrente ha puntualmente dedotto di aver depositato, sub. doc. 3) del proprio fascicolo di parte, il Mod. F24 dell’anno 2002 che provava il versamento in eccesso delle imposte da lei dovute per detta annualità ed il conseguente suo diritto a compensare il debito d’imposta dell’anno 2003 sino all’ammontare dell’eccedenza. Limitandosi ad affermare che l’amministrazione aveva correttamente negato la compensazione con crediti e/o eccedenze del precedente anno impositivo non esposti in dichiarazione la CTR ha dunque violato il principio, ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale gli errori formali compiuti nel compilare la dichiarazione non precludono al contribuente di opporsi alla maggiore pretesa tributaria in sede contenziosa, con conseguente dovere del giudice di verificare nel merito se detta pretesa debba o meno ritenersi fondata (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 13378/2016).
Conclusivamente, in accoglimento dei motivi primo, terzo e quarto del ricorso, la sentenza va cassata con rinvio della causa, per un nuovo esame, alla CTR del Lazio, in diversa composizione, che liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, dichiara inammissibile il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla CTR del Lazio, in diversa composizione, anche per le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 22 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019