LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –
Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 22895-2014 proposto da:
P.O., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ALESSANDRIA 208, presso lo studio dell’avvocato IDA CARDARELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMILIANO CARDARELLI;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 165/2013 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI, depositata il 01/07/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2019 dal Consigliere Dott. FEDERICI FRANCESCO.
RILEVATO
che:
P.O. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 165/29/2013, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania l’1.07.2013, che, confermando la decisione di primo grado, aveva rigettato il ricorso della contribuente avverso il silenzio rifiuto opposto dalla Agenzia alla richiesta di ripetizione di quanto versato a titolo di Irap per gli anni d’imposta 2007/2008;
ha riferito di svolgere la professione di commercialista, con specifica attività di consulenza presso le aziende o presso lo studio legale che si avvaleva delle suddette consulenze, nonchè di componente di collegi sindacali, esercitando la propria professione senza disporre di autonoma organizzazione. Ritenendosi pertanto esclusa dall’assoggettamento ad Irap, aveva inoltrato istanza di rimborso di quanto indebitamente versato per gli anni 2007/2008, pari ad Euro 10.367,22. Al silenzio rifiuto dell’Ufficio era seguito il contenzioso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, esitato nella sentenza n. 225/31/2011, che rigettava il ricorso. L’appello era rigettato con la pronuncia ora al vaglio della Corte.
La P. censura la sentenza con tre motivi:
con il primo per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2, comma 1, primo periodo e art. 3, comma 1, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per essere stata erroneamente riconosciuta l’autonoma organizzazione nello svolgimento della propria attività professionale;
con il secondo per nullità della sentenza, per violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nonchè per violazione dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per omessa decisione sulla domanda di rimborso relativa all’anno d’imposta 2008;
con il terzo per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per il mancato esame della documentazione allegata dalla contribuente a supporto delle proprie difese.
Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza.
L’Ufficio si è costituito eccependo l’inammissibilità del ricorso e contestando nel merito il suo fondamento.
La P. ha tempestivamente depositato memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c.
CONSIDERATO
che:
Deve preliminarmente escludersi che il ricorso sia inammissibile, come preteso dall’Agenzia, perchè, al contrario di quanto sostenuto dalla controricorrente, i motivi non sono volti ad una rivalutazione, nel merito, dei fatti. Con essi invece correttamente la ricorrente lamenta l’error iuris in iudicando per il malgoverno dei principi di diritto enucleati dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della interpretazione dei requisiti giuridici necessari all’assoggettamento del lavoratore autonomo all’Irap, o l’error iuris in procedendo in ragione della omessa pronuncia su una annualità d’imposta per la quale si è chiesto il rimborso (2008), o ancora per la carenza della motivazione.
Nel merito il primo motivo di ricorso, con il quale la contribuente critica la decisione in ordine alla riconosciuta sussistenza dei presupposti per l’assoggettamento all’imposta, è fondato.
Presupposto per l’assoggettamento all’imposta è “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla…. prestazione di servizi” (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2), applicabile anche alle “persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma del predetto T.U. (ndR. D.P.R. n. 917 del 1986), art. 5, comma 3, esercenti arti e professioni, di cui al medesimo T.U., art. 49, comma 1” (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, lett. c).
Quanto al significato di “autonoma organizzazione” già la Corte Costituzionale, con sent. n. 156 del 2001, aveva puntualizzato che l’imposta incide su un fatto economico diverso dal reddito, cioè,su quel quid pluris aggiunto dalla struttura organizzativa alla attività professionale, tale da costituire un indice di capacità contributiva idonea a giustificare l’assoggettamento al tributo, il che non implica alcun limite quantitativo, di prevalenza o meno rispetto al lavoro autonomo esercitato, bensì semplicemente un giudizio di valore sulla idoneità di quella organizzazione a potenziare le possibilità produttive del professionista. La Corte di legittimità ha esplicitato la nozione di autonoma organizzazione nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, riconoscendola ai fini IRAP quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo li id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (in tal senso già Cass., sent. 3676 del 2007; Cass., sent. n. 25311 del 2014). Nel perimetrare ulteriormente l’assoggettamento ad Irap del lavoratore autonomo sono intervenute da ultimo le Sez. U, affermando che il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto quale presupposto dell’imposta dall’art. 2 cit., non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive (Sez. U, sent. n. 9451/2016).
La Corte ha anche chiarito che per la soggezione ad IRAP dei proventi del professionista autonomo è necessario che la struttura organizzata di cui questi si avvalga faccia capo allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo, non riconoscendo ad esempio la soggettività passiva all’imposta del professionista che, collaborando presso importanti studi legali, ne aveva utilizzato la struttura organizzativa, traendone utilità (Cass., ord. n. 4080/2017, con riferimento alla attività di avvocato). Si è anche detto che il professionista che svolga l’attività all’interno di una struttura altrui, così difettando di autonomia organizzativa, non è assoggettato all’Irap (Cass., sent. n. 21150/2014).
