LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI IASI Camilla – Presidente –
Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –
Dott. MONDINI Antonio – Consigliere –
Dott. PENTA Andrea – Consigliere –
Dott. TADDEI Margherita – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 433-2013 proposto da:
AZIENDA AGRICOLA SAN NICOLA SNC, elettivamente domiciliato in ROMA VIA CICERONE 44, presso lo studio dell’avvocato ANDREA SCAFA, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIO GORLANI;
– ricorrente –
contro
CITTA’ CASTIGLIONE DELLE STIVIERE, elettivamente domiciliato in ROMA VIA APPIA NUOVA 96, presso lo studio dell’avvocato PAOLO ROLFO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati CESARE PERONI, MAURIZIO LOVISETTI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 109/2012 della COMM. TRIB. REG. SEZ. DIST. di BRESCIA, depositata il 07/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/01/2019 dal Consigliere Dott. FASANO ANNA MARIA.
RITENUTO
che:
Il Comune di Castiglione dello Stivere notificava all’Azienda Agricola S.N. s.n.c. tre avvisi di accertamento, con i quali contestava l’omessa denuncia ed omesso versamento dell’ICI con riferimento agli anni 2003 – 2004 – 2005, per un immobile destinato ad allevamento avicolo che, a seguito di variazione catastale del 21.10.2002, aveva perso il requisito di ruralità, non essendo più strumentale ad attività agricole. Con riferimento agli anni 2003 e 2004, negli avvisi di accertamento si rilevava che l’utilizzatore e conduttore dell’immobile, la Bioavicola di C.M. (come da contratto di affitto registrato), aveva dichiarato redditi di allevamento, eccedendo i limiti dell’attività agricola imposti dal TUIR. Gli atti venivano impugnati innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Mantova che, con sentenza n. 6/02/2011, previa riunione, accoglieva i ricorsi della società contribuente. Il Comune di Castiglione dello Stiviere appellava la sentenza, denunciando, inter alla, che la ruralità dell’immobile presupponeva un classamento nelle categorie A/6 e D/10 mentre, nella specie, all’immobile era stata attribuita la categoria catastale D/8. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con sentenza n. 109/67/2012, accoglieva l’appello, in ragione della modifica del classamento del fabbricato. La società contribuente ricorre per la cassazione della sentenza, svolgendo due motivi, illustrati con memorie. Il Comune di Castiglione dello Stivere si è costituito con controricorso, illustrato con memorie.
CONSIDERATO
che:
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto i giudici di appello avrebbero erroneamente applicato la normativa in tema ICI, e si sarebbero limitati a sostenere che, sussistendo un classamento diverso da quello in D10, l’immobile avrebbe dovuto essere assoggettato ad ICI, dovendosi dare, invece, rilievo, ai fini dell’applicabilità dell’ICI ai fabbricati a destinazione rurale, alla effettiva destinazione urbanistica, e non alla classificazione catastale. La società contribuente dissente quindi dall’indirizzo delle Sezioni Unite di questa Corte, espresso nella sentenza 18565 del 2009, integralmente recepito dal giudice di appello nella motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che indipendentemente dalla iscrizione nel catasto fabbricati, sarebbe rurale l’immobile che rispetta i requisiti di cui al D.L. n. 557 del 1993, art. 9.
2. Con il secondo motivo si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto i giudici di appello avrebbero omesso di prendere posizione in ordine alla natura dell’attività svolta nell’immobile, come indice della strumentalità del fabbricato nel quale l’attività medesima veniva svolta, atteso che nello stesso si allevano galline al fine della produzione e della commercializzazione di uova.
3. I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per connessione logica, sono infondati.
3.1. Non è contestato che il fabbricato oggetto di accertamento è stato oggetto di modifica della rendita catastale, con riclassificazione in categoria D/8 (fabbricati costruiti per le speciali esigenze di una attività commerciale) effettuata dall’Agenzia del territorio che ne ha valorizzato la destinazione commerciale, essendo utilizzato per la produzione e la commercializzazione di uova.
3.2. Ciò premesso, questa Corte ha recentemente ribadito che: ” In tema di ICI, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale del cespite, per cui l’immobile iscritto come “rurale” con attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10) nonè soggetto ad imposta, ai sensi del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, (conv. con modif. dalla L. n. 14 del 2009) e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a), mentre, ove esso sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento” (Cass. n. 7930 del 2016), restando, altrimenti, il fabbricato medesimo assoggettato ad ICI” (Cass. S.U. n. 18565 del 2009).
Ne consegue che non assumono rilievo le allegazioni difensive di parte contribuente, che ritengono necessario l’accertamento in concreto delle caratteristiche relative alla ruralità dell’immobile, atteso che tale prova dovrebbe essere fornita in sede di impugnazione dell’atto di classamento, mentre, nella specie, non risulta che tale modifica sia stata oggetto di contestazione da parte della società”ricorrente. Invero, le Sezioni Unite di questa Corte, con la stessa sentenza n. 18565 del 2009, hanno chiarito che solo con riferimento agli immobili non iscritti in catasto la ruralità deve essere riconosciuta in concreto dal giudice tributario, con accertamento in fatto.
4. In definitiva, il ricorso va rigettato, in quanto la Commissione Tributaria Regionale ha fatto buon governo dei principi espressi, dando rilievo, al fine del riconoscimento del carattere della ruralità dell’immobile, all’attribuzione delle relative categorie catastali. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 1500,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019