Con specifico riferimento alla professione di commercialista, la Corte ha affermato che anche in questo caso l’esercizio in forma associata della professione liberale rientra nell’ipotesi regolata dall’art. 3 cit., comma 1, lett. c), costituendo essa stessa presupposto d’imposta, in base al medesimo D.Lgs., art. 2, comma 1, seconda parte, a prescindere completamente dal requisito dell’autonoma organizzazione (Cass., ord. n. 16784/2010), sicchè legittimamente il reddito dello studio associato viene assoggettato all’Irap, salvo che il contribuente non dimostri che tale reddito sia derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati (cfr. Cass., sent. n. 13570/2007). La Corte ha inoltre chiarito che il commercialista che sia anche amministratore, revisore e sindaco di una società non soggiace all’imposta per il reddito netto di tali attività, in quanto è soggetta ad imposizione fiscale unicamente l’eccedenza dei compensi rispetto alla produttività auto-organizzata, per il cui avveramento non è sufficiente che il commercialista operi normalmente presso uno studio professionale. Tale presupposto infatti non integra di per sè il requisito dell’autonoma organizzazione rispetto ad un’attività rilevante quale organo di una compagine terza (Cass., ord. n. 16372/2017). Diversamente, il dottore commercialista che, in presenza di autonoma organizzazione ed espletando congiuntamente anche gli incarichi connessi di sindaco, amministratore di società e consulente tecnico, svolga sostanzialmente un’attività unitaria, nella quale siano coinvolte conoscenze tecniche direttamente collegate all’esercizio della professione nel suo complesso, non ha diritto al rimborso dell’Irap quando, per mancato assolvimento dell’onere probatorio su di lui gravante, non sia possibile scorporare le diverse categorie di compensi eventualmente conseguiti e di verificare l’esistenza dei requisiti impositivi per ciascuno dei settori in esame (Cass., ord. n. 3434/2012).
L’accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.
Questi gli approdi ermeneutici della giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie il giudice tributario d’appello ha deciso la controversia con la seguente motivazione “…si ravvisano elementi che dimostrano la presenza di una “autonoma organizzazione” ed infatti, esaminando il quadro RE, emerge una quota di ammortamento di Euro 3.840,00 di beni ammortizzabili, facenti ovviamente parte della organizzazione dello studio professionale dell’appellante impiegati nella sua attività di commercialista e comprovanti l’esistenza di una struttura organizzativa operativamente autonoma;….tale autonoma organizzazione trova riscontro nella circostanza di riuscire a produrre “compensi derivanti dall’attività professionale” ammontanti ad Euro 161.536,00, riferiti all’anno 2007 e la cui entità è indicativa di una capacità produttiva raggiunta con l’impiego di beni strumentali idonei al raggiungimento di siffatti risultati;… sempre nel quadro RE emergono anche compensi per collaborazioni esterne e “spese per prestazioni alberghiere e per somministrazione di alimenti..”, le quali sono pari per l’anno d’imposta in esame ad Euro 12.117,00….e sono l’indice di un’attività professionale con impegni anche al di fuori dell’area operativa…”.
La motivazione mostra che il giudice regionale non ha tenuto conto dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità. La pronuncia associa l’autonoma organizzazione alla circostanza che la ricorrente impieghi beni nell’esercizio della sua professione, ammortizzandone i costi, così confondendo il dato puramente quantitativo con il requisito di assoggettamento all’imposta. Con ciò ignora che giurisprudenza ormai consolidata ancora la struttura organizzativa autonoma alla qualità dei beni medesimi, ossia alla loro idoneità ad incrementare le capacità lavorative del libero professionista, solo in questa circostanza costituendo quel “quid pluris” atto ad implementare la professionalità del lavoratore e dunque rivelatore della organizzazione autonoma. Valorizza il reddito da lavoro autonomo annualmente conseguito dalla P. (Euro 161.536,00 per il solo anno 2007), che è un dato del tutto neutro rispetto al riconoscimento della autonoma organizzazione, non potendosi ontologicamente negare le capacità di guadagno – anche ingenti – del professionista che pur sia privo di autonoma organizzazione; per altro verso, se volesse attribuirsi valore a tale dato, proprio il rapporto tra la quota d’ammortamento dei beni utilizzati (inferiore ai 4.000,00 Euro nell’anno 2007) e il reddito conseguito (superiore ai 160.000,00 Euro) rivelerebbe la marginalità dei suddetti beni a fronte del valore aggiunto rappresentato dalle intrinseche capacità professionali della contribuente. Valorizza le spese “per prestazioni alberghiere e per somministrazioni di alimenti”, che rappresenta un dato altrettanto incomprensibile rispetto al concetto di “autonoma organizzazione”, evidenziando al contrario solo le spese vive sostenute per gli spostamenti logistici, necessari per raggiungere le sedi delle aziende alle quali offre consulenza o attività di controllo sindacale, o gli studi di quei professionisti che ad essa affidano consulenze, senza che ad esse possa ricondursi la prova della esistenza di una autonoma organizzazione.
In conclusione nessuno degli elementi valorizzati dal giudice regionale è utile ad identificare il requisito per l’assoggettamento all’imposta sulle attività produttive. L’accoglimento del primo motivo assorbe il terzo.
E’ fondato inoltre anche il secondo motivo, con il quale la ricorrente si duole del mancato esame della domanda di rimborso relativa all’anno 2008. Sul punto infatti, considerato che gli elementi analizzati dal giudice regionale riguardano esclusivamente l’anno 2007, la sentenza è dl tutto omissiva e pertanto nulla.
Ritenuto che:
Il ricorso va accolto e la sentenza va cassata, con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Campania che in altra composizione, oltre che sulle spese, dovrà esaminare la controversia alla luce dei principi somministrati.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania che, in altra composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 21 marzo 2019
